Icona: Finestra sull’Invisibile

Cristo Acheropita (“Non fatto da mano d’uomo”) su mandylion.
Tutte le icone presenti in questo articolo sono state “scritte” da Giancarlo Guasconi

L’iconografia, più che pittura, è scrittura di immagini, ovvero rappresentazione ideografica visibile di realtà invisibili agli occhi del corpo. Per questo segue regole teologiche che non sono semplicemente quelle della tecnica pittorica: ogni passo nella realizzazione di un’icona ha un valore teologico ed è una tappa spirituale. L’icona si legge come si può leggere una pagina della S. Scrittura. Per questo è chiamata Finestra sull’Invisibile.

L’iconografia: scrittura di immagini

Pantocratore

L’ebraismo, sin dai tempi biblici, è una religione an-iconica, cioè sprovvista di immagini: Dio non si può rappresentare visivamente, in quanto non ha carne come noi. Più volte nell’Antico Testamento si ribadisce che nessuno può vedere in volto Dio. La religione di Israele è la religione dell’ascolto e non della visione: non per niente la principale preghiera ebraica recita «Shema’ Israel, ascolta Israele…».

C’è persino, nel Decalogo, la specificazione del primo comandamento (il secondo, per gli ebrei, «Non avrai altro Dio fuori di me»), «Non ti farai immagine alcuna…», che, però, i cristiani hanno ritenuta superata.

Nella rivelazione cristiana infatti il Verbo si è fatto carne, perciò è rappresentabile figurativamente, a differenza del Dio dell’Antico Testamento. Superati i pericoli dell’idolatria, che sconsigliavano l’uso delle immagine sacre, quando il paganesimo cessò di essere un pericolo reale, cioè sin dalla fine del IV secolo, l’arte sacra come strumento didattico ebbe eloquenti difensori quali san Giovanni Crisostomo, san Gregorio di Nissa, san Cirillo di Alessandria, san Basilio.

La liceità delle icone non fu, veramente, del tutto pacifica. In risposta alle accuse di idolatria mosse dai fedeli islamici, era sorto un movimento cristiano contrario al culto delle immagini, che raccolse tra le sue fila anche l’imperatore Leone III Isaurico (730). Nell’impero d’Oriente divampò la lotta iconoclasta che causò la distruzione di tutte le icone antiche ad eccezione di quelle italiane, perché l’Italia fu scossa assai meno dall’iconoclastia, e quelle del Sinai perché troppo fuori mano per essere minacciate. L’iconoclastia fu condannata dal concilio di Nicea del 787, e l’iconografia prosperò.

Modelli iconografici

Icona da viaggio. Si noti il volto adulto del Bambino, simbolo della sua eterna Sapienza

La diffusione delle icone impose alla Chiesa di elaborare una teologia in immagini, che trasformasse l’icona in una illustrazione del mistero cristologico. Non è, quindi, casuale il fatto che in greco e in russo una icona non venga «dipinta», ma «scritta».

Si pensi ad esempio all’intreccio delle dita del Cristo Pantocratore, che esprimono al tempo stesso la Trinità di Dio e la doppia natura – divina e umana – del Cristo. Analogamente il braccio della Madonna Odighitria («che indica la via») indirizza a Gesù come una freccia indicatrice, riassumendo in un solo gesto i rapporti fra Maria e la divinità: Maria mostra la strada per giungere a Gesù.

Sorprendente, per noi moderni abituati a pitture naturalistiche, è anche l’aspetto adulto di Gesù Bambino, talvolta quasi raggrinzito come un anziano: esprime la sua Sapienza eterna.

Tecnica e teologia

San Giovanni Battista

Se obiettivo dell’icona è rappresentare una verità di fede, i dipinti non possono essere la meditazione individuale di un artista; ogni icona è invece un’interpretazione teologicamente fedele di un prototipo, che viene continuamente copiato e riprodotto. L’artista non si pone il problema della somiglianza con la natura, perché l’immagine deve rappresentare verità eterne.

Fase 1: si parte da uno strato di gesso su cui viene incisa l’immagine
Fase 2 della rappresentazione del volto: si inizia con un colore che richiama la terra di cui l’umanità è fatta. Poi si procede per successivi schiarimenti, fino ad ottenere i lineamenti
Fase 3: l’icona è compiuta

Il centro della rappresentazione è il volto, luogo della presenza dello spirito. La carnagione non è rosea, ma ha toni tendenti all’ocra: si parte da un rosso-marrone scuro, il colore della terra di cui tutti, insieme al vecchio Adamo, siamo fatti, per giungere, attraverso un lavoro paziente di successivi schiarimenti, al bianco. Il cammino del credente consiste, infatti, nell’allontanare le ombre dalla sua vita e nel lasciarsi sempre più illuminare da Cristo. L’attenzione è concentrata sullo sguardo, che rappresenta l’anima.

L’importanza di un corso

San Michele Arcangelo

Alla Scuola di Teologia di Piombino abbiamo avuto dei trascorsi iconografici. Iniziammo con un corso opzionale di iconografia, tenuto dal prof. Andrea Trebbi che veniva da Pisa. Nella maggior parte dei casi il corso, teorico-pratico, è servito ai frequentanti a farli entrare nel mondo delle icone ed a permettere di comprenderne lo spessore teologico. Tutti coloro che hanno frequentato il corso hanno «scritto» almeno un’icona, ovvero un Cristo Acheropita il primo anno, una Madonna della Tenerezza il secondo, un San Giorgio il terzo. Le inclinazioni artistiche hanno a che fare fino ad un certo punto con il risultato, perché le tecniche di pittura di un’icona sono prettamente teologiche (infatti l’iconografia è scrittura, e non pittura, di un’immagine). Per la maggior parte dei frequentanti, questo è tutto. Qualcuno ha continuato ed è diventato iconografo a sua volta.

Il cammino di un iconografo: Giancarlo  

Natività

Nato a Grosseto, Giancarlo Guasconi ha passato tutta la vita a disegnare ed a dipingere, ha cercato tra tutti gli stili pittorici, è stato astrattista, metafisico, paesaggista e ritrattista, ha fatto chine, acquarelli e oli, sempre con un senso di insoddisfazione. Tutto questo finché… nel 2000 ha frequentato i corsi di iconografia di Andrea Trebbi dell’Istituto di Scienze Religiose «B. Niccolò Stenone» di Pisa, ed è stato amore a prima vista. Gli si è aperto un mondo che ha subito sentito essere il suo. L’amore per l’icona lo ha portato a frequentare la Scuola di Teologia: l’icona ti «costringe» a studiare. I primi anni non ne ha scritte molte, due o tre all’anno; dedicava più tempo allo studio.

Icone su pietra: la pietra siamo noi

Madonna della Tenerezza

Poi ha iniziato ad usare le pietre come supporto, sia intere che spezzate. La pietra lo affascina. Usa solitamente pietra serena, fossili, ciottoli di fiume, granito grezzo e le normali pietre che si trovano nei nostri boschi, delle quali mantiene sempre la forma originale. La scrittura è quella tradizionale: gessature, pigmenti in polvere e foglia d’oro o di argento.

Le icone su pietra spezzata lo hanno coinvolto sempre di più: la pietra spezzata siamo noi, il nostro io distrutto, la nostra fede a pezzi. L’immagine ed il colore ci permettono di cogliere l’insieme; Dio ci aiuta a unire i frammenti, ci sostiene nella nostra debolezza. Scrive anche icone classiche su tavola ma la ricerca e lo studio sono dedicati quasi esclusivamente alla pietra.

Santa Chiara

La necessità di avere un supporto o una base per le opere su pietra lo ha portato ad approfondire anche la conoscenza e la lavorazione dei vari tipi di legno (noce, castagno, ciliegio, ulivo, pero, mimosa, magnolia e radica di pioppo). Ha esposto le sue opere in varie mostre di Arte Sacra. L’esperienza lo ha portato costantemente ad approfondire sia il suo lavoro di realizzazione delle opere, sia il suo cammino di fede, il suo essere discepolo.

Per contattarlo: sassoforte@gmail.com

 www.facebook.com/IconeSuPietra