Il 17 febbraio di ogni anno si celebra, in Italia, la Giornata del Gatto. Propongo, per sottolinearla, un binomio importante: gatti e monasteri, un binomio senza problemi. Contrariamente alla radicata diceria secondo cui il gatto nel Medioevo cristiano sarebbe stato perseguitato universalmente come simbolo del Maligno, dobbiamo sapere che il gatto nei monasteri era di casa.
I motivi sono ovvii: il gatto proteggeva dagli assalti dei topi le due ricchezze dei monaci, i granai e gli scriptoria. Difendeva i magazzini, svolgendo una funzione molto importante, perché il monachesimo aveva salvato l’Europa occidentale dal ricadere nella barbarie dopo il dissolvimento dell’impero romano, continuando a bonificare terreni, a impedire l’avanzata delle foreste (all’epoca, era una priorità, come ora lo è il rimboschimento), a coltivare la terra con i metodi più sviluppati.
Ma un’altra opera di immenso valore ha compiuto il monachesimo: quella di conservare e trasmettere la cultura classica che non avendo altri conoscitori sarebbe caduta nel dimenticatoio. Merito dell’opera assidua degli amanuensi, che copiavano e ricopiavano gli antichi manoscritti facendoli arrivare sino a noi; e la pagina di carta o pergamena, bella asciutta e croccante, pare che piaccia ai topi tanto quanto il grano… Perciò è merito dei monaci, e dei loro gatti, se tutto questo patrimonio è stato consegnato ai posteri.
Gatti e monaci sono andati d’accordo in tutte le culture, anche quelle dell’Estremo Oriente, perché c’è anche un altro aspetto del gatto che ai monaci piaceva e piace, oltre a quello utilitaristico della difesa del loro patrimonio: il gatto è silenzioso, meditativo, contemplativo. Cosa contempli non ci è dato sapere, fatto sta che trascorre in meditazione gran parte della sua giornata. Ed inoltre il gatto dorme, come si dice, con un occhio solo, perciò, come il monaco, è sempre pronto a svegliarsi ed a passare all’azione. Questa possibilità di repentino passaggio dal sonno alla veglia lo ha fatto assimilare ai monaci, che ogni notte dovevano passare dal sonno alla preghiera senza indugi.
Nel Medioevo
I gatti hanno moltissime risorse, si sa. Nell’antichità erano presenti nell’area egiziana, dato che l’enorme produzione di grano richiedeva fedeli custodi dei granai; da lì, il gatto si diffuse in Europa, attraverso i mercanti fenici che aveva rubato degli esemplari agli egiziani, essendone proibita l’esportazione. La popolarità del gatto va di pari passo con lo sviluppo agricolo, per cui diviene importante proprio nei monasteri. Addirittura, una miniatura prodotta nell’abbazia di Cluny, in Francia, ritrae un gatto intento a dipingere (pare che anche in Egitto esistessero gatti pittori, i reperti archeologici sembrano dimostrarlo).
Era ovvio che nei monasteri i gatti si mostrassero molto interessati agli amanuensi, che trascorrevano fra penne e tinte tutte le ore di luce della giornata. Anche se facevano danni, salendo sullo scrittoio, potevano giocare con i colori, fino a diventare pittori essi stessi: con quali risultati, non sapremmo dire. Così, nella miniatura di cui stiamo parlando, un gatto nero si sta ingegnando di catturare, nella gabbietta, il Titti di quei tempi, mentre sotto di lui un gatto rosso, accovacciato, si sta lavando. Atteggiamenti abituali. Ma il terzo gatto, in piedi, fornito di vaschette colme di colori, è intento a dipingere tracciando disegni con le zampine…
Gatti in processione
Il gatto prega? Questa domanda è certamente azzardata se non assurda: è un animale… Tuttavia, vi presento le immagini di una processione felina che ogni mattina si ripete presso il monastero russo di Optina: QUI. Non perdetevi questo video.
Non voglio esagerarne l’importanza, ma conoscendo bene l’indole dei gatti appare strano questo loro comportamento di gruppo. Ogni giorno il custode percorre l’intero perimetro del monastero tenendo in mano due croci, una grande e una piccola, e con la piccola benedice tutti gli ambienti davanti ai quali si sofferma. È solo, ma la sua solitudine è stemperata dalla presenza felina: una fila di gatti lo accompagna, seguendolo – talvolta precedendolo – sulla stradina tracciata nella neve.
Questi gatti, ben rimpinguati per resistere al gelo invernale, vivono sul territorio del monastero allo stato selvatico. Certamente, nessuno li ha addestrati per partecipare ad una processione religiosa (provate voi ad addestrare il gatto a fare qualcosa a comando… è più facile che sia lui ad addestrare voi). Tuttavia appena vedono il custode formano una colonna e lo seguono, come se volessero partecipare o almeno assistere alla benedizione. Da notare che non ricevono il cibo in quella occasione.
«Aiutiamo i poveri, gli animali, gli amici e i nemici»
Sul sito del Monastero degli Angeli di Optina si trova scritto:
«La nostra è una comunità del “sì” e mai del “no”, non possedendo nulla, e usiamo le nostre forze e il nostro lavoro per aiutare i poveri, gli animali, soccorrere gli amici e pregare per i non amici, per far avanzare la mente e lo Spirito e procedere nella via indicata da Cristo. Da noi sono benvenuti gli animali poiché la natura è espressione della gloria di Dio».
L’antico monastero di Optina fu un grande centro di spiritualità, frequentato anche da Gogol, Tolstoj e Dostoevskij. Dopo la rivoluzione russa i monaci furono deportati, l’ultimo abate fucilato, e il monastero in buona parte distrutto: sul cimitero si costruì una sala da ballo. A partire dal 1987 il monastero rinacque. Mi auguro che le immagini di pace che oggi trasmette possano toccare anche il cuore degli uomini.
Per l’opera di salvataggio dei gatti che sta svolgendo il Monastero ortodosso di Odessa nel contesto della guerra in Ucraina, vedere QUI.
I gatti nei monasteri russi
I gatti sono gli animali prediletti dei religiosi russi, e gli unici ad avere libero accesso in chiesa. Nel 2016 per la prima volta è stato pubblicato il calendario «Pope e il gatto», dove alcuni sacerdoti hanno posato con i loro amici felini.
Non c’è da stupirci, perché in Russia il gatto è sempre stato amato. I primi gatti vennero portati in Rus’ già in epoca precristiana dai marinai. Fino al XV secolo erano considerati merci preziose, tanto che il costo di un gatto era paragonabile al prezzo di un animale da lavoro come il bue. Per un gatto si pagavano diverse grivna, lingotti in argento da 205 grammi. I gatti, oltre ad essere gli unici animali ammessi in chiesa, vivevano anche alla corte dello zar, e talvolta venivano persino ritratti.
Lo zar Pietro I, in un’ordinanza, rese obbligatorio «avere dei gatti presso i granai, per proteggere questi ultimi e spaventare i topi e i ratti». Il gatto preferito di Pietro I era di origine olandese e si chiamava Vasilij. Caterina la Grande, al contrario, non amava particolarmente i gatti, ma non poteva fare a meno di loro. Non solo li lasciò vivere indisturbati all’Ermitage, ma diede loro anche un nuovo status di «guardiani delle gallerie d’arte», ordinando: «Suddividete gli animali tra gatti da palazzo e gatti da cortile, e, per conoscere il numero dei primi e dei secondi, tenete un registro». Agli spazi interni vennero assegnati i più abili a catturare i topi oltre che di bell’aspetto; soprattutto, appartenevano alla razza Blu di Russia.
Verso la fine del XVIII secolo i gatti cessarono di essere merce di lusso. Iniziarono a vivere non solo nelle chiese o nelle abitazioni dei benestanti, ma anche nelle izbe dei contadini.
Fonte: http://russiaintranslation.com/2020/05/29/come-i-gatti-aiutavano-i-contadini-e-gli-imperatori/
I gatti del Monte Athos
Nel Monte Athos molti sono i gatti che vivono fianco a fianco con i monaci, nei venti monasteri, nelle chiese, nei laboratori, nei giardini…
Il motivo principale della loro presenza è il solito: ci sono molti roditori sul Monte Sacro, che possono distruggere le scorte di cibo. In aggiunta, sul Monte Athos vi sono anche i serpenti.
È noto che per antica tradizione le donne non sono ammesse sul Sacro Monte, e la regola vale anche per il bestiame di genere femminile, ma i monaci fecero sempre un’eccezione per i gatti. Le gatte, quindi, sono ammesse al pari dei maschi, e al pari dei maschi vivono con i monaci, che nutrono tutti quanti. Si trovano descrizioni del pasto: quando suona la campana e i monaci si riuniscono, i gatti stanno seduti in disparte e aspettano il proprio turno dopo che i fratelli hanno appena iniziato ad assaggiare il cibo. Certo, catturano topi e altri piccoli animali, ma hanno imparato a nutrirsi, come i monaci, di pane, verdura e frutta.
San Nicola dei Gatti
Sì, si chiama proprio così: Μοναστήρι του Αγίου Νικολάου των Γάτων (Monastero di San Nicola «ton Gaton», dei Gatti). È forse il più antico monastero di Cipro. L’attuale chiesa risale verosimilmente al XIV secolo.
Secondo la tradizione, il monastero fu fondato nel IV secolo da Sant’Elena, la madre dell’Imperatore Costantino il Grande, che vi lasciò come reliquia un frammento della Santa Croce. A quell’epoca Cipro era colpita da una grave siccità, che aveva spinto molti abitanti ad abbandonare l’isola. Ci fu così un proliferare di serpenti, che rese la vita a Cipro impossibile. Secondo lo storico medievale Stefano Lusignano, Costantino il Grande inviò a Cipro il governatore Kalokeros, il quale trasferì sull’isola migliaia di gatti, affinché sterminassero i serpenti. Abbandonato verso la fine del Cinquecento, il monastero è rinato nei primi anni ’80 del secolo scorso grazie a monache ortodosse.
Problemi con i gatti?
I gatti facevano dunque parte della vita normale dei monasteri, maschili e femminili. Nell’illustrazione qui sopra, Santa Gertrude di Nivelles, patrona dei gatti, viene rappresentata mentre fila la lana in compagnia di un gatto che non si sa se la aiuti o la intralci…
Beh, qualche problema c’era: sempre gli stessi, in fondo. In una scritta esplicativa indicata dalle maniculae, l’amanuense si lamenta e spiega:
«Hic non defectus est, sed cattus minxit desuper nocte quadam. Confundatur pessimus cattus qui minxit super librum ostum in nocte Daventrie, et consimiliter omnes alii propter illum. Et cavendum valde ne permittantur libri aperti per noctem uni cattie venire possunt».
Quello che si vede nella pagina, dice, non è un difetto imputabile allo scrittore, ma è stato il gatto che ha usato il manoscritto… come lettiera. Perciò impreca contro il pessimo gatto e tutti gli altri per colpa sua, e avverte i bibliotecari di stare bene attenti a non lasciare i libri aperti di notte a portata di gatto.
E poi…
… le zampate: ma chi di noi non si può gloriare di avere la firma del gatto su qualche pagina molto importante?