Un tempo, quando la memoria era considerata molto importante nell’educazione, e quando i Santi avevano una grande parte nella vita della società, arrivati a dicembre le nostre nonne ci insegnavano la filastrocca dei Santi:
Il primo di dicembre è Sant’Ansano;
il quattro, Santa Barbara beata;
il sei, San Niccolò che vien per via;
il sette, Sant’Ambrogio da Milano;
l’otto, la Concezion Santa Maria.
Il nove mi cheto,
il dieci è la Madonna di Loreto.
Il dodici convien che digiuniamo
perché il tredici c’è Santa Lucia;
il ventun, San Tommè, la chiesa canta,
e il venticinque vien la Pasqua Santa.
E poi ci son i Santi Innocentini;
alla fine di tutto, lesto, lesto,
se ne viene San Silvestro.
Così la saggezza popolare toscana insegnava ai bambini il senso dell’Avvento, l’attesa del Natale (una santa «Pasqua», così venivano dette anche dal popolo le feste del Signore) attraverso un corteggio di Santi che snodandosi nei vari giorni di dicembre lo precedeva fino a donarci l’incanto delle feste natalizie (e poi, sbrigativamente, la conclusione dell’anno con la festa di S. Silvestro).
Vorrei sapere quanti di noi oggi ricordano questa filastrocca e quanti si curano di tramandarla ai bambini, in tempi in cui la memoria è affidata ai mezzi informatici. Il male è che queste tradizioni non sono state sostituite da alcunché se non dall’appiattimento della globalizzazione e dal consumismo delle feste commerciali imposte da una sorta di colonizzazione culturale.
Quanti dì conta novembre?
Allora, genitori e nonni, vogliamo insegnare questa filastrocca ai nostri bambini? Sono quelle cose che non si dimenticano più… come l’indispensabile filastrocca senza la quale non ci ricorderemmo il numero dei giorni mese per mese:
Trenta dì conta novembre,
come april, giugno e settembre;
di ventotto ce n’è uno,
tutti gli altri ne han trentuno.
Per gli eruditi, riporto anche la più antica versione latina, un po’ più complicata:
«Junius Aprilis September et ipse November
Dant triginta dies, reliquis superadditur unus,
De quorum numero Februarius excipiatur
Namque quater septem fertur habere dies
Sed cum bisextus fuerit superadditur unus»
(Anianus, Computus Metricus Manualis, 1488).
«Giugno, Aprile, Settembre e anche Novembre
hanno trenta giorni, agli altri se ne aggiunge uno,
Dal numero dei quali si eccettui Febbraio.
Si dice infatti che abbia quattro volte sette giorni
Ma quando è bisestile se ne aggiunge uno».
Vi ricordate la divisione delle Alpi?
E come avremmo potuto imparare a memoria, in quarta elementare, i nomi delle Alpi: Marittime Cozie Graie Pennine Lepontine Retiche Carniche Giulie (vi assicuro che li ho scritti in velocità e senza bisogno di consultare testi), come avremmo potuto impararli, dunque, senza l’ausilio dell’indovinello: Ma con gran pena le reti cala giù? Ovvero:
MA CO[n] GRA[n] PE[na] LE RETI CA[la] GIU =
MArittime COzie GRAie PEnnine LEpontine RETIche CArniche GIUlie
La soluzione dell’indovinello è «il pescatore», un pescatore amico degli scolari che alleviava le loro pene aiutandoli a ricordare la partizione delle Alpi e quindi a conoscere un po’ meglio l’Italia.
Chi poi ha fatto latino si ricorderà indelebilmente il vecchio DIC DUC FAC FER per non sbagliare gli imperativi irregolari; chi ha fatto francese, forse, il tormentone EX DEPOSITO GAZ che aiuta a rammentare quali siano le consonanti che in fine di parola non si pronunciano… ma anche, in matematica, la più celebre formula:
Della sfera il volume qual è? Quattro terzi pi greco erre tre!
Aggiungiamoci, in una scuola elementare un po’ meno datata:
Su qui e qua l’accento non va, su lì e su là l’accento ci sta;
Are, ere, ire la mutina fan fuggire.
La filastrocca del pulcino
E infine, per insegnare i giorni della settimana ai più piccini, che cosa c’è di meglio della filastrocca del pulcino?
Lunedì chiusin chiusino
Martedì bucò l’ovino
Sgusciò fuor mercoldì
Pio pio fe’ giovedì
Venerdì fu un bel pulcino
Beccò sabato un granino
La domenica mattina
avea già la sua crestina.
… Nostalgia?