Giuseppe non è il padrone del Mistero affidato alla sua custodia, ma ne è il tutore instancabile. Un nuovo sogno rivelatore lo avverte del male che incombe: quasi nuovo Mosè che scende in Egitto con la sposa e il figlio per salvare il suo popolo dalla schiavitù del faraone, Giuseppe porta in salvo il Figlio di Dio dalle mire del nuovo faraone, il despota Erode. È la fuga, la fuga in Egitto, come una famiglia di migranti che cerca di salvare la vita dalla tragedia del proprio paese.
Matteo 2
7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
9 Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
14 Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio.
Nel racconto di Es 4,20, Mosè prende con sé moglie e figli facendoli salire sull’asino. In effetti, l’asino così familiare nei nostri presepi insieme al bue non è mai menzionato nei racconti dell’infanzia di Matteo e Luca, ma questo parallelo lo presuppone, così come lo presuppone la logica: asino e bue erano il binomio tipico degli animali compagni di lavoro e di vita di una umile famiglia palestinese dell’epoca, e la loro presenza nella stalla di Betlemme era ovvia. Inoltre, a monte dell’icona della Natività, sta la constatazione divina che, se gli uomini sono irriconoscenti, l’asino e il bue, al contrario, amano il loro padrone (Is 1,2), e, nel mondo greco, la profezia di Ab 3,2 secondo la strana traduzione dei LXX: «Ti manifesterai in mezzo a due animali». Ove la compagnia degli uomini fallisce od è molesta, gli animali non mancano di dare il loro conforto.
In realtà Matteo, a differenza di Luca, non menziona la mangiatoia che fa pensare ad una stalla, ma ambienta l’adorazione dei Magi in una casa (2,11), il che non è neppure contraddittorio con il dato lucano, suggerendo semplicemente che dopo una prima sistemazione di emergenza e di totale precarietà la famigliola di Giuseppe abbia trovato una sistemazione più consona. Ma anche quella deve essere lasciata: come l’antico popolo di Israele, figlio diletto di Dio fra i popoli, minacciato dalla carestia, anche il Figlio di Dio bambino deve esulare in Egitto, e da lì ritornare nella terra dei padri (Os 11,1).
Dall’Egitto ho chiamato mio figlio
In questo modo la famiglia di Nazareth ripercorre le orme dell’antico Mosè, ma al tempo stesso, espatriando, anticipa e incarna angosce, disagi e pericoli degli odierni migranti.
L’oracolo del profeta Osea (VIII secolo a.C.) non parla affatto, materialmente, di un ritorno dall’Egitto del Figlio di Dio ma solo del ritorno del suo popolo, chiamato figlio primogenito di Dio fra tutte le genti. Matteo usa il versetto per giustificare questo evento accaduto alla persona del Figlio di Dio Gesù. Tuttavia, vale la pena di leggere l’antico oracolo per comprendere quale amore Dio riversi sull’uomo a lui infedele, come un padre – madre (l’atto di imboccare un bambino è un gesto materno) verso il figlio:
Osea 11
1 Quando Israele era giovinetto,
io l’ho amato
e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
2 Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
3 Ad Efraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
4 Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare…
7 Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto
nessuno sa sollevare lo sguardo.
8 Come potrei abbandonarti, Efraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
… Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
9 Non darò sfogo all’ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Efraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò nella mia ira.
10 Seguiranno il Signore
ed egli ruggirà come un leone:
quando ruggirà, accorreranno
i suoi figli dall’occidente,
11 accorreranno come uccelli dall’Egitto,
come colombe dall’Assiria
e li farò abitare nelle loro case.
Oracolo del Signore.