
Sul conto personale di papa Francesco, al momento della morte, restavano meno di 90 euro. Anche questo un gesto simbolico incarnato profondamente nella sua esistenza: non si può parlare ai poveri senza vivere come loro.
Non ha mai percepito uno stipendio, che avrebbe dovuto ammontare a circa 2.500 euro al mese, non molto veramente, ma che aggiunti alle indennità legate alla carica (residenza, sicurezza, spese) e ad una possibile equiparazione con le retribuzioni di capi di Stato o leader religiosi avrebbero potuto costituire un salario annuo di circa 340.000 euro; ma non ne ha mai voluto sapere. Intervistato su questo, rispondeva: «A me non mi pagano niente, quando ho bisogno di soldi per comprarmi le scarpe o cose così, li chiedo. Io non ho stipendio» (“Amén. Francisco responde”, documentario di 83 minuti diretto dagli spagnoli Jordi Évole e Màrius Sánchez, 2022: QUI).
Anziché…
Scelse di vivere nella semplicità di Casa Santa Marta, anziché negli appartamenti del Palazzo Apostolico. Si serviva al self service come tutti gli altri, anziché farsi servire, e a pranzo amava sedersi con il personale della mensa, anziché con il clero. Rifiutò l’anello d’oro pontificio in cambio di uno placcato, volle la croce pettorale d’argento anziché d’oro. Sembra che la sua vita da Papa sia stata da lui vissuta all’insegna dell’«Anziché». Portava un abito talare rammendato più volte, calzava le sue grosse scarpe nere usurate, la cui immagine ha fatto il giro del mondo. Non per niente si chiamava Francesco.
Pochi giorni prima del decesso, ha firmato un bonifico da 200.000 euro a favore del Pastificio Futuro di Casal del Marmo, per i detenuti del carcere minorile di Roma. Era fatto così.
Francesco: L’eredità spirituale
Quanto a quella che possiamo considerare l’eredità spirituale di papa Francesco, e che è stata bene messa in luce alle esequie dall’omelia del card. Re, si fa presto a tracciarla: ce lo rende facile papa Francesco stesso, con la sua capacità di condensare in incisive frasi e immagini il messaggio che voleva consegnare all’umanità.
I primi passi da Papa
«Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell’accoglienza» (13 marzo 2013).
«Perché mi chiamo Francesco? Perché lui ha incarnato la povertà. Io voglio una Chiesa povera per i poveri» (15 marzo 2013).
«Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti» (5 giugno 2013).
Tutto è già contenuto nelle sue prime parole. «Misericordia» e «Gioia del Vangelo» sono le cifre della sua azione pastorale. Da qui discende tutto il resto.
Francesco: l’eredità spirituale. L’eredità al mondo
Sono celebri le sue ripetute affermazioni: Costruire ponti e non muri; abolire la cultura dello scarto… ed altre, che hanno segnato il suo rapporto con la comunità degli uomini:
«I corrotti, coloro che fanno la tratta degli schiavi e i fabbricanti di armi che sono mercanti di morte dovranno rendere conto a Dio» (11 giugno 2014).
«Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (Fratelli Tutti, 261).
Ha sofferto molto per «la terza guerra mondiale a pezzi» che ha visto combattere durante il suo pontificato e ne ha continuamente denunciato la disumanità. È stato particolarmente vicino alla martoriata Ucraina e a Gaza.
L’Ora del Papa
Padre Gabriel Romanelli, parroco della S. Famiglia a Gaza, dichiara: «Da oggi ogni giorno alle ore 20 (le 19 in Italia) faremo rintoccare le campane della nostra chiesa per ricordare l’ora del Papa. Ogni sera ci chiamava alle 20 per farci sentire le sue parole, il suo sostegno, la sua preghiera, la sua benedizione. Preghiamo per lui per tutta la Chiesa e per la pace».
L’ultima telefonata del Papa alla parrocchia di Gaza risale a due giorni prima della morte.
All’interno della Chiesa
Sono pure celebri le sue affermazioni sulla Chiesa ospedale da campo: «Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri» (intervista a «La Civiltà Cattolica» del 19 agosto 2013). Celebre la sua felice immagine dei pastori che sanno di pecora. È lui che ha coniato l’immagine della Chiesa in uscita…
«La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali… Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale e allora si ammala… Nell’Apocalisse, Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare… Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire… Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive «della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare» (Discorso prima del Conclave, per l’intero testo vedere QUI).
Ma della Chiesa in uscita gliel’ho sentito dire personalmente ad un convegno, con la precisazione: «se la Chiesa non esce da se stessa si ammala… di testa!».
È lui che ha coniato, pure, la Sinodalità, lo stato della Chiesa in cammino nella, e con la, comunità degli uomini. Non è certo stato il primo, ma certamente è stato uno dei più forti fautori dell’annuncio della Misericordia e della Gioia: «Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale!» (Evangelii Gaudium).
«L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (Evangelii Gaudium).
«Dio ci giudica amandoci. Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva» (Via Crucis 2013).
Non si può imprigionare la salvezza

Frasi confortanti, che gettano una forte luce sul rapporto fra Dio e l’uomo, fra la Chiesa e l’uomo. Ma devo dire che, mentre approfondivo le mie ricerche su C.S, Lewis e sul linguaggio fantascientifico come possibile mezzo di evangelizzazione, mi sono imbattuta a suo tempo su una frase ancor più illuminante:
«Se domani venisse una spedizione di marziani, per esempio, e alcuni di loro venissero da noi. Verdi, con quel naso lungo e le orecchie grandi, come vengono dipinti dai bambini… E uno dicesse: ”Ma, io voglio il Battesimo!”. Cosa accadrebbe?» (14 maggio 2014).

Non voglio, come non lo voleva lui, trattare del problema della salvezza degli extraterrestri al di fuori dell’umanità sul pianeta Terra, che pure è stato affrontato teologicamente anche da C.S. Lewis, con la risposta: «Lasciamoli in pace!» (QUI).
Certamente l’affermazione di papa Francesco è paradossale, una battuta, ma il significato no: non si può imprigionare lo Spirito Santo, chi siamo noi per imprigionare la salvezza e confinarla alla sola umanità?