
Nella precedente sezione narrativa, Gesù si è manifestato ai discepoli nella sua condizione divina di Figlio ma anche nella sua missione di Messia sofferente. Il duplice registro è espresso, nel linguaggio stesso di Gesù, attraverso il riferimento alla complessa figura del Figlio dell’uomo. Adesso, giunto Gesù a Gerusalemme, il ritmo si fa ternario (tre azioni simboliche, tre parabole, tre dispute), per concludersi con sette «guai».
Tre azioni simboliche. Prima azione: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme (21,1-11)

L’ingresso glorioso di Gesù in Gerusalemme è narrato da tutti gli evangelisti: Gesù figlio di Davide, re umile e pacifico, incontra la figlia di Sion festante. Si adempie così perfettamente la profezia di Zc 9,9:
«Rallègrati molto, figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco il tuo re a te viene:
Egli è giusto e vittorioso, è mite
e cavalca su un asino,
e su un puledro, figlio di un’asina».
L’asino è la cavalcatura del re che viene in pace, in contrasto con l’immagine militare del cavallo, l’animale della guerra. Troviamo infatti in Matteo la formula di compimento, «Questo avvenne…». Tale è l’aderenza di Matteo al testo veterotestamentario, che mentre gli altri tre evangelisti parlano di un solo asinello, Matteo ne mette in scena due, l’asina col puledro. Al suo solito, ama raddoppiare le presenze…
Due asini o uno solo?

La situazione creata appare abbastanza assurda. Quando ero piccola, e leggevo il Vangelo, mi chiedevo come fosse stato possibile che Gesù fosse entrato in Gerusalemme cavalcando due asini contemporaneamente. Trattandosi di una madre col suo piccino, pensavo che forse Gesù si fosse seduto di lato, all’amazzone, sul dorso dell’asina grande, tenendo i piedi – con molta gentilezza – sulla schiena dell’asinello. Mi sembrava che fosse l’unica possibilità; ma non mi convinceva, perché poi riflettevo che durante il cammino i due si sarebbero spostati fra di loro e Gesù non avrebbe potuto mantenere a lungo quella posizione. Eppure, il testo di Mt 21,7 dice esplicitamente che Gesù si sedette su di essi, al plurale. Com’era possibile?
Il parallelismo poetico
Anche in questa affermazione di Matteo dobbiamo leggere un simbolismo nascosto. Il simbolismo nasce dal perfetto compimento della profezia di Zaccaria 9,9 che, come abbiamo visto, parla di un asino e di un puledro figlio di asina. Ma in realtà non sono due animali distinti: la duplicazione è semplicemente il modo biblico di fare poesia, rimando non con le terminazioni delle parole ma con le immagini. Ne troviamo esempi a bizzeffe: cito solo il salmo 8, al versetto 5 («che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?»), dove l’uomo e il figlio dell’uomo non sono due persone diverse, ma due modi sinonimi di indicare la stessa realtà. Le immagini vengono duplicate per rafforzarle, non perché si tratti di due cose distinte.
In questo modo Matteo sottolinea fortemente il compimento, in relazione alla profezia in cui, secondo le regole della profezia biblica, asino e puledro figlio di un’asina sono lo stesso animale ripetuto con due immagini un po’ diverse a mo’ di rima. Tuttavia, per San Giustino l’asina adulta, già sottoposta al giogo, sarebbe simbolo degli ebrei soggiogati dalla legge, mentre il puledro simboleggerebbe i pagani non soggiogati dalla legge di Mosè (Dialogo con Trifone, 53).
Ma allora che cosa c’è di vero?
Allora il particolare dei due asinelli non è storico? Matteo lo ha inventato di sana pianta? Si tratta di un puro simbolo? Non necessariamente. È plausibile che accanto all’asina madre vi fosse anche il puledrino, per non separarlo prematuramente da lei. È plausibile che gli altri evangelisti abbiano preso nota solo dell’animale cavalcato, mentre Matteo abbia rilevato e fornito il dettaglio di due animali, madre e figlio, per un processo di percezione selettiva (attenzione a quanto risponde alle nostre aspettative anche inconsce). Ci salta maggiormente all’occhio quello che ci aspettiamo di vedere, e sicuramente Matteo, dall’oracolo di Zc 9,9, si aspettava, preferibilmente, due animali; e Gesù è come se li cavalcasse entrambi.
Clima di festa e di agitazione
Le folle esultanti lo acclamano: Osanna! Originariamente, hosha‘na’ – che proviene da Sal 118,25 – è un’invocazione di salvezza (Deh, salva!), ma in contesto di festa l’invocazione si era trasformata in una acclamazione di esultanza e lode.
Tutto adempie le antiche Scritture. Anche le parole seguenti, Benedetto colui che viene… sono tratte dallo stesso salmo 118. Osanna nel più alto esprime l’unirsi del tripudio delle schiere celesti degli angeli alla voce esultante delle folle.
Gerusalemme, però, è agitata (come già si era turbata insieme al re Erode per la nascita del Re, cfr. 2,3), interrogandosi su chi sia «costui». È il profeta, per le folle, ma i profeti vengono uccisi in Gerusalemme…