Questo è forse il vertice teologico del libro dei Numeri, e uno dei momenti più alti dell’Antico Testamento. Fossero tutti profeti nel popolo di Dio!
Umiltà o audacia?
Rimaniamo ancora sull’episodio che vede lo Spirito di Dio discendere su Eldad e Medad, due uomini eletti da Mosè che però non si erano presentati da lui al santuario per ricevere lo Spirito insieme agli altri. Secondo una importante interpretazione rabbinica, il loro rifiuto era dovuto ad un atteggiamento di umiltà: non si erano ritenuti degni. Ma esiste anche una interpretazione opposta: si è trattato di eccessiva umiltà o non, piuttosto, di audacia, di sfida? Forse non si vogliono allineare con la guida di Mosè? Da notare, infatti, che Dio donerà loro il suo Spirito senza la mediazione di Mosè e fuori della tenda del Convegno, direttamente cioè. Li fa forse profetizzare in mezzo all’accampamento perché approva la libertà spirituale che essi dimostrano?
«Fossero tutti profeti nel popolo di Dio!»
11 27Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». 28Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». 29Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!». 30E Mosè si ritirò nell’accampamento, insieme con gli anziani d’Israele.
La generosità di Mosè
Un dato caratteriale fisso del personaggio di Mosè è la sua generosità, il disinteresse personale. Costantemente pensa al bene degli altri e non al proprio. Un elemento umoristico del racconto è che Giosuè, non Mosè, si risente del dono dello Spirito fatto secondo lui abusivamente ai due, che non si erano uniformati agli altri anziani e tuttavia continuavano a profetizzare. «Continuavano» a profetizzare, precisamente, perché, come riconosce il Talmud, il verbo nava’ che esprime la loro azione è all’imperfetto, tempo che indica un’azione non conclusa che in ebraico può essere anche al futuro… Ecco il testo:
«Profetizzavano. È stato insegnato: Nel momento in cui il Santo, benedetto sia, disse a Mosè: “Raduna settanta uomini”, Eldad e Medad dissero: “Noi non siamo degni di questa grandezza”. Il Signore disse: Dato che vi siete resi piccoli, io allora aggiungerò una grandezza alla vostra grandezza, e quale grandezza aggiunse loro: tutti gli anziani profetizzarono e poi cessarono di farlo, ma Eldad e Medad profetizzarono e non cessarono (di profetizzare). Da dove si deduce ciò? Da quanto è scritto “E profetizzeranno (al futuro) e non profetizzavano (al presente), essi quindi continuano a profetizzare» (Sanhedrin 17a).
Giosuè e Mosè: due atteggiamenti opposti
Mentre l’atteggiamento di Giosuè si presenta come una naturale reazione ad una anomalia, la risposta di Mosè è inattesa: «Fossero tutti profeti nel popolo di Dio!». Perché questa contrapposizione?
Mosè aveva condotto gli anziani fuori dall’accampamento, alla tenda del Convegno. Eldad e Medad si trovavano invece nel posto sbagliato, fuori degli schemi, eppure lo Spirito scese anche su di loro. Detto in termini moderni, Giosuè si preoccupò considerando destabilizzante quel comportamento carismatico. Secondo un’analisi che fu compiuta anche dal grande sociologo delle religioni Max Weber, Giosuè avrebbe visto in Eldad e Medad la possibilità della formazione di una “setta” o corrente religiosa che avrebbe potuto operare in opposizione alla comunità ufficiale. E probabilmente Giosuè, futuro successore di Mosè, poteva aver visto in Eldad e Medad due possibili “concorrenti” alla sua futura leadership. Giosuè era stato preparato fin dalla giovinezza a svolgere il ruolo di condottiero, mentre Mosè, emigrato in terra straniera, veniva da un ambiente libero “fuori dalle mura protettive della Comunità”. Il comportamento libero di Eldad e Medad si mostra più simile a quello di Mosè che non a quello di Giosuè.
Carisma e istituzione
Max Weber individuava nelle religioni in generale una progressione dallo stadio dell’autorità carismatica a quello delle istituzioni. Il carisma è instabile, mentre la codificazione dell’autorità in istituzioni ben definite consente alle comunità di sfuggire agli individualismi, al rischio di distruggere l’unità, e permette loro di rinsaldarsi all’interno. È un’evoluzione fisiologica. Giosuè ha le sue ragioni; tuttavia il narratore, che dà a Mosè l’ultima parola, evidentemente propende per la posizione di questi.Giosuè appare preoccupato che si sfidi l’autorità, mentre Mosè rinuncerebbe al suo status particolare per elevare il popolo intero al rango di profeti.
La visione di Mosè è più generosa e aperta al rischio. Anche se una società ha bisogno di stabilità, la fissità rappresentata dall’istituzione può avere un effetto soffocante, reprimendo i carismi nell’interesse del bene comune, e fornendo risposte uniformi a scapito delle diversità di sensibilità e di bisogni dei differenti individui. Lo stesso Mosè riconosce questa necessità e resiste alla richiesta di Giosuè di fermare, o addirittura imprigionare (questo può anche significare il verbo kala’) i due indisciplinati.
Secondo una acuta interpretazione del Talmud, la richiesta di Giosuè di imprigionarli consisterebbe in questo: «Dai loro l’incarico di occuparsi dei bisogni della collettività e loro si consumeranno (kalìm) da soli (perché la profezia non si manifesta, quando una persona è troppo occupata ad occuparsi dei bisogni quotidiani)». Vale a dire: se li carichi di compiti gravosi, le loro velleità si esauriranno. Vero: accade quando la ruotine quotidiana spegne lo spirito…