
A chi si rifà il nostro Farè per affermare la distinzione fra munus e ministerium? Ecco qua. Lo dice lui stesso.
Farè: Le fonti. In campo gli avvocati
«Secondo l’avvocato Antonacci, la difformità della formula usata da Benedetto XVI rispetto al canone 332 comma 2 la rende nulla per errore sostanziale ai sensi del canone 188 del Codice di diritto canonico. Concordano con questa tesi gli avvocati che collaborano con Andrea Cionci Secondo l’avvocato Acosta invece anche questa sarebbe una causa di inesistenza dell’atto secondo il ragionamento che vado a illustrare.
L’avvocato Acosta si interroga circa la possibilità effettiva di separare il munus e ministerium nel caso del Santo Padre. Per un vescovo questa possibilità esiste ed è ciò che accade quando va in pensione: egli mantiene il munus ovvero l’essere vescovo che gli è stato conferito tramite un Sacramento e che quindi non è cancellabile, ma non mantiene ministerium ovvero il compito di amministrare una diocesi. Viceversa, per il sommo pontefice rinunciare al solo ministerium trattenendo il munus è una impossibilità giuridica – cito – “in quanto porta a un frazionamento delle funzioni che per diritto divino sono necessariamente inscindibili perché la titolarità integra delle medesime da parte di una sola persona è essenziale per garantire l’unità della chiesa”.
Pertanto – cito nuovamente – “la rinuncia di Benedetto alla carica, al munus di romano Pontefice non esistette per mancanza di oggetto”: non ci fu alcun atto giuridico e la sede non rimase vacante secondo il diritto. Vedremo più avanti l’unico caso in cui si può verificare che un papa perda il suo ministerium pur mantenendo il munus».
Risposta: Argomentazioni raffazzonate e pretestuose
Non torno a confutare nuovamente l’inconsistenza di quanto Farè sostiene su munus e ministerium, perché ho già risposto, ma riprendo nuovamente l’intervento di Boni – Ganarin:
«Faré non tiene conto di questi elementi, citando in nota a sostegno della sua tesi la pubblicazione di un sacerdote argentino che si dichiara specializzato in teologia e filmati Youtube di avvocati esercenti la professione in Italia, obnubilando, dunque, i numerosi e consistenti lavori accademici dati alle stampe in questi anni da autorevoli giuristi che non da oggi si industriano nell’analisi del diritto della Chiesa e che hanno esaminato dettagliatamente e con acribia i profili giuridici della Declaratio di Benedetto XVI.
Si tratta di una lacuna grave che emerge ictu oculi dalla bibliografia finale (pp. 32-37) e comprova incontrovertibilmente l’insussistenza di un metodo rigorosamente scientifico, il quale deve necessariamente orientare l’itinerario espositivo di un intervento su questioni complesse e delicate, diffuso largamente online e quindi capace di disorientare un numero non irrisorio di christifideles.
Si ha, infatti, l’impressione che il “libello” di Faré sia stato confezionato a sostegno di una tesi precostituita, non essendo nemmeno menzionate le opinioni contrarie che pure meriterebbero attenta considerazione e – preme sottolinearlo – non provengono certamente dai cosiddetti “confundisti”, “legittimisti di Bergoglio”, “nemici della Chiesa e del papa”, “seguaci della Chiesa dell’Anticristo”, “cortigiani” o da chi sarebbe iscritto al “libro paga” del pontefice regnante, secondo deprecabili etichette che sovente e con leggerezza taluni attribuiscono, al fine non di controbattere le idee ma di denigrare le persone, rivelando così una sconcertante carenza di argomenti».
Sintetizzo
Sintetizzo questo dotto intervento: Farè non tiene conto degli studi dei giuristi, ma di presunti teologi e video Youtube di persone non qualificate, per difendere la sua tesi preconcetta. Gli argomenti contrari ad essa non sono sospetti perché vengono anche da esperti non certamente simpatizzanti per papa Francesco, ma Farè non li prende in considerazione, disorientando i tanti che lo seguono online.
Bisogna anche puntualizzare che queste fonti cui fanno riferimento Cionci e Farè sono costituite da accademici e giuristi, nessuno dei quali ha competenze in materia canonica: in diritto amministrativo, in diritto penale, in procedura penale, ecc., ma nessuno di loro ha competenze in diritto canonico, e si vede. Il diritto canonico è una disciplina teologica che si studia con metodo giuridico, o una disciplina giuridica che si studia con metodo teologico; comunque si veda, richiede competenze specifiche.
Appoggiarsi a professionalità estranee a quest’ambito comporta approssimazioni e veri e propri errori, cantonate addirittura.