
Quando ci si chiede quali siano le fonti storiche sull’esistenza di Gesù, al di fuori degli scritti del Nuovo Testamento, normalmente la risposta è: Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, anno 93 d.C.) fra gli scritti ebrei, e tra i romani le Lettere di Plinio e Traiano (112 circa), Svetonio (anno 112), Tacito (anno 116). Siamo molto vicini all’evento della Crocifissione, da collocarsi il 7 aprile dell’anno 30 come data più probabile. Paolo scrive appena un ventennio dopo questo evento, quando il cristianesimo è già dilagato nel mondo greco. Ma anche fra i pagani si possono trovare testimonianze più antiche dell’esistenza storica di Gesù detto il Cristo.
Fonti storiche su Gesù: la lettera di Mara bar Serapion
Pur essendo la sua datazione discussa, possiamo far risalire a poco dopo l’anno 73 una lettera indirizzata da un siro, certo Mara bar Serapion, al figlio che soggiornava come studente a Edessa, l’odierna Urfa in Turchia.
Questa lettera riporta la notizia di un esodo di cittadini da Samosata in cui lo stesso autore fu coinvolto quando il regno di Commagene fu annesso all’impero romano e la «legio VI Ferrata» invase il territorio occupando la capitale, tra il 72 e il 73. La lettera deve essere stata scritta dopo breve tempo, in quanto lo scrivente vi esprime la speranza che i romani permettano il suo ritorno nella città.
Il testo di Mara bar Serapion
L’autore è un pagano di formazione stoica. Ad un certo punto afferma:
«Che vantaggio hanno tratto gli ateniesi dall’aver ucciso Socrate, misfatto che dovettero pagare con la carestia e con la peste?
Oppure quelli di Samo dall’aver arso Pitagora, se poi il loro paese fu in un attimo sepolto dalle sabbie?
O gli ebrei dalla esecuzione del loro saggio re, poiché da quel tempo furono spogliati del loro regno?
Un Dio di giustizia infatti fece vendetta di quei tre saggi. Gli ateniesi morirono di fame; quelli di Samo furono sommersi dal mare; gli ebrei vennero uccisi e cacciati dalla loro terra a vivere dispersi per ogni dove.
Socrate non è morto, grazie a Platone; e neppure Pitagora, a causa della statua di Hera; né il re saggio, grazie alle nuove leggi da lui promulgate».
Il saggio re degli ebrei
L’autore, non cristiano, non spiega la sopravvivenza del saggio re degli ebrei all’oblio mediante la sua resurrezione, ma mediante le sue nuove leggi, il che è molto coerente sia con il tipo di pensiero che caratterizza lo scrittore, sia con il contesto giudaico in cui Gesù ha vissuto.
L’autore della lettera non ne fa il nome, ma che il re saggio degli ebrei si debba identificare con Gesù appare ovvio, dato che, come scrive Romano Penna, «la storia non conosce alcun re d’Israele condannato a morte dagli stessi ebrei… La qualifica ripetuta di “re saggio” può invece riferirsi molto bene a Gesù di Nazareth. Essa contiene una doppia allusione: al motivo ufficiale della sua condanna come “re dei giudei”; e alla saggezza del suo messaggio morale» (R. Penna, «L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane», EDB 1986, p. 268). Siamo verso il 73 d.C., 20 anni prima della testimonianza di Giuseppe Flavio.
Ma forse, con uno scritto romano, si può risalire ancora all’indietro nel tempo…
Fonti storiche su Gesù. Una antica parodia?
Ancora precedente sarebbe infatti, in forma parodistica, la testimonianza della Coena Trimalchionis e di altri brani nel Satyricon di Petronio (circa 64-65 d.C., quindi un po’ prima del vangelo di Marco, e nel periodo della persecuzione neroniana), che in alcuni passi sembra alludere ironicamente alla vicenda di Gesù. Non poteva, infatti, il raffinato epicureo, nonché Arbiter Elegantiarum di Nerone, prendere sul serio una dottrina esigente come quella di Cristo, poteva invece snobbarla mettendola in burletta.
In LXXVII-LXXVIII della Coena (è una Cena, appunto…) si menziona il nardo con cui il protagonista vuol essere unto considerando il pasto come il suo banchetto funebre (cfr. Mc 14,3-9). In LXXIV,1-4 si interpreta il canto del gallo come presagio di sventura, come avviene nei Vangeli, mentre in tutto il resto della letteratura greca e romana esso è annuncio del giungere del giorno e perciò della vittoria.
Addirittura, in CXI-CXII si fa un complicato racconto che, per le sue menzioni
- del governatore di una provincia,
- di ladroni crocifissi,
- della guardia sepolcrale,
- dei tre giorni passati nel sepolcro,
- e del trafugamento del cadavere (classica accusa rivolta ai cristiani),
ci farebbe pensare ad una parodia del racconto della morte e risurrezione del Cristo.
Ma non basta: riscontriamo anche una possibile caricatura dell’Eucarestia nell’affermazione di Eumolpo di possedere un grande tesoro e volerlo lasciare in eredità agli amici
«a patto che taglino a pezzi il mio cadavere e se lo mangino alla presenza del popolo […]. Perciò io esorto tutti i miei amici a non sottrarsi alla mia volontà, invitandoli a mangiarsi il mio cadavere con lo stesso gusto con il quale avranno di certo mandato a quel paese l’anima mia» (CXLI,2).
Lo stesso nome del protagonista, Trimalcione, potrebbe essere una parodia della Trinità: il nome, di origine semitica, significa «Tre volte re».
L’importanza delle parodie

È paradossale, ma insospettabile, che talvolta le testimonianze più sicure vengano non dagli amici ma dai nemici. Del resto, la prima raffigurazione della Crocifissione non è forse un disegnino inciso nel Paedagogium sul colle Palatino, la scuola degli schiavi destinati a servire l’imperatore e la sua corte?
Il graffito, datato intorno all’anno 200, raffigura un uomo crocifisso con la testa di un asino, e una persona in atto di adorarlo, con la scritta: ALEXAMENOS SEBETE THEON, cioè Alexamenos adora dio. Una presa in giro dei compagni nei confronti di un paggio notoriamente cristiano: a quell’epoca circolava la leggenda che gli ebrei (ancora confusi dai romani con i cristiani)adorassero un asino (onolatria). La notizia, denigratoria, veniva ricondotta ad una versione deformata del racconto dell’Esodo, secondo cui, come attesta Tacito nelle Historiae, gli ebrei, assetati dopo giorni di peregrinazione nel deserto, avrebbero trovato l’acqua grazie ad una torma di asini selvatici che fecero da guida a Mosè. Gli ebrei da quel momento avrebbero venerato l’asino, dio inviso agli egiziani perché sacro a Seth. Questa adorazione fu poi attribuita ai cristiani, inizialmente considerati dai pagani una semplice setta dell’ebraismo.
Insomma, non c’è testimonianza migliore di quella degli avversari, anche se in forma burlesca, per stabilire la veridicità di un fatto!