La Bibbia dall’ABC. L’adam (Genesi 2,7-8)

Creazione di Adamo, Giusto de’ Menabuoi. Di Guidofra – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=74677321

Il racconto jahvista entra nel vivo con la descrizione della formazione dell’adam: Allora plasmò Jhwh ’Elohim l’adam con la polvere del suolo (Gn 2,7). L’adam, come dice il nome, è fatto di terra (’adamah).

Nel racconto Jahvista, a differenza che nel Sacerdotale dove l’uomo viene per ultimo nel processo cosmogonico, l’adam viene formato subito, con appena quel po’ di terra necessario per starci in piedi ed esistere. Quella creazione che nel primo, più sofisticato racconto è opera della Parola di Dio, qui è narrata come un’opera manuale esemplata su quella del vasaio. Il verbo impiegato per esprimerla è, infatti, yatzar = plasmare (yotzer significa vasaio).

L’uomo è anche qui ’adam, non il nome proprio Adamo ma  il nome comune derivato da ’adamah / terra = il terroso, il terrestre.

L’opera del vasaio

Khnum, il dio dalla testa di ariete, e Heket, la dea rana delle nascite, intenti a plasmare un nuovo essere umano. Rilievo del Tempio di Dendera.  Di Roland Unger, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22682744

Nel mito babilonese di Atrahasis (ricostruito per quattro quinti su tavolette cuneiformi a partire dal 1965) l’uomo è formato per sostituire gli dèi ribelli Igigi nel faticoso trasporto dei cesti allo scopo di attivare i canali. Per formare l’uomo la dea-vasaia Nintu o Mami usa il sangue del dio della sapienza We e l’argilla fornitagli dal dio Enki: gli Igigi partecipano materialmente all’atto creativo, sputando sull’argilla (7 pezzi di argilla per fare gli uomini e 7 pezzi di argilla per fare le donne).

Nell’Enuma elish viene utilizzato il sangue del dio Qingu: anche se il testo non menziona la terra, si può supporre che il sangue venisse impastato con essa. Nell’epopea di Gilgamesh, la dea Aruru modella dell’argilla per creare l’eroe Enkidu. In molti testi babilonesi Ea, creatore dell’uomo, è chiamato il dio vasaio (Furlani G., Poemetti mitologici babilonesi e assiri, Firenze 1954; Miti babilonesi e assiri, Firenze 1958). In un tempio presso Luxor è raffigurato il dio Khnum, dalla testa di ariete, che modella gli uomini con la creta, sul tornio del vasaio.

Il racconto biblico

Andrea Pisano, Creazione di Adamo, 1334-43. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=955676

Con un ingenuo antropomorfismo, il Signore Dio è presentato nel racconto J come un vasaio, mentre plasma l’adam con la polvere del suolo (‘aphar è la parte più sottile e superficiale del terreno). L’immagine del vasaio tornerà spesso nei profeti (Isaia, Geremia) ad indicare l’onnipotenza divina sul mondo e sulla storia: perché la creazione continua nella storia della salvezza. Ma questa immagine non basta da sola a descrivere l’azione divina. Manca qualcosa.

Il Signore Dio comunica infatti all’adam anche qualcosa di direttamente suo, un alito di vita (nishath chayyim), ed è per questo che l’adam diviene un’anima vivente (nephesh chayyah). Neshamah è il soffio; naphach significa soffiare e indica normalmente l’azione di attizzare il fuoco (cfr. Is 54,16; Ger 1,13; Ez 22,20; Gb 20,26). Più avanti si parlerà di Ruach chayyim (Spirito di vita: Gn 6,17; 7,15).

Il soffio della vita

Anche a questo proposito troviamo un certo patrimonio di immagini comuni: nel bassorilievo di Deir-el-Bahari e di Luxor, dopo che il dio Khnum ha modellato il corpo del faraone Amenofi III e della regina Hatshepsut, alcune dee mettono sotto le loro narici una croce ansata raffigurante il respiro vitale.

Un altro bassorilievo raffigura il dio solare Aton che con raggi terminanti in forma di mani mette sotto le narici di Amenofi IV, di sua moglie e dei suoi quattro figli il segno geroglifico della vita.

Un racconto popolare maori narra che il dio Tiki impastò dell’argilla rossa con il proprio sangue e ne fece una propria copia esatta, «poi l’animò soffiando sulla bocca e nelle narici e subito nacque alla vita e starnutì»; e l’uomo somigliava in tal modo al Creatore che questi lo chiamò Tiki-Akua, cioè «Immagine di Tiki».

Ovviamente l’umanità ha condiviso l’archetipo secondo cui la vita è data dal respiro, e il respiro è dato da Dio. Non è solamente la rivelazione biblica a svelarcelo, è una intuizione comune degli uomini.

L’adam, animato dal respiro divino diviene una realtà viva, senza che si distingua dualisticamente fra anima e corpo. L’adam in quanto vivo, dice il testo biblico, è una nephesh.

L’antropologia biblica

Akhenaten, Nefertiti e i loro figli, sotto i raggi del Sole portatori di vita. Di © José Luiz Bernardes Ribeiro, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=64438738

La visione biblica è notevolmente diversa dal dualismo greco. Mentre noi occidentali scindiamo nettamente l’anima dal corpo, quasi l’uomo fosse fatto di due parti distinte, di cui solo quella spirituale costituisce la sua identità, nel pensiero biblico l’uomo è una unità integrata di anima-e-corpo, tanto che non è pensabile una realtà senza l’altra.

In quanto essere vivente, tutto l’uomo è nephesh / anima; in quante essere caduco, tutto l’uomo è basar / carne. L’uomo è pensabile non come anima incorporata, ma come corpo animato che vive del soffio divino. Infatti, il pensiero greco, se ha suggerito una speranza, l’ha indicata nella forma dell’immortalità dell’anima (disincarnata); la speranza biblica è invece posta nella resurrezione della carne. Il movimento biblico ha comportato anche la riappropriazione del valore positivo della corporeità che nei secoli passati, se non dottrinalmente almeno passivamente, era stata messa quasi fra parentesi nella storia della spiritualità.