Nel discorso della montagna, dura è anche la parola che riguarda i falsi profeti e la loro rapacità, i cattivi alberi che non fanno frutto o ne producono di cattivi o di disutili, le guide spirituali che si ammantano di bontà per carpire le anime ma lo fanno per proprio interesse, soggiogando gli altri per esercitare potere. Fede (a parole) e opere (coi fatti) non pssono essere separati.
Il falso profeta
È molto accattivante l’immagine benevola del profeta che si presenta con garbo, piacevolmente, ed ottiene il gradimento altrui avallando i loro desideri meno condivisibili. È anche molto attuale: i mass media si servono proprio di questa captatio benevolentiae per ottenere consensi e seguiti e per manipolare la società. Come le antiche sirene, questi falsi profeti non ci aiutano, anzi promettono felicità in cambio di approvazione e così ci deviano. La Chiesa non vende ricette di felicità, anzi spesso l’“essere” autentico non coincide con il “ben essere” che viene pubblicizzato.
Le opere della fede
L’“essere” autentico è quello della fede. È la fede è reale solo se si concretizza nelle opere, altrimenti rischia di essere un vano ripetere “Signore, Signore” (cfr. Gc 2,17: “La fede, senza le opere, è morta”).
La vera fede deve dare veri frutti, in virtù di una scelta radicale: la porta stretta e non la larga, gli alberi da frutto e non quelli inutili, opere e non parole vuote, roccia e non sabbia.
La grazia è per tutti, ma bisogna risponderle fattivamente (la porta stretta e la via tribolata che conducono alla salvezza); alle parole di verità deve corrispondere la verità della vita, altrimenti si è profeti falsi. L’ipocrisia, ovvero il recitare una parte inautentica, si nasconde anche nell’invocazione liturgica: Kyrie, Kyrie onora il Signore a parole, ma se i fatti non vi corrispondono, se non si fa la volontà del Padre, se non si usa misericordia agli uomini, le opere non sono altro che frutti di iniquità ed edifici costruiti sulla sabbia. La vita non si costruisce sulle parole ma sulla Parola che è il Cristo, la roccia, che è carità.
Fondarsi sulla Roccia
La roccia è la carità di Cristo, ed è su questa che si fonda l’intero discorso della montagna, che così viene a termine: un discorso che è sintesi del Vangelo secondo Matteo e che lascia stupefatte le folle. La scena, dunque, ci lascia stupiti, come gli ascoltatori, non tanto dei contenuti, che spesso si ravvisano anche negli insegnamenti rabbinici, ma sull’inaudita autorità di Gesù, non paragonabile neppure lontanamente a quella degli scribi: un’autorità in prima persona. “IO vi dico…”. . È l’Io divino che emerge dalla vicenda di Gesù, e che sarà visto in opera nella successiva sezione: guarigioni di intoccabili, dominio sul mare, liberazione dai demoni, perdono dei peccati, resurrezione dalla morte.