C.S. Lewis e la Fantateologia

Fantateologia
La Trilogia interplanetaria di C.S. Lewis. https://www.americanbookwarehouse.com/4463963/

«La teologia è un ramo della letteratura fantastica» (Jorge Luis Borges). Per chi rimane estraneo alla sfera della fede, la teologia si pone nella letteratura dell’immaginario, perché immagina ciò che non è. Se questo fosse vero, fantascienza e teologia, o fantasy e teologia, dovrebbero andare molto d’accordo: ma così non è stato. Si deve a C.S. Lewis, fin dal 1938, se questi due tipi di letteratura si sono avvicinati e persino fusi. È Lewis che ha inventato una fantateologia – pur senza mai usare questo termine.

Nel corso dello stesso anno 1938 in cui Lewis pubblica il suo primo romanzo fantascientifico, Isaac Asimov, il cui nome è ben noto come quello di un gigante della fantascienza, inizia a scrivere e vendere i suoi primi racconti. Lo stesso Asimov dividerà poi la storia della fantascienza moderna in tre periodi: 1926-1938 – periodo dell’avventura, con scarse conoscenze scientifiche e gusto per la Space Opera (melodramma spaziale con mostri, scoperte pericolose e colpi di scena); 1938-1950 – periodo della scienza, basato sulle innovazioni tecnologiche; dal 1950 in poi periodo della sociologia.

Un abbozzo di fantateologia

Fa forse timida eccezione, per il tema biblico cui fa riferimento, The Eye of Balamok (1920) di Victor Rousseau. Victor Rousseau è lo pseudonimo di Victor Emanuel, di padre inglese e madre francese, per metà di origine ebraica ma cattolico osservante. Il romanzo descrive una civiltà perduta che sopravvive sotto il deserto australiano, dove una razza bianca domina gli aborigeni. Un uomo della superficie, Gowan, cerca di aiutare la principessa Hita a riconquistare il trono ma i due sono cacciati in una terra di nessuno fuori dello spazio e del tempo la cui porta è sorvegliata dal Serpente: l’autore suggerisce che il racconto di Adamo ed Eva possa essere nato da questa vicenda. I due abbandoneranno infine il loro Paradiso per riconquistare il trono, ma giunti nella propria città, ormai molto modernizzata, saranno solo due vecchi il cui nome è divenuto leggenda fin dalla notte dei tempi.

L’invenzione della fantateologia

A parte il precedente rappresentato da questo cenno al racconto biblico sui progenitori, la scelta di Lewis appare quindi, per quel periodo, del tutto originale. Attraverso il linguaggio della fantascienza egli dipinge un quadro drammatico della realtà umana: mentre gli altri mondi continuano lieti la grande danza dei cieli in comunione con Dio, la Terra si è estraniata divenendo il Pianeta silenzioso: si è arresa alla volontà malefica dell’Eldil oscuro, si è rinchiusa nelle logiche del profitto e di uno scientismo ottuso che ha rimosso i valori umani in nome del progresso, e attende solo la liberazione dalle sue catene, senza però saperlo e senza sapere da dove essa gli verrà.

Scienza contro fede

L’aspetto religioso della vita, spesso, viene preso alla leggera o bersagliato con ostilità dagli scrittori di fantascienza. Le molte opere fantascientifiche che toccano i temi religiosi si interessano sopratutto alla loro presunta natura «mitica» ed ai loro rapporti con la società, senza dibattere realmente una questione teologica.

Anzi, fin dall’inizio la fantascienza è stata utilizzata per attaccare i dogmi della fede e far segnare al pensiero razionalistico una vittoria sul cosiddetto oscurantismo religioso. Molti racconti usano figure e temi religiosi ma in chiave negativa, per il potere, che attribuiscono alla religione, di manipolare le masse e opprimere le persone, oppure li spiegano in termini scientifici: i sedicenti dèi o angeli o demoni sono alieni, i profeti e Cristo stesso sono viaggiatori del tempo. Tale è il dolente Cristo di Michael Moorcock, che in Behold the Man (1966) decide di rimpiazzare in tutto e per tutto il vero Gesù di Nazareth, riscontrato totalmente inabile, fino ad una croce senza resurrezione (Ecce Homo, «Nova SF» I [1985], 195-253.

Altre religioni vengono inventate per il futuro. In un romanzo rimasto inedito in Italia, di Clifford D. Simak, The Creator del 1935, il Creatore del nostro universo è un alieno, uno scienziato pazzo possessore di una scienza straordinaria.

Ironicamente crudele è l’elemento religioso de La Stella di A. C. Clarke (1955) in cui, dalle registrazioni lasciate da una antica razza extraterrestre molto avanzata, uno scienziato gesuita appura con orrore che la stella che fu usata per guidare i magi a Betlemme era una supernova conflagrata con tutta l’immensa popolazione del proprio sistema solare. Miliardi di creature bruciate per far da segno celeste ai Saggi di Oriente che cercano un Bambino!

Ancora più esplicitamente lo scrittore inglese fa emergere l’egocentrismo di questo preteso dio nel racconto The Nine Billion Names of God in cui dopo che, su commissione del Gran Lama, un potente computer ha terminato di elaborare la serie completa dei possibili nove miliardi di nomi di Dio, e la Divinità ritiene che l’uomo abbia raggiunto il suo scopo, i tecnici rivolgono lo sguardo al cielo, ed ecco, beh… vedono che «lassù, senza tanto chiasso, le stelle si stavano spegnendo»: la Terra non serve più (Arthur C. Clarke, I nove miliardi di nomi di Dio in Le meraviglie del possibile a cura di Sergio Solmi e Carlo Fruttero, Einaudi, Torino 1968, 585-595).

Lo scetticismo di Clarke è patente, come quello di Asimov, per non parlare del padre fondatore Wells. Così pure, agli antipodi di Lewis anche se a ben vedere si tratta di una critica allo strapotere della scienza e della tecnica assurte al rango di nuove divinità, è il racconto brevissimo e agghiacciante del noto scrittore Fredric Brown, La Risposta, che qui proponiamo a mo’ di esempio:

La Risposta

Con gesti lenti e solenni, Dwar Ev procedette alla saldatura, in oro, dei due ultimi fili. Gli occhi di venti telecamere erano fissi su di lui e le onde subeteriche portarono da un angola all’altro dell’universo venti diverse immagini della cerimonia. Si rialzò, con un cenno del capo a Dwar Reyn, e s’accostò alla leva dell’interruttore generale: la leva che avrebbe collegato, in un colpo solo, tutti i giganteschi computer elettronici di tutti i pianeti abitati dell’universo – novantasei miliardi di pianeti – formando il supercircuito da cui sarebbe uscito il supercomputer, un’unica macchina cibernetica racchiudente tutto il sapere di tutte le galassie.

Dwar Reyn rivolse un breve discorso agli innumerevoli miliardi di spettatori. Poi, dopo un attimo di silenzio, disse: «Tutto è pronto, Dwar Ev». Dwar Ev abbassò la leva. Si udì un formidabile ronzio che concentrava tutta la potenza, tutta l’energia di novantasei miliardi di pianeti. Grappoli di luci multicolori lampeggiarono sull’immenso quadro, poi, una dopo l’altra, si attenuarono.

Dwar Ev fece un passo indietro e trasse un profondo respiro. «L’onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn». «Grazie», disse Dwar Reyn. «Sarà una domanda cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere». Tornò a voltarsi verso la macchina. «C’è Dio?». L’immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitio di valvole o di condensatori: «Sì: adesso, Dio c’è». Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Ev, che si lanciò verso il quadro di comando. Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto.

Uomo macchina Dio sembrano alternative che non possono coesistere se non per cercare di sopraffarsi e/o sostituirsi l’un l’altro. Lewis ci dice che non è così.