Lettura continua della Bibbia. Geremia e l’Etiope (cap. 38)

Geremia nel pozzo. Di Rikard Ågren – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35218351

Geremia non si piega né alle minacce né alle lusinghe. Per questo, sarà gettato nuovamente in una cisterna, questa volta in un pozzo fangoso, a morirvi. Le parole che ripete sono sempre quelle:

«Così dice il Signore:“chi rimane in questa città morirà di spada, di fame e di peste; chi si consegnerà ai Caldei vivrà e gli sarà lasciata la vita come bottino e vivrà”. Così dice il Signore:“certo questa città sarà data in mano all’esercito del re di Babilonia, che la prenderà”» (38,2-3).

Geremia in un pozzo fangoso

Così i suoi avversari, i ministri e i generali che si muovono sul livello puramente umano del nazionalismo usando lo strumento della politica filo egiziana, chiedono al re che Geremia venga messo a morte. E quest’uomo ambiguo e altalenante, il re Sedecìa, un po’ Erode Antipa e un po’Ponzio Pilato, non trova altra risorsa che acconsentire: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi» (38,5).

«Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango» (38,6).

Geremia e lEtiope

Geremia affonda nel fango. Vi morirà di stenti, se nessuno lo salva. Ma Dio non interviene con un miracolo clamoroso: non è il suo stile solito. Di solito agisce per mezzo di noi: è noi che incarica di fare la sua volontà. In questo caso, agisce per mezzo di una persona particolare che forse – come tanti eroi della vita quotidiana – non ha nemmeno un nome. È ‘Ebed-Melek, un eunuco etiope che servendo a corte ha la possibilità di intercedere per lui.

È uno straniero. Dei concittadini, conoscenti, amici, parenti di Geremia non se ne trova uno che si preoccupi di lui: è una persona scomoda, imbarazzante, sempre a contraddire… Solo uno straniero, che magari ha sperimentato su di sé pregiudizio ed emarginazione, si dimostra sensibile verso la situazione disperata del profeta. Nemo propheta in patria, dirà Gesù riferendosi alla propria situazione, ma rifacendosi al modello di vita di tutti i profeti che lo hanno preceduto. Forse nemmeno l’etiope crede alle parola di Geremia: ma ha compassione di lui.

È un eunuco, cioè – almeno secondo gli antichi – un mezzo uomo, che ha la forza muscolare di un maschio ma non ne ha la capacità generativa, e quindi appare già come morto, perché non lascerà discendenti a tramandare il suo nome. Eppure è solo questa persona, che in un certo senso per il suo futuro di sterilità appartiene già al regno dei morti, a impedire che Geremia vi discenda.

Non ha neppure un nome. ‘Ebed Melek vuol dire semplicemente Servo del Re, quindi è un appellativo, un titolo, ma non un nome proprio; è, si direbbe se si facesse l’analisi grammaticale, un nome comune di persona. Chi sa con quanta altra gente lo condivide: è un nome di anonimato, se permettete l’ossimoro. O forse è il nome che gli è stato dato a corte durante il suo servizio, un servizio utile che gli ha guadagnato un nome anonimo. Un nome che non doveva passare alla storia.

Con questo suo nome che forse non è neppure un nome, ‘Ebed Melek l’Etiope si è invece meritato una menzione speciale. Andando contro corrente, si è preso cura di un condannato e lo ha riportato alla vita. Sarà ricordato in eterno.