È oggi diffusa un’interpretazione secondo cui Gesù sarebbe stato convertito dalla donna cananea alla missione verso gli stranieri. Il motivo di tale affermazione è che in questo episodio Gesù si mostra riluttante a concedere la sua opera e a mostrare misericordia verso i «cagnolini», cioè gli stranieri, i pagani chiamati popolarmente, in Israele, «cani» (il cane è animale impuro). Tale interpretazione è priva di fondamento. Lo dimostrerò facendo prima una lunga premessa.
Una premessa: Israele e lo straniero
L’avventura storica di Israele inizia col cammino di Abramo (XIX secolo a.C.) che, originario della città di Ur nella Mesopotamia meridionale, prima migra con la famiglia nella città di Harran nell’alto corso dell’Eufrate (Gn 11,27-31), poi si sente chiamato a strapparsi dalla sua sicura condizione di ricco sedentario ed a farsi nomade per fede (Gn 12,1-9), straniero in terra altrui.
Stranieri in terra straniera
Stranieri in terra altrui sono anche i suoi discendenti che, dopo aver girovagato nella terra di Canaan, con Giacobbe e tutta la sua famiglia migrano in Egitto assumendovi la condizione di schiavi. Con Mosè peregrinano 40 anni nel deserto, finché non si insediano nella terra di Canaan; ma anche quando vi si stabiliscono saldamente non dimenticano la propria condizione di migranti: «Poiché un pellegrino io sono presso di te, un forestiero come tutti i miei padri» (Sal 39,13), riconosce l’umile salmista.
Questa condizione di estraneità alla terra contrassegnerà Israele in tutta la sua storia, entrando per così dire nel suo Dna.
Dio stesso dichiarerà: «mia è la terra e voi siete presso di me come forestieri e inquilini» (Lv 25,23).
Potremmo accogliere questa dichiarazione e farla finita lì. Ma c’è molto di più: Israele deve comportarsi con lo straniero come Dio si è comportato con lui.
Lo straniero come luogo teologico
Non solo Israele è in una situazione teologica, per così dire, di estraneità, ma la considera anche privilegiata: perché la precarietà della sua condizione è irresistibile per la misericordia di Dio. Dio, infatti, si manifesta nello straniero (vedere l’episodio di Genesi 18 in cui Abramo, accogliendo gli stranieri, accoglie Dio), e si fa lui stesso straniero e pellegrino sulla terra:
«Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro?» (II Sam. 7,6-7).
Anche se tutta la terra gli appartiene, Dio si fa Straniero, e la sua epifania avviene nello straniero.
Lo straniero come immagine identitaria
È proprio nello straniero che Israele riconosce le proprie radici.
«Tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio:
Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione: il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato.
Le deporrai davanti al Signore tuo Dio e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio, con il levita e il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia» (Dt. 26,5-11).
Mosè e i Profeti
Le parole dei profeti abbondano di oracoli sull’inclusione degli stranieri nel popolo di Dio o comunque nel cammino di una salvezza universale. Ne riporto uno, i cui protagonisti sono gli eterni nemici di Israele, Egitto e Mesopotamia:
«In quel giorno ci sarà una strada
dall’Egitto verso l’Assiria;
l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria;
gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri.
In quel giorno Israele sarà terzo con l’Egitto e l’Assiria,
una benedizione in mezzo alla terra.
Li benedirà il Signore degli eserciti:
“Benedetto sia l’Egiziano mio popolo,
l’Assiro opera delle mie mani
e Israele mia eredità!”» (Is 19,23 ss., VIII secolo a.C.).
Cito anche uno scritto postesilico:
«Non dica lo straniero che ha aderito al Signore:
“Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!”…
Poiché così dice il Signore:
… “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore
per servirlo e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
saliranno graditi sul mio altare,
perché il mio tempio si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli”» (Is 56,3.6-7, circa V secolo a.C.).
La legislazione mosaica
La lista sarebbe lunghissima. Tuttavia, questo potrebbe essere il sogno di un profeta, un’utopia. È indubbia concretezza, invece, la ricca legislazione sociale mosaica a favore degli stranieri residenti in Israele. Lo straniero vi figura come terza categoria di fragilità, dopo l’orfano e la vedova, nelle leggi che tutelano i più deboli. Ne cito qualcuna:
Codice dell’Alleanza
«Non molesterai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d’Egitto» (Es 23,29).
«Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero» (Es 23,12).
Codice deuteronomico
«Il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei Signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto» (Dt 10,16-19).
«Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nel tuo paese, nelle tue città; gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e vi volge il suo desiderio: così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato» (Dt 24,14 s.).
«Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova, ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; perciò ti comando di fare questa cosa.
Quando, facendo la mietitura del tuo campo, vi avari dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova, perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani.
Quando bacchierai i tuoi ulivi, non otrnerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questa cosa» (Dt 24,17-22).
Codice di Santità
«Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono JHWH, vostro Dio» (Lv 19,33-34).
Al tempo di Gesù
Questo è il patrimonio teologico, spirituale e sociale trasmesso dai padri al popolo di Israele. Questo veniva insegnato, e Gesù non poteva ignorarlo. Non poteva ignorare che era volontà di Dio che anche gli stranieri avessero salvezza accanto ad Israele.
Ovviamente, tutto questo poteva essere e rimanere anche solo teoria, e non essere tradotto fedelmente in una prassi. Di fatto, l’avversione per lo straniero in Israele si poteva essere acuita data l’oppressione politica e fiscale esercitata dai romani, e gli stranieri comunque non avevano accesso al vero e proprio tempio, non potendo andare oltre l’Atrio dei Gentili, l’area esterna che lo circondava. E, naturalmente, frequentare gli stranieri significava rendersi culturalmente impuri, visto che essi non osservavano le leggi di purità rituale. I pagani erano presenti amministrativamente e militarmente in Palestina come rappresentanti dell’Impero romano; inoltre la Galilea, come terra di confine, era molto a contatto con i pagani. La Decapoli, poi, era una regione ellenizzata e romanizzata; e non parliamo della zona di Tiro e di Sidone, l’antica Fenicia.
L’atteggiamento di Gesù
Dunque: è proprio vero che Gesù, fino all’incontro con la cananea, aveva escluso gli stranieri dalla propria missione?
Falso. Gesù si è indirizzato primariamente verso le pecore perdute della Casa d’Israele, ma ha già incontrato, ai suoi primi passi nel ministero pubblico, il centurione romano (Mt 8,5-13), ha accolto senza problemi la sua supplica e ne ha elogiato grandemente la fede, dopo essersi dichiarato pronto ad entrare nella sua casa (l’episodio nell’interpretazione di Zeffirelli QUI).
Non dimentichiamo inoltre che il vangelo secondo Matteo si apre con i capitoli sull’infanzia di Gesù in cui i Magi stranieri e pagani, e non gli ebrei, accolgono con fede la venuta del Re dei Giudei.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma qui si sta parlando di Matteo, l’ottica è quella dell’evangelista, mentre in Marco – il vangelo più primitivo – l’episodio del centurione manca addirittura. Quindi nella forma primitiva di Vangelo Gesù viene a contatto con i pagani solo quando incontra la cananea?
Gesù e gli stranieri nel vangelo di Marco
Ebbene, in Marco, se manca l’episodio della disponibilità di Gesù verso il centurione pagano, sono però presenti molti segni di apertura ai pagani. Gesù inizia la sua attività in Galilea; ma già chiamando alla sua sequela Levi il pubblicano, collaborazionista con i romani, infrange una barriera che è politica ma anche etnica e cultuale. La mensa in Israele era divenuta luogo di divisione, perché non si poteva sedere a fianco di persone impure e dividere con loro il cibo: si sarebbe divenuti impuri come loro. Eppure, Gesù siede a tavola con i pubblicani e i peccatori. I “peccatori” con cui condivide la mensa insieme ai pubblicani sono, nel linguaggio dell’epoca, i pagani: peccatori per antonomasia, perché ignorano la legge (cfr. Mc 2,14-17).
Nella Decapoli e in Fenicia
Recandosi poi nel paese dei Geraseni, Gesù va in terra pagana, la Decapoli, terra impura, tanto è vero che vi si allevavano i porci, allevamento proibito in terra di Israele. Qui Gesù libera l’indemoniato dalla Legione di demoni e lo rimanda alla sua casa perché vi annunci la misericordia del Signore (Mc 5,1-20): lo investe di una missione apostolica in una terra pagana, la Decapoli appunto. Vi basta?
Quando Gesù si reca nella regione – pagana – di Tiro (cosa ci sarebbe andato a fare? Una gita turistica?) e incontra la cananea, ha già mostrato una scelta di rapporto privilegiato con i pagani. Il suo iniziale atteggiamento di eclatante rifiuto è una sceneggiata, una provocazione della fede della donna, proprio come lo è in Matteo la risposta (di segno opposto) data al centurione: «Io verrò e lo guarirò» (Mt 8,7).
In conclusione
In conclusione, c’è tutto il complesso delle Sacre Scritture, Antico Testamento e Vangeli, a dimostrare che fin dall’inizio della sua missione pubblica Gesù è orientato verso gli stranieri, i pagani. Probabilmente, Marco omette l’episodio del centurione perché nell’economia del suo vangelo deve essere proprio un centurione pagano, menzionato per la prima volta nel suo vangelo (Mc 15,39), a professare la fede degli uomini nel Figlio di Dio, fino a quel momento proclamata solo da voci soprannaturali (la voce del Padre, la voce dei demoni esorcizzati). Ma Gesù è venuto subito a contatto con gli stranieri, è entrato nel loro territorio, li ha elogiati per la loro fede; non poteva essere da meno dei profeti.
Rispecchia il cammino storico della Chiesa il fatto che la salvezza sia iniziata da Israele e solo successivamente abbia abbracciato, nel suo cammino, i pagani. Ma Gesù, proprio per portare salvezza, ha infranto molte regole; ha infranto anche quella che imponeva di non contaminarsi con i pagani, lui che toccava persino i lebbrosi. E sarà proprio un altro centurione, Cornelio, a segnare l’ingresso dei pagani nella Chiesa (cap. 10 degli Atti degli Apostoli). Un ingresso certamente già sognato e voluto da Gesù perché ampiamente proclamato nelle Antiche Scritture:
«[Il Signore] mi disse:
“È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti di Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra”» (Is 45,20-22).
Poteva davvero Gesù ignorarlo agli inizi del suo ministero?