Geremia: l’ultima confessione. L’ultima e più intensa confessione di Geremia si trova nel cap. 20.
Geremia: l’ultima confessione.
Tu mi hai sedotto, Signore…
20 7 Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto forza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno;
ognuno si fa beffe di me.
8 Quando parlo, devo gridare,
devo proclamare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno.
9 Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più in suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
chiuso nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.
Il testo inizia con una frase che rimanda all’amore, una immagine di seduzione. Non si tratta di una coercizione invincibile, ma di un corteggiamento al quale il profeta non ha saputo dire di no, anche se avrebbe potuto. Come un fuoco interiore che arde e consuma irresistibile: si vorrebbe spegnere, ma il suo ardore divampa.
Geremia: l’ultima confessione.
Terrore all’intorno!
20 10 Sentivo le insinuazioni di molti:
«Terrore all’intorno!
Denunciatelo e lo denunceremo».
Tutti i miei amici spiavano la mia caduta:
«Forse si lascerà trarre in inganno,
così noi prevarremo su di lui,
ci prenderemo la nostra vendetta».
11 Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso,
per questo i miei persecutori
cadranno e non potranno prevalere;
saranno molto confusi perché non riusciranno,
la loro vergogna sarà eterna e incancellabile.
12 Signore degli eserciti, che provi il giusto
e scruti il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di essi;
poiché a te ho affidato la mia causa!
13 Cantate inni al Signore, lodate il Signore,
perché ha liberato la vita del povero
dalle mani dei malfattori.
Come vedremo, Geremia aveva avuto uno scontro con Pascur, sacerdote sovrintendente capo del tempio, che a motivo della sua predicazione lo aveva fatto arrestare, fustigare e incarcerare. Per questo, il profeta gli aveva dato, da parte del Signore, un nome tragico: Terrore all’intorno! Purtroppo, la predicazione del profeta era improntata al tema del castigo divino e del terrore che questo doveva ispirare, attirandogli persecuzioni e scherni, tanto che questa sua peculiare espressione, Terrore all’intorno, era diventata una sorta di soprannome, di nomignolo dispregiativo che gli era stato appiccicato addosso.
Ad aggravare le ripercussioni sull’animo di quest’uomo riservato e sensibile, sono proprio gli amici a tradirlo spiandolo per trovare in lui motivo di denuncia. “Tutti gli uomini della mia pace”, recita il testo invece di usare semplicemente la parola “amici”; il senso originale è leggermente diverso in quanto si sposta sull’alleanza che dovrebbe tenere insieme coloro che in teoria concordano su quale sia il bene della nazione.
Ma se gli uomini tradiscono, Dio è fedele, il Dio che è sempre dalla parte degli ultimi e degli oppressi…
Geremia: l’ultima confessione.
Maledetto il giorno… Maledetto l’uomo…
20 14 Maledetto il giorno in cui nacqui;
il giorno in cui mia madre mi diede alla luce
non sia mai benedetto.
15 Maledetto l’uomo che portò la notizia
a mio padre, dicendo:
«Ti è nato un figlio maschio», colmandolo di gioia.
16 Quell’uomo sia come le città
che il Signore ha demolito senza compassione.
Ascolti grida al mattino
e rumori di guerra a mezzogiorno,
17 perché non mi fece morire nel grembo materno;
mia madre sarebbe stata la mia tomba
e il suo grembo gravido per sempre.
18 Perché mai sono uscito dal seno materno
per vedere tormenti e dolore
e per finire i miei giorni nella vergogna?
Le fasi di rassicurazione, in Geremia, sono altalenanti. Questa sua più lunga e violenta “confessione” si conclude infatti con un ritorno all’avvilimento e alla rabbia: il profeta arriva a maledire la propria nascita. Naturalmente non può maledire il padre e la madre, perché il rispetto per i genitori è un preciso comandamento la cui violazione costituirebbe un delitto capitale. Allora, per un tipico meccanismo di sostituzione, o di aggressività reindirizzata, maledice il giorno in cui è nato… e, non bastando questo, maledice anche il pover’uomo che portò la notizia della sua nascita al padre!
Ambasciator non porta pena, si dice oggi, ma nell’antichità portava pena eccome, tanto che al messaggero di una buona notizia si dava una ricompensa, mentre il messaggero di disgrazie rischiava anche la vita. Ad esempio, nel 480 a.C. gli spartani di Leonida uccisero gli ambasciatori del re persiano Serse. Tolumnio re di Fidene, nel 438 a.C. fece massacrare quattro ambasciatori romani. Lo stesso David, di fronte al messaggero che spera gli porti notizie del figlio Assalonne, si illude di poter pensare che, dato che l’uomo è una brava persona, anche la notizia che porta sarà buona (2 Sam 18,27)… Il manzoniano Conte Attilio sostiene, in una discussione, che il messaggero che reca una sfida non gradita è “violabile, violabilissimo, bastonabile, bastonabilissimo” (Promessi Sposi cap. V)
Questo perché di fronte alle contrarietà abbiamo bisogno di trovare un responsabile, e quello più a portata di mano è chi ce le annuncia. Così, Geremia, non potendo addossare la colpa dei propri mali a coloro che lo hanno generato, la addossa a colui che ha portato a suo padre la buona notizia della nascita di un figlio maschio, che buona per lui non è più, ma si è mutata in luttuosa a causa delle sofferenze che il profeta deve subire… così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano (tanto per citare ancora il Manzoni)!