La Bibbia dall’ABC. A immagine di Dio: fra natura e storia

Evoluzione. Di latvian, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3792511

La realizzazione dell’uomo ad immagine di Dio, abbiamo detto finora, più che in una caratteristica costituzionale, come la razionalità, la volontà, la consapevolezza di sé, consiste in una condizione funzionale (quella di riflettere la regalità di Dio nel mondo) e relazionale (intessere con Dio e con gli altri rapporti interpersonali), fra natura e storia.

Per far questo, per essere persona, l’uomo necessita di autoconsapevolezza e capacità di scelta etica. È proprio per queste qualità che l’essere umano si profila sulla scena della natura diversamente dagli (altri) animali. L’uomo vive nella storia, l’animale appartiene alla natura.

Tempo naturale e tempo storico

Il tempo naturale è ciclico e torna su se stesso anno dopo anno; il tempo storico è lineare e conduce in avanti. La civiltà umana ha una storia che la porta avanti nel suo sviluppo, e che può essere anche un’involuzione e riportarla indietro, mai tuttavia allo stesso punto di prima. Gli animali non hanno una civiltà che si possa evolvere o involvere, non hanno una «cultura» nel senso di alterazione o sviluppo della natura: appartengono allo stato di natura, non possono modificarlo se non dal suo interno secondo il loro istinto (così, ad esempio, fanno i castori con le loro dighe) – talvolta, ammettiamolo, anche secondo la loro intelligenza – tuttavia non possono trasformarlo con un progetto. L’uomo, con la «coltura» e con la «cultura», modifica la natura e ne porta tutta la responsabilità ed anche la fatica e la sofferenza.

Come scrive C.S. Lewis:

«Se Dio crea, vuole che qualcosa sia, senza che sia Lui stesso. Essere creato significa in un certo senso essere espulso e separato. È possibile che, più perfetta è la creatura, più violenta debba essere questa separazione? Sono i santi, non la gente comune, a sperimentare “la notte oscura”. Sono gli uomini e gli angeli, non le bestie, a ribellarsi. Le creature inanimate dormono nel grembo del Padre» (Miracles, trad. it. La mano nuda di Dio, Roma 1987, 52).

L’uomo, il più evoluto nella scala degli esseri naturali, è il più autonomo dai condizionamenti della natura, l’unico caricato di responsabilità morale, l’unico che sente la separazione da Dio…

Un salto di qualità

Duomo di Monreale, La creazione degli animali acquatici e dei volatili. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3816199

Che ci sia un grande salto fra le altre creature e l’adam è espresso anche dal diverso modo di rapportarsi di Dio con lui nel creare e nel benedire. Per narrare la benedizione della vita animale e poi della vita umana il testo si esprime così:

Gn 1,22 – agli animali acquatici
E Dio li benedisse dicendo:                                  
«Siate fecondi e moltiplicatevi, e riempite le acque nei mari».
Gn 1,28 – agli esseri umani
E Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, e riempite la terra»

La benedizione è identica, ma non è identico il modo di pronunciarla. Mentre gli animali sono l’oggetto della benedizione («li benedisse») ma non gli interlocutori di Dio (lemor, «col dire», all’infinito), con l’umanità che Dio parla direttamente («e disse loro…») mediante un vero e proprio dialogo. L’adam, quindi, è l’essere della parola, del dialogo, a differenza degli animali. È l’essere della relazione cosciente.

Creatura di due mondi

L’uomo appartiene alla medesima natura degli altri esseri, e tuttavia si eleva al di sopra di essa grazie ad un qualcosa di più, che alla semplice natura non appartiene e che lo mette in grado di prendersene cura.

Risale alla mia infanzia il ricordo di un bell’aneddoto relativo al grande sovrano illuminato, Federico di Prussia, promotore dell’istruzione pubblica, che visitando a Rugen una delle scuole del suo regno volle interrogare uno scolaretto sulla storia naturale:

«Il materiale di cui è fatta la lavagna, a quale regno appartiene?». «Al regno minerale, maestà».

«E l’albero che si vede dalla finestra?». «Al regno vegetale, maestà».

«E l’uccellino posato sul ramo?». «Al regno animale, maestà».

«E io, a quale regno appartengo?» incalzò il sovrano, per mettere in imbarazzo il bambino costringendolo a dire che anche il re apparteneva al regno animale. Ma il bambino, trionfante, replicò: «Al regno di Dio!» (Cfr. C.E. Luthard, Dieci lezioni sopra le verità fondamentali del cristianesimo, Roma 1876, 105-106).

L’appartenenza al mondo animale non esclude che l’uomo, unico fra le creature, appartenga anche al mondo dello spirito. La sua sovranità sul mondo animale, sovranità costituita di responsabilità e di cura e non di sopraffazione, gli deriva appunto da quella scintilla in più di spirito divino, fatta di autoconsapevolezza e di capacità etica, che lo distingue dagli altri animali e lo fa vivere nel dinamismo della dimensione storica (che può risolversi altresì in regresso morale, come è facile notare anche di questi tempi).