Nella sequenza di tre azioni simboliche con cui Gesù inaugura il suo ministero a Gerusalemme (Mt 21,1-22), la seconda è compiuta nel tempio. Gesù nel tempio caccia i mercanti che lo profanavano con i loro traffici.
Tre azioni simboliche (Mt 21,1-22). Seconda azione simbolica: Gesù nel tempio (21,12-17)
Gesù entrato nel tempio caccia i mercanti, il giorno stesso del suo ingresso in Gerusalemme, compiendo un gesto profetico sulla linea di Ger 7,11: nel tempio non si fa mercato.
Il tempio di Gerusalemme
Al tempo di Gesù il centro della vita religiosa di Israele era il tempio di Gerusalemme, cui tre volte l’anno, per Pasqua, Pentecoste e festa delle Capanne, si recavano in pellegrinaggio i maschi ebrei adulti: si calcola che in occasione della Pasqua la popolazione, di circa 25.000 abitanti, si triplicasse.
La struttura del tempio
L’area del tempio era divisa in zone concentriche, che comportavano diversi gradi di santità e diversi requisiti di accesso. Il cortile esterno, o atrio dei Gentili, era accessibile a tutti; è qui che si era installato un mercato ove si vendevano gli animali per il sacrificio e si cambiavano le diverse valute nella moneta del tempio.
Un atrio più interno, detto atrio delle Donne o di Israele, era accessibile solo agli appartenenti al popolo di Israele, comprese le donne e i bambini, con esclusione, invece, dei pagani; un’iscrizione trilingue (ebraico, greco, latino) minacciava di morte i non ebrei che avessero osato varcarne la soglia.
Ancora più internamente, l’atrio degli Uomini era accessibile solo ai maschi adulti di Israele. Qui si trovava l’altare degli olocausti, sul quale si svolgevano i sacrifici.
Al centro di tutto stava il santuario propriamente detto, diviso in due parti, il Santo e il Santo dei Santi. Al Santo avevano accesso solo i sacerdoti, che sull’altare dei profumi bruciavano l’incenso due volte al giorno: per compiere questa funzione venivano estratti a sorte una volta nella vita. Vi si trovavano anche la menorah o candelabro a sette bracci e la tavola dei pani della proposizione. Una cortina separava questo ambiente da quello più interno, il Santo dei Santi.
Al Santo dei Santi aveva accesso solo il sommo sacerdote una volta l’anno, nello Jom Kippur in cui celebrava il solenne rito dell’espiazione. Nel primo tempio, costruito da Salomone, esso aveva contenuto l’arca dell’alleanza, ma nel tempio ricostruito dopo l’esilio la cella del Santo dei Santi era ormai vuota.
Maggiore era il grado di santità divina cui si accedeva, minore era il numero delle persone che vi aveva accesso. Dai pellegrinaggi erano esonerate le donne e i bambini, e inoltre gli schiavi, i mutilati, i ciechi, i sordi, gli infermi, i deboli di mente, i vecchi decrepiti e tutti coloro che non potevano salire a piedi per recarsi nel cortile del tempio.
I sacrifici
I sacrifici erano di due tipi, animali e vegetali.
Le offerte vegetali si limitavano a farina con olio e spezie; la libagione si faceva col vino; i profumi, soprattutto il balsamo, erano impiegati per l’offerta dell’incenso.
Le offerte sacrificali consistevano soprattutto in animali: bovini, ovini e colombi. Il principale sacrificio era l’olocausto (‘olah = ciò che sale), in cui tutta la vittima veniva bruciata. Esistevano poi i sacrifici di espiazione e di riparazione per le colpe commesse involontariamente, e i sacrifici pacifici o di comunione che venivano offerti per gratitudine o per devozione e che terminavano con un banchetto gioioso.
Il perdono dei peccati veniva invece chiesto con il gran rito del Kippur, giorno in cui il sommo sacerdote, dopo aver offerto sacrifici per sé e per la propria famiglia, entrava nel Santo dei Santi portando il sangue delle vittime, tori e capri, e invocava ad alta voce il nome del Signore, il Nome indicibile che nessun altro doveva pronunciare, che nella Bibbia è rappresentato dal Tetragramma JHWH e che gli ebrei leggono Adonai = Signore, mentre al di fuori del testo sacro lo sostituiscono con sinonimi o perifrasi quali Ha–sshem / Il Nome, Ha–kkavod / La Gloria, Shekinnah / L’attendarsi, Ha–qqadosh Baruk Hu / Il Santo Benedetto Egli Sia…
Ogni giorno nel tempio venivano offerti, oltre ai sacrifici dei devoti, due sacrifici perpetui (tamid), mattina e pomeriggio.
Un grande significato avevano inoltre le offerte votive spontanee, elargite anche senza una motivazione precisa, che rappresentavano una parte essenziale del tesoro del tempio.
Il mercato
Questi traffici erano necessari alla vita del tempio: i cambiavalute per cambiare il denaro profano, che recava l’effigie dell’imperatore e degli dèi pagani, nella moneta del tempio, mediante la quale, unicamente, si potevano fare le offerte; i mercanti per la vendita degli animali da sacrificare ai pellegrini che venivano da lontano. Lo scandalo consisteva nel fatto che il mercato, che avrebbe dovuto rimanere esterno all’area sacra, era stato introdotto all’interno nell’atrio dei Gentili, dissacrandolo. Sembra che questo mercato interno vi sia stato introdotto da Caifa nell’anno 30, mentre fino ad allora i fedeli avevano dovuto servirsi di mercati esterni come quello nella valle del Cedron.
L’episodio evangelico
L’episodio è riportato da tutti e quattro gli evangelisti, ma con differenze marcate fra Giovanni e i sinottici. In particolare:
- La cronologia. In Giovanni 2,13-25 l’episodio è collocato all’inizio della vita pubblica di Gesù, nei sinottici alla sua conclusione. Benché solitamente la cronologia giovannea sia più attendibile, in questo caso è più plausibile, storicamente, la cronologia sinottica. Infatti, un simile incidente avvenuto all’inizio del ministero pubblico di Gesù l’avrebbe subito stroncato impedendone il proseguimento.
- I particolari. Giovanni è più dettagliato e menziona espressamente e distintamente le tre categorie di animali destinati al sacrificio: bovini, pecore e colombe. Inoltre, riferisce anche lo strumento di cui Gesù si serve per cacciare i mercanti: un flagello di funicelle. Tutto questo ha un particolare significato.
- Il significato fondamentale. Nei sinottici si tratta di una “purificazione” del luogo di preghiera, trasformato in spelonca di ladri. In Giovanni si tratta della cessazione dei sacrifici antichi, simboleggiata dalla liberazione di bovini, pecore e colombe, e della proclamazione che il nuovo tempio sarà il corpo di Cristo. Quello di Gesù è in Giovanni un atto messianico ben più importante che nei sinottici: non per niente egli lo sottolinea procurandosi un flagello. Era il Messia che per coloro che lo attendevano sarebbe venuto impugnando un flagello per castigare i perversi (Talmud b. Sanh. 98b). Ma c’è di più: è Gesù il vero e nuovo tempio.
Non sacrifici ma guarigioni
In compenso, grazie a Gesù entrano nel santuario ciechi e zoppi, che non vi avevano accesso in quanto menomati e impossibilitati a seguire rigorosamente le regole di purità, e vengono guariti. La vecchia economia ha trovato il suo compimento: Gesù non fa sacrifici ma guarigioni. Il tempio è solo una casa di preghiera, che restituisce all’uomo la sua dignità, non chiede più sacrifici animali: l’unico sacrificio sarà la croce.
I bambini, che acclamano nel tempio il Figlio di Davide, sono come angeli di una nuova liturgia in terra.