Seconda Domenica. La trasfigurazione secondo Luca
Gesù si trasfigura.
Quaresima con i Padri: questa volta, con San Leone Magno che ci illustra l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. La seconda domenica di Quaresima infatti, in tutti gli anni del ciclo triennale di letture, offre il vangelo della Trasfigurazione. Quest’anno, come è noto, il brano evangelico è tratto dal vangelo di Luca. Articolo precedente QUI.
In questa sezione del Vangelo, il viaggio verso Gerusalemme, Gesù inizia ad istruire i suoi discepoli sull’imminente sua Passione; ma dà loro anche un incoraggiamento con un’anticipazione della sua Gloria. La Trasfigurazione (Lc 9,28-36) ha proprio questo scopo, e ne beneficeranno alcuni che con essa vedranno il Regno di Dio (9,27). La Trasfigurazione avviene infatti davanti a testimoni di eccezione, Pietro, Giacomo e Giovanni. I tre discepoli sono le future «colonne della Chiesa» (Gal 2,9) che rappresentano la Chiesa nascente, e che ricevono la consegna dal Padre: «Ascoltatelo».
L’ottavo giorno
L’ottavo giorno in cui Luca data l’evento è la domenica giorno del Signore Risorto (cfr. Lc 24,1). L’ottavo giorno; lo squarcio di luce celeste simboleggiato dal bianco sfolgorante; l’ombra della nube che indica la presenza di Dio; la proclamazione solenne della Voce: tutto questo è un anticipo di gloria il cui ricordo sostiene nel cammino. Luca, oltre alla menzione dell’Ottavo giorno, sottolinea in special modo l’atteggiamento di preghiera di Gesù (Lc 9,28-29). Come vedremo, ha anche una precisazione particolare sui due uomini che lo affiancano, «apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini (duo andres) che stavano con lui» (9,31-32).
Lc 24,4 rimetterà in scena due uomini con vesti splendenti; saranno due angeli, ma il termine usato, uomini (andres), li pone in relazione con i due testimoni della gloria di Gesù alla Trasfigurazione. In Matteo invece sarà un angelo del Signore, in Marco un giovinetto, in Giovanni due angeli, a recare alle donne l’annuncio della Resurrezione. Usando gli stessi termini dell’episodio della Trasfigurazione, Luca pone la passione di Gesù al centro di una grande inclusione da Gloria a Gloria, dalla gloria anticipata della Trasfigurazione alla gloria realizzata della Resurrezione.
Il sonno dei discepoli
Luca menziona dunque anche un particolare strano, il sonno dei discepoli. Come è possibile addormentarsi in un momento simile? Ma questo sonno ha un duplice significato simbolico.
Da una parte rappresenta il torpore estatico che l’uomo prova davanti all’operare meraviglioso del Signore. È un elemento che nella tradizione biblica contrassegna il contatto con il divino (cfr. Gn 2,21; 15,12; Dn 8,18; 10,9).
Ma Luca vuole anche sottolineare il collegamento della trasfigurazione di Gesù con la sua passione (cfr. v. 31: «Parlavano del suo esodo che stava per compiere a Gerusalemme»), inserendo un elemento che poi ritornerà al momento dell’agonia di Gesù nel Gethsemani. Proprio in quel momento gli stessi apostoli saranno di nuovo presi dal sonno (Lc 22,45; cfr. Mc 14,37; Mt 26,40), e pur essendo fisicamente presenti lasceranno solo Gesù, non più trasfigurato dalla gloria divina ma sfigurato da un’angoscia mortale. Nella veglia pasquale ebraica non ci si può addormentare, perché notte di veglia fu quella di Pasqua per il Signore mentre liberava Israele dall’Egitto.
Il sonno rappresenta, infatti, anche la separazione dalla vita, l’allontanamento dagli altri, quasi un anticipo di morte; nell’episodio della Trasfigurazione questo sonno è vinto dall’apparire della gloria del Risorto. Quello dei discepoli non è quindi il sonno della stanchezza, ma quello dell’incomprensione che però grazie al Risorto si trasforma in visione estatica.
La gloria e la quotidianità
Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, ossia l’intero Antico Testamento, sono testimoni di questa gloria. Perché proprio loro e non altri, come ad esempio Abramo, o Davide? Mosè, colui che ha ricevuto la Legge al Sinai, ed Elia, il padre di tutti i profeti, rappresentano a buon diritto il Pentateuco e la Profezia. Ma sono anche due personaggi di cui non è mai stato conosciuto il luogo della sepoltura; per questo motivo, il popolo ne attendeva il ritorno. La loro presenza; il volto trasformato (divenuto “altro”, dice Luca) di Gesù; le vesti splendenti, bianche del colore dell’eternità (così bianche come nessun lavandaio della terra potrebbe renderle, aggiunge Marco col suo tipico stile colorito); la nube, chiaro simbolo di divinità; tutti questi segni proclamano la gloria divina del Risorto.
Tuttavia Pietro si mostra ancora affetto da un messianismo mondano, che gli vorrebbe far trattenere per sé la gloria del Signore senza più scendere a valle. La tenda che vuol costruire dovrebbe imprigionare fra gli uomini l’attendarsi di Dio sulla terra. Pietro parla di attendamenti fisici, costruiti da uomini. Ma la nube della gloria del Signore, la Shekhinah, lo copre insieme agli altri; non è l’uomo a poter contenere nei suoi paletti la gloria di Dio, è Dio invece che contiene tutti. La paura dei discepoli indica la presenza del Divino, a cui l’uomo non si può accostare con cuore leggero.
L’episodio della Trasfigurazione suggella la rivelazione di sé che Gesù sta dando ai discepoli; ma l’unica cosa che i tre prescelti comprendono è che è bello per loro essere lì! Essere lì è bello, davvero, ma non potranno passare la vita sul Tabor, la fatica del vivere riporta sempre a valle. È quello il luogo della quotidianità; è anche il luogo della croce. Di questo, precisa Luca, parlavano Mosè ed Elia, la testimonianza cioè della Legge e dei Profeti; dell’esodo, cioè della Pasqua di Gesù che avverrà in Gerusalemme. E l’ascolto del Figlio, chiesto dal Padre, riporta sulla via di Gerusalemme: ma quando tutto si dissolve rimane, a noi, Gesù solo. Non vedremo, noi, la sua gloria in questa terra, ma l’umiltà della carne; e la carne di Cristo, ci ripete continuamente papa Francesco, sono i poveri.
Una riflessione sulla divina Rivelazione: «Ascoltatelo!»
S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, Libro 2, Cap. 22
3 – La causa principale per cui nella legge scritta era lecito interrogare Dio e conveniente per i sacerdoti e profeti desiderare visioni e rivelazioni divine erano la fede a quei tempi non ben fondata e la legge evangelica non ancora stabilita… Poiché in questa età di grazia la fede in Cristo è diventata stabile e la legge evangelica si è manifestata, non v’è nessuna ragione che s’interroghi Dio e che Egli parli e risponda come allora. Infatti dandoci il Figlio suo, che è la sua parola, l’unica che Egli pronunzi, in essa ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più niente da manifestare.
4 – Multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis: novissime autem diebus istis locutus est nobis in Filio (Eb 1,1-2), come se dicesse: Quel che Dio in molti modi e in più riprese disse in antico ai nostri padri per mezzo dei profeti, l’ha detto in questi giorni in una volta a noi per mezzo del Figlio suo. Con queste parole l’Apostolo vuol far capire che Dio è rimasto quasi come muto non avendo altro da dire poiché, dandoci il Tutto, cioè suo Figlio, ha detto ormai in Lui tutto ciò che in parte aveva manifestato in antico ai profeti.
5 – Perciò chi oggi volesse interrogare il Signore e chiedergli qualche visione o rivelazione non solo commetterebbe una sciocchezza, ma arrecherebbe un’offesa a Dio, non fissando i suoi occhi interamente in Cristo per andare in cerca di qualche altra cosa o novità… Invero il Signore gli potrebbe rispondere in questo modo: Se io ti ho detto tutta la verità nella mia parola, cioè nel mio Figlio, e non ho altro da manifestarti, come ti posso rispondere o rivelare qualche altra cosa? …
Dal giorno in cui sul Tabor discesi con il mio Spirito su di Lui dicendo: Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui, ipsum audite (Mt 17, 5), cessai di istruire e rispondere in queste maniere e commisi tutto a Lui: ascoltatelo perché ormai non ho più materia di fede da rivelare e verità da manifestare… Colui che ora mi consultasse in quel modo e desiderasse che io gli dicessi e rivelassi alcunché, sotto un certo aspetto mi chiederebbe di nuovo Cristo e altre verità della fede… In tal modo farebbe un grave oltraggio al mio amato Figlio, poiché non solo in ciò mancherebbe alla fede, ma perché lo obbligherebbe ad incarnarsi di nuovo e ad affrontare ancora una volta la vita e la morte qui in terra…
6 – Se vuoi che io ti dica qualche parola di conforto, guarda mio Figlio, obbediente a me e per amor mio sottomesso e afflitto, e sentirai quante cose ti risponderà. Se desideri che io ti sveli alcune cose o avvenimenti occulti, fissa in Lui i tuoi occhi e vi troverai dei misteri molto profondi, la sapienza e le meraviglie di Dio le quali, secondo quanto afferma il mio Apostolo, sono in Lui contenute: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ Dei absconditi, tesori di sapienza che saranno per te profondi, saporosi e utili piú di tutte le cose che vorresti sapere.
Per questo lo stesso Apostolo si gloriava dicendo di aver fatto intendere che egli non conosceva se non Gesù Cristo e questo crocifisso (1Cor 2,2). Inoltre, se tu desideri altre visioni e rivelazioni divine o corporee, mira il Cristo umanato e vi troverai più di quanto pensi, poiché San Paolo afferma a tale proposito: In ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter (Col 2, 9).
7 – … Dal momento in cui Cristo crocifisso disse sul punto di morte: Consummatum est (Gv 19,30), cessavano non solo questi modo di fare, ma anche ogni altro rito e cerimonia dell’antica legge. Perciò dobbiamo lasciarci guidare in tutto in modo umano e visibile dalla legge di Cristo uomo… Tutto ciò che esce fuori da tale cammino è non solo curiosità, ma grande presunzione e noi non dobbiamo credere a cosa ricevuta per via soprannaturale, ma solo a quanto ci viene insegnato da Cristo uomo e dai suoi ministri, uomini anch’essi. Per tale ragione l’Apostolo scrive: Quod si angelus de cœlo evangelizaverit, præterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit (Gal, 1,8).
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 51, 3-4. 8)
Il Signore manifesta la sua gloria alla presenza di molti testimoni e fa risplendere quel corpo, che gli è comune con tutti gli uomini, di tanto splendore, che la sua faccia diventa simile al fulgore del sole e le sue vesti uguagliano il candore della neve.
Questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della Passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo.
Ma, secondo un disegno non meno previdente, egli dava un fondamento solido alla speranza della santa Chiesa; perché tutto il Corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato oggetto; e perché anche le membra si ripromettessero la partecipazione a quella gloria, che era brillata nel Capo.
Di questa gloria lo stesso Signore, parlando della maestà della sua seconda venuta, aveva detto: «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13, 43). La stessa cosa affermava anche l’apostolo Paolo dicendo: «Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8, 18). In un altro passo dice ancora: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 3. 4).
Ma, per confermare gli apostoli nella fede e per portarli ad una conoscenza perfetta, si ebbe in quel miracolo un altro insegnamento. Infatti Mosè ed Elia, cioè la legge e i profeti, apparvero a parlare con il Signore, perché in quella presenza di cinque persone si adempisse esattamente quanto è detto: «Ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni» (Mt 18, 16).
Che cosa c’è di più stabile, di più saldo di questa parola, alla cui proclamazione si uniscono in perfetto accordo le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento e, con la dottrina evangelica, concorrono i documenti delle antiche testimonianze?
Le pagine dell’uno e dell’altro Testamento si trovano vicendevolmente concordi, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo viene rivelato dallo splendore della gloria presente. Perché, come dice san Giovanni: «La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 17). In lui si sono compiute le promesse delle figure profetiche e ha trovato attuazione il senso dei precetti legali: la sua presenza dimostra vere le profezie e la grazia rende possibile l’osservanza dei comandamenti.
All’annunzio del Vangelo si rinvigorisca dunque la fede di voi tutti, e nessuno si vergogni della croce di Cristo, per mezzo della quale è stato redento il mondo.
Nessuno esiti a soffrire per la giustizia, nessuno dubiti di ricevere la ricompensa promessa, perché attraverso la fatica si passa al riposo e attraverso la morte si giunge alla vita. Avendo egli assunto le debolezze della nostra condizione, anche noi, se persevereremo nella confessione e nell’amore di lui, riporteremo la sua stessa vittoria e conseguiremo il premio promesso.
Quindi, sia per osservare i comandamenti, sia per sopportare le contrarietà, risuoni sempre alle nostre orecchie la voce del Padre, che dice: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).