
Abbiamo dedicato molte parole al primo versetto di tutta la Bibbia. Nella foto vedete il prospetto di tutto il complesso dell’Antico Testamento, di cui Genesi è il capofila. Adesso passiamo brevemente al secondo versetto di Genesi e dell’intera Scrittura, Genesi 1, v. 2.
Genesi 1,2

Il secondo versetto ha una struttura tripartita. Descrive infatti:
- La terra, informe e vuota, cioè una materia confusa e deserta, priva di vita;
- La tenebra (choshek) che incombe sulla superficie dell’abisso (tehom);
- Il soffio di Dio che aleggia (merachepheth) sulle acque.
Complessivamente, l’immagine originaria è quella della mancanza, dell’assenza, di un caos acquatico tenebroso dove nulla si distingue. Sia ben chiaro, però: nella Bibbia, questa materia oscura e caotica è creata da Dio, non è ciò che costituisce il Principio come nelle cosmogonie mitologiche.
Ma qui entra in scena la Ruach di Dio.
La Ruach di Dio

«La ruach di Dio aleggiava sulle acque…». Non sempre è facile tradurre la parola ruach, che in ebraico ha più significati.
- Un significato antropologico: è il respiro
- Un significato cosmologico: è il vento
- Infine, un significato teologico: è lo Spirito di Dio.
Questa vasta gamma di significati ci può meravigliare, ma facciamo un esame di coscienza con l’italiano: quante cose si possono indicare con la parola «spirito»?
- Anima
- Entità priva di corporeità
- Spirito Santo
- Spettro
- Senso di un’opera, di un’epoca, di un ambiente
- Disposizione emotiva
- Complesso di qualità morali
- Forza d’animo
- Senso dell’umorismo
- Alcol denaturato
- In greco, segno grafico di aspirazione
… e ce ne saranno sicuramente altre.
Allora, in ebraico ruach può indicare il vento, ma anche lo Spirito divino. La traduzione dipende dal contesto. Qui potrebbe tradursi con «Spirito di Dio», ma anche con «un grande vento».
L’azione materna
In ogni caso, questa ruach indica un dinamismo che inizia a muovere la massa inerte del creato. Ma dobbiamo tenere presente una particolarità: in ebraico, ruach è femminile. E femminile è il verbo merachepheth che esprime l’azione compiuta dalla ruach: quella di aleggiare sulle acque, come in Dt 32,11:
«Come un’aquila che veglia la sua nidiata,
che aleggia sopra i suoi nati,
egli spiegò le ali e lo prese,
lo sollevò sulle sue ali».
L’azione indica il «volare dolcemente», il «librarsi» in vista di posarsi, come la colomba di Noè (Gn 8,8-9), come l’aquila che si libra sul proprio nido per proteggere o covare le uova o i piccoli: è un’azione materna.
Un’interpretazione diffusa fra i rabbini e i Padri ha infatti compreso l’azione della Ruach di Dio come quella di covare: scaldare e vitalizzare «la sostanza delle acque, come un uccello femmina che cova le sue uova e scaldandole comunica loro una certa forza vitale» (Basilio, Omelie sull’Esamerone II,6; cfr. Gerolamo, Quaestiones in Genesim). Il grande Rashi spiegava: «come una colomba che aleggia sopra il nido. Acoveter in lingua locale» (Commento alla Genesi, Marietti 1985, p. 5).
Il Targum, antica traduzione aramaica, parafrasa:
«La terra era deserta e caotica, priva di uomini e di animali, vuota di ogni coltivazione di piante e di alberi. L’oscurità si stendeva sulla faccia dell’abisso e uno spirito d’amore che procedeva dal Signore soffiava sulla faccia delle acque».
Questo spirito di amore, questa ruach, esprime in un certo senso la maternità divina, e torna anche nelle parole di Gesù;
«Gerusalemme, Gerusalemme… quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Mt 23,37; Lc 13,34).