Figure femminili nella storia della salvezza

Figure femminili
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Figure femminili nella storia della salvezza

Nella Bibbia, come diceva A.J. Heschel, non è contenuta solo  una teologia dell’uomo, ma anche l’antropologia di Dio. E qual è questa antropologia?

La «rivoluzione biblica»

Come c’è una profonda unità in Dio, c’è una profonda unità nell’adam, costituita a pari merito da uomini e donne. L’espressione di Gn 2,18 «un aiuto di fronte a lui», per indicare la donna, manifesta questa parità sostanziale fra uomo e donna, una concezione straordinariamente moderna; e mentre l’adam dà agli animali i nomi che competono loro, come il signore impone il nome ai sudditi, nel riconoscersi ’ish = uomo maschio dà all’«uomo femmina» il suo stesso nome declinato al femminile, ’isshah, ossia il proprio, perché della sua stessa natura è fatta; nell’antichità si riteneva al contrario che la donna fosse una forma inferiore di vita rispetto al maschio).

Con il Progetto ’Adam, che nella Bibbia proclama non l’uguaglianza, ma la pari dignità di uomo e donna, sembrerebbe detto tutto. Invece subentra il peccato, con l’instaurazione di un regime di superiorità – inferiorità, dominio – sudditanza, anche nella sopraffazione e nella violenza, del più forte verso il più debole; e non c’è dubbio che la donna rappresenti in generale, quanto al fisico, la parte “debole” dell’umanità, specialmente nell’antichità, con quel suo corpo fragile e segnato profondamente dalla gloria del fascino muliebre ma anche dal travaglio della maternità.

È quanto ci dice il racconto del peccato originale nel capitolo 3 di Genesi (Gn 3,16). Nella prassi storica si instaura cioè anche in Israele una consuetudine di sottomissione della donna e di confinamento nell’ambito domestico, ma ciò è visto come effetto del peccato, una distorsione e non un elemento del progetto creazionale divino.

La frattura di un’armonia

Spezzando infatti l’armonia con Dio (non è Dio a divenire nemico, è l’uomo a temerlo come tale), l’antica Eva e l’antico Adamo spezzano anche l’armonia originaria con la natura, con l’altro e persino con se stessi: si nascondono davanti a Dio che viene familiarmente a loro, in amicizia, ma si nascondono anche a se stessi coprendo una nudità che non è più espressione di spontaneità ma di vergogna. L’Adam adesso si vergogna di sé, si sente indifeso, in balia di qualunque cosa possa attaccarlo.

La serie delle cosiddette “maledizioni”, che non sono un augurio di male, ma che “male-dicono”, ovvero “dicono-il-male” che c’è già nell’uomo, consiste proprio nel mettere in evidenza come la natura si ribelli e, invece di essere sorella ed amica, divenga malevola verso chi l’ha violata (Gn 3,14-19). Così, l’uomo-maschio viene visto colpito nella sfera che più gli appartiene, cioè quella del lavoro, sfera nella quale la terra gli diventa nemica e solo con suo dolore produce frutti, mentre l’uomo-femmina, la donna, viene vista colpita nella sua natura femminile e la maternità diviene per lei anche fonte di dolore.

Un rapporto snaturato

Non solo: anche la qualità dei rapporti uomo-donna nella coppia si snatura. Invece di un rapporto di pari dignità e complementarietà nella differenza, si ha nella storia un rapporto di disparità e sottomissione. L’uomo, considerato attivo per natura propria, è ritenuto per natura superiore alla moglie e gli è riconosciuto il diritto al comando, in quanto nel processo di generazione rappresenta il dinamismo della forma, mentre la passiva materia femminile, ontologicamente inferiore, può solo subire (Aristotele).

Nel mito di Esiodo, la donna, dotata di “animo senza pudore” e “disposizione all’inganno”, viene addirittura introdotta nel mondo come castigo di Zeus. È lei che fa entrare i mali nel mondo (il “vaso di Pandora”). È un interessante parallelo col pensiero biblico, ma con una profonda divergenza: biblicamente è il peccato a corrompere la donna come pure l’uomo, non è la natura originaria della donna che è quella di compagna “pari a lui”. La convinzione dell’inferiorità ontologica della donna risulta invece essere il pensiero comune dell’umanità riguardo alla condizione femminile. Una condizione fatta di figli, belletti, arti seduttive, corruzione…

Figure femminili nella storia della salvezza

Myriam. Di Anselm Feuerbach (1862) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3245209

La storia dell’antico Israele, viceversa, pur incarnata in una società patriarcale, ci presenta tutta una serie di personaggi femminili che vivono nell’ambito domestico, nell’intimità della tenda o della casa, nell’attitudine statica che è loro pertinente, ma è attraverso di esse che passa, appunto, la storia della salvezza.

Gn 18: mentre Abramo si trova sulla soglia, e da lì si precipita ad accogliere gli stranieri che transitano nel suo spazio, ed accogliendo loro è Dio che accoglie (lo straniero, secondo Lévinas, è l’Epifania del volto di Dio), Sara rimane dentro la tenda, nascosta col suo ironico scetticismo. Partorirà, novantenne, il figlio della promessa, e sarà nonostante tutto dalla sua tenacia che passerà il futuro del popolo di Dio.

Debora

Giudici 4-5: Deborah, profetessa e giudice, giudica il suo popolo seduta sotto una palma. Pur svolgendo ella una funzione pubblica, ecclesiale potremmo dire, il suo atteggiamento è quello di stare seduta, statica, nel raccoglimento datole dalla protezione dell’albero. Se ne distaccherà, ed entrerà in movimento e in azione, quando il condottiero Baraq le chiederà di dargli coraggio accompagnandolo in guerra. La donna allora esce dallo schema della staticità ed entra nella sfera pubblica dell’azione; e, per una sorta di legge di contrappasso, il nemico cadrà non nelle mani del forte condottiero (“Baraq” significa “fulmine”, in contrapposizione a “Debora” che significa “ape”), ma nelle mani di una debole donna.

Infatti il generale nemico Sisara, fuggendo a piedi dalla battaglia perduta, cerca rifugio nella tenda di un suo alleato, marito di Giaele, ma questa, abbandonando anche lei l’intimità della tenda e la posizione statica per andargli incontro, lo accoglierà e lo ucciderà a tradimento. Il giudizio morale su questo atto proditorio non può che essere severo; ma Dio scrive diritto sulle nostre righe storte, e la storia della salvezza passa anche attraverso le storture degli uomini e delle donne. Deborah, chiamando se stessa “madre in Israele” (Gdc 5,7), si attribuisce un titolo fino ad allora inedito per una donna, cioè quello di una maternità, di una custodia e di una tutela per il suo popolo che era ambito esclusivamente maschile.

Questo è un esempio: ma molti altri ce ne sono. Troviamo Anna madre di Samuele, Rut, Ester, Giuditta: personaggi storici o letterari che siano, passa dalla loro fede la speranza di Israele.