
Tutti i Santi sono «santi», ma ognuno con caratteristiche particolari da cui ciascuno di noi può imparare qualcosa di più. San Filippo Neri, di cui si celebra la memoria liturgica il 26 maggio, è stato il santo dei poveri (indigenti, pellegrini e ammalati), cui ha dedicato la sua esistenza vivendo in povertà; è stato il santo dei giovani per i quali, ricchi e poveri, ha fondato il primo Oratorio («State buoni, se potete» era il suo mite ammonimento); è stato il santo della gioia («Scrupoli e malinconia, fuori di casa mia», diceva) ed anche dell’umorismo.
Nelle immagini, San Filippo Neri viene sempre rappresentato vecchio. Certamente, il suo spirito vecchio non era, anche se il santo morì ottantenne, un’età assai avanzata per quell’epoca. Nel mondo antico, se si superavano l’infanzia e l’adolescenza, l’aspettativa di vita arrivava ai 50 – 60 anni; nel medioevo, anche ai 70, e così diamo ragione a Dante con quel suo “Nel mezzo del cammin di nostra vita” di trentacinquenne quale si presenta nella Commedia. Non si confonda l’età media di una popolazione con la longevità: l’altissima mortalità infantile abbassava tragicamente la media, ma se veniva superata l’età critica dei primi 15 anni l’individuo aveva una speranza di longevità non proprio infima. L’età cui giunse Filippo Neri era certamente ragguardevole, e l’iconografia lo ritrae in età avanzata.
Io preferisco rivederlo con il volto di Johnny Dorelli che lo interpretò con straordinaria efficacia nel bel film di Luigi Magni (State buoni se potete) del 1983 (il film QUI, QUI e QUI), assai migliore secondo me della miniserie televisiva con Gigi Proietti, Preferisco il Paradiso, per la regia di Giacomo Campiotti (2010). Le frasi da cui prendono il titolo queste due produzioni appartengono ai detti del Santo: State buoni se potete lo ripeteva ai fanciulli, che avevano anche a quell’epoca l’argento vivo addosso; Preferisco il Paradiso lo disse quando rifiutò di essere fatto cardinale.
Ma chi era San Filippo Neri? Vediamone alcuni aspetti salienti, senza pretesa alcuna di esaustività.
La vita

Nato a Firenze il 21 luglio 1515 da una ricca famiglia, Filippo Neri frequentò il convento di San Marco. Intelligente e portato allo studio, il giovane fu influenzato anche da due testi cui si appassionò: le Laudi di Jacopone da Todi, che poi fece anche musicare, e le Facezie del Pievano Arlotto, un libro umoristico scritto da Arlotto Mainardi, sacerdote fiorentino noto per il suo spirito e le sue burle; entrambi libri che in qualche modo influiranno sul suo stile apostolico.
Filippo Neri però lasciò la città toscana all’età di 18 anni e non vi tornò più. Soggiornò a Cassino e a Gaeta; intorno al 1534, poi, arrivò a Roma come pellegrino e lì si fermò. Studiava filosofia presso l’università della Sapienza e teologia dagli agostiniani, e si manteneva poveramente facendo il precettore dei due figli di una famiglia fiorentina. Prestava anche servizio di carità presso l’ospedale di San Giacomo, dove anni dopo conobbe San Camillo de’ Lellis. Altri rapporti di amicizia li avrà con San Carlo Borromeo (ed anche col cardinal Federigo Borromeo), con il cappuccino San Felice da Cantalice, con Sant’Ignazio di Loyola…
Nel 1544, in seguito ad una esperienza mistica, Filippo Neri, che è ancora laico, inizia a vivere come un eremita, dorme sotto i portici e in ripari di fortuna, incontra molti giovani che riesce a conquistare con la sua simpatia, spiega le Sante Scritture, si occupa dei poveri, degli abbandonati, degli infermi, dei pazienti degli ospedali di San Giovanni e Santo Spirito.
Nel maggio del 1551 accetta di essere ordinato sacerdote: a ben 36 anni, e spinto dal suo confessore, perché non se ne riteneva degno. In quell’anno si raduna intorno a lui una comunità di sacerdoti secolari che sarà poi la Congregazione dell’Oratorio (Padri Filippini od Oratoriani), dedita all’istruzione, la direzione spirituale, la predicazione e l’apostolato liturgico, in particolare tra i giovani.
Filippo Neri avvicina i ragazzi di strada, li inserisce nelle celebrazioni liturgiche, attira i più piccoli alla fede con il gioco e il canto, senza distinzioni tra maschi e femmine. Anticipa così il concetto moderno di Oratorio, che si svilupperà attorno alla chiesa di Santa Maria della Vallicella. Riesce a riunire bambini e adolescenti di ogni estrazione sociale, ma non insegna loro una pietà triste: li invita a ridere, a divertirsi, a giocare, a godere della loro spensieratezza purché lo facciano senza offendere Dio. Di temperamento gioioso, scherza facilmente e ride di sé. La mattina prega: «Signore, fa’ molta attenzione a Filippo stamane! Se non gli tieni la mano sulla testa è capace di diventare maomettano prima di sera». Per questi motivi San Filippo Neri sarà ricordato come il Santo della gioia.
L’umorismo
Spesso una battuta lo traeva fuori dall’impaccio. Problemi nel farsi obbedire? «Chi vuol essere obbedito comandi poco». Problemi nell’obbedire? «È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che star in camera a fare orazione». Gli davano uno schiaffo mentre chiedeva l’elemosina per i suoi ragazzi? «Questo è per me, e ve ne ringrazio. Ora datemi qualcosa per i miei ragazzi». Qualcuno gli faceva proprio perdere la pazienza? «Ma va’ a mori’ ammazzato… ppe’ la fede!», trasformando la spontanea imprecazione in un pio augurio di santa morte per martirio…
L’Oratorio
L’istituzione dell’Oratorio nasce dalla volontà di formare una comunità caratterizzata dalla frequentazione collettiva dei sacramenti ma anche dalla vita sociale: persone laiche e religiose, povere e agiate, legate dal vincolo dell’amicizia comunitaria. Prende corpo con Filippo Neri anche un’ampia rete ospedaliera e una Confraternita che assiste i pellegrini durante gli anni santi. Il Papa stesso, talvolta, si reca sul posto per lavare i piedi ai pellegrini e a servire loro i pasti.
Il giro delle Sette Chiese
Sono questi, anche, gli anni in cui a Roma nasce una sensibilità rinnovata per il pellegrinaggio nei luoghi del primo cristianesimo: le catacombe, le basiliche antiche. Anche su questo San Filippo Neri dà il suo contributo.
La pratica devozionale del giro delle Sette Chiese, ancora in uso la notte del Giovedì Santo, è attestata almeno nel VII secolo, ma fu San Filippo Neri a reinventarla rivitalizzandola come antidoto alle seduzioni del carnevale. Il giro delle Sette Chiese era una visita in processione che durava due giorni, ai luoghi di culto più importanti della città, con un percorso di venti chilometri; si iniziava dalle quattro basiliche maggiori e si proseguiva con altre tre chiese di forte valore simbolico (San Lorenzo fuori le mura, Santa Croce in Gerusalemme, San Sebastiano fuori le mura).
Durante il cammino i fedeli cantavano «Vanità di vanità, tutto è vanità» e in ogni chiesa si recitava uno dei Salmi penitenziali (6, 32, 38, 51, 102, 130, 143), si chiedeva perdono per i sette peccati capitali se si fossero commessi, si chiedeva il dono delle sette virtù contrarie ad essi e si meditava sulle sette tappe principali di Gesù durante la Passione, le sette effusioni del sangue di Cristo, le sette parole di Cristo sulla croce, i sette doni dello Spirito Santo, i sette sacramenti e le sette opere di misericordia. È per questo motivo che si visitano sette chiese. Questa pratica venne promossa nell’anno giubilare 1550 e dal 1575 stabilita come requisito per lucrare l’indulgenza plenaria. Le visite si compivano il Mercoledì e il Giovedì Santo.
San Filippo Neri e gli animali
Filippo Neri amava vivere all’aperto per sentirsi in maggior contatto con Dio e le sue creature. A San Girolamo teneva con sé una gattina che portava sotto la mantella per ripararla dal freddo, e un cane meticcio chiamato «Capriccio». Il cane apparteneva al cardinale di Santa Fiora ma aveva deciso di vivere nell’Oratorio. San Filippo Neri giocava con lui per riprendersi dalle emozioni che provava durante la celebrazione della messa. Il santo inoltre aveva amicizia con alcuni uccellini che durante la giornata stavano in giro per la città, ma alla sera tornavano da lui, che li accudiva e li nutriva, e al mattino lo svegliavano con il loro canto.
Il miracolo del giovane Paolo

Una volta l’anno, ogni 16 marzo, è tradizione che le porte del Palazzo Massimo in Corso Vittorio a Roma si aprano ai fedeli che desiderino celebrare uno dei più clamorosi miracoli di San Filippo Neri: la risurrezione del giovane Paolo Massimo.
Tra i giovani che pongono la loro confidenza in San Filippo Neri c’è il quindicenne Paolo Massimo, figlio di Fabrizio, di nobile famiglia romana. Purtroppo all’inizio del 1583 Paolo si ammala, e s’indebolisce ogni giorno di più senza che i medici riescano a far niente per lui. Il 16 marzo, mentre Filippo Neri è assente – sta celebrando al Messa altrove – Paolo muore, senza essersi confessato per un’ultima volta.
Al suo arrivo, Filippo non si sgomenta. Entra nella camera dove giace il corpo del giovane, si raccoglie in preghiera e gli intima: «Paolo! Svegliati!». Paolo apre gli occhi, si solleva, può confessarsi come desiderava. Impartitagli l’assoluzione, Filippo gli chiede se vuole restare in questo mondo o riaddormentarsi subito nella certezza della gioia eterna. Paolo risponde che desidera tornare dalla madre e la sorella defunte. «E allora va’ in pace e prega Dio per me», gli dice il sacerdote. Quindi il giovinetto si riaddormenta serenamente nella morte.
Ogni 16 marzo, una messa solenne è celebrata nella camera del miracolo di San Filippo Neri, trasformata in cappella. Dal 2020, a causa delle restrizioni anti covid, non è stata possibile l’apertura della cappella ai fedeli. Quest’anno però, 2022, a quattrocento anni dalla canonizzazione di Filippo Neri avvenuta nel 1622, undici padri oratoriani da tutto il mondo si sono trovati nella cappella del miracolo per celebrarvi la Santa Messa.




Quando Filippo Neri morì, il 26 maggio del 1595, festa del Corpus Domini, i romani lo considerarono già santo ancor prima della canonizzazione, che ebbe luogo nel 1622. Il giorno della canonizzazione di San Filippo (chiamato popolarmente a Roma “Pippo Bbono”) vide salire agli onori degli altari anche gli spagnoli Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e Isidoro, per cui a Roma si disse: «Hanno fatto quattro spagnoli e un santo!».

Un Santo «allergico» allo scrivere

Invano cercheremmo in biblioteca qualche libro che abbia per autore San Filippo Neri. Filippo non fu un santo scrittore, e non aveva problemi a confessare una insormontabile ritrosia a prender la penna in mano, oltre che a parlare di se stesso. Di lui sono rimaste una trentina di lettere, oltre ad alcuni scritti occasionali e tre sonetti, di cui due di dubbia attribuzione. Ma c’è stato fin da subito chi ha sopperito a questa mancanza, tramandando le sue massime e i suoi ricordi.. Le serie più antiche di testimonianze furono messe per scritto al processo di canonizzazione, dove testimoniò anche il padre del giovinetto resuscitato da San Filippo Neri, il nobile Fabrizio Massimo.
Il suo ritratto
«Era Filippo di statura mediocre, di carnagione bianca, di viso allegro, e nella sua gioventù fu di bellissime fattezze; aveva la fronte rilevante e spaziosa, non però calva; il naso aquilino; gli occhi piccoli e di color celeste, alquanto in dentro, ma vivaci; la barba nera e non molto lunga se bene negli ultimi anni canuta, e del tutto bianca» (Pier Giacomo Bacci, 1622).
L’allegria
«L’allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza, mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti… Si oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può neanche assaporarla: le si oppone principalmente l’ambizione: le è nemico il senso, e molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto degli spettacoli».
Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva: «Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati». E quando doveva frenare l’irrequietezza dei ragazzi diceva: «State fermi», e, sotto voce, «se potete».
L’umiltà
San Filippo Neri considerava l’umiltà la prima virtù di un santo. C’era ai suoi tempi una religiosa celebre, di cui si diceva che avesse estasi e rivelazioni. Il Papa mandò proprio San Filippo Neri a visitarla in convento per verificarne la santità. San Filippo Neri arriva al convento tutto infangato. Chiede della suora, che arriva, tutta seria e compresa della propria santità. Il Santo si siede e le chiede: «Toglietemi le scarpe!». Al che la suora si indigna. Padre Filippo non ha bisogno di chiedere altro. Torna dal Papa a riferire che, secondo lui, una persona così altera non poteva essere santa.
L’Eucaristia
Una nobildonna andava spesso alla Messa celebrata da San Filippo Neri. Dopo aver preso la Comunione, se ne andava senza fare il ringraziamento. Un giorno, prima della Messa, San Filippo Neri disse a due chierichetti: «Ad un mio cenno seguite con le candele accese una donna che io vi indicherò». Dopo la Comunione, al solito, la signora s ne andò. San Filippo fece cenno ai due chierichetti e questi con due grosse candele accese si misero a seguirla. Questa, venuta a sapere di quanto San Filippo Neri aveva ordinato, tornò per chiedergli spiegazioni. «Come vi siete permesso?». E San Filippo: «Signora, mi sono permesso perché stava portando la Santissima Eucaristia in processione per le strade di Roma. Lo sa o non lo sa che ogni qualvolta riceviamo Gesù Sacramentato diventiamo per un po’ di tempo dei tabernacoli viventi?». La nobildonna capì e non ebbe parole per replicare.
La maldicenza
Un giorno, una nota pettegola confessò a San Filippo Neri di aver parlato male del prossimo, ma evidentemente non si rendeva conto dei danni che causava. Il confessore le assegnò per penitenza di spennare una gallina e spargere le piume al vento, poi tornare da lui per ricevere altre istruzioni. La donna cimpì questa strana azione e tornò dal santo, il quale le disse: «Ora devi andare per tutta Roma a raccogliere le penne e le piume che hai sparso!». «Ma è impossibile!», ribatté la donna. «Anche le chiacchiere che hai sparso per tutta Roma non si possono più raccogliere! Sono come le piume e le penne di questa gallina che hai sparso dappertutto! Non c’è rimedio per il danno che hai fatto con le tue chiacchiere!».