Fantateologia: di fronte a critici del calibro di Borges e Orwell, che hanno recensito favorevolmente Lontano dal Pianeta Silenzioso e Questa Orribile Forza, gli altri si muovono ad un livello indiscutibilmente più basso e scarsamente rilevante.
Tuttavia, i migliori manuali di storia della fantascienza citano tutti Lewis con rispetto se non addirittura con ammirazione. Roberto Senesi, ad esempio, colloca le opere di Lewis tra quelle che si possono considerare, se non capolavori, almeno «testi di valore letterario superiore alla media […] in quella zona mediana che sta fra la letteratura dell’assurdo, il libello etico-sociale fondato sull’ironia e il fantascientifico vero e proprio» insieme a Huxley, Orwell, Bradbury (Roberto Senesi, A proposito di fantascienza, introduzione a J. Gattégno, Saggio sulla fantascienza, XX).
Questo vale universalmente per il primo romanzo della saga. Ad esempio, Il gioco dei mondi osserva, al suo riguardo: «La descrizione dell’equilibrata società delle tre razze che popolano Marte serve all’autore per un discorso non conformista sulla filosofia, la morale, l’arte» (Il gioco dei mondi, 170). A. Scacco lo considera «il libro che si porterebbe dietro su di un pianeta inesplorato» (Antonio Scacco, Fantascienza umanistica, Boopen, Pozzuoli (NA) 2009, 153). È significativo che Larry Niven, nel suo Rainbow Mars (1999), popoli il Pianeta Rosso di razze provenienti dalle avventure marziane di E.R. Burroughs (giganti verdi, umanoidi rossi), dalla Guerra dei Mondi di H.G. Wells (mostri tentacolari), dalla classica Odissea Marziana di S. Weinbaum (l’uccello Tweel e il costruttore di piramidi), e dai malacandriani di Lewis (Alti e Artigiani): vedere Larry Niven, Marte, un mondo perduto, Mondadori, Milano 2001.
Fantateologia: critici
Qua e là spuntano invece critiche negative riguardo agli altri due romanzi a motivo della lentezza dell’azione in Perelandra e dell’atmosfera grandguignolesca di Questa Orribile Forza. Sadoul ad esempio conclude: «Nonostante l’ammirazione per la prima parte della trilogia, si è costretti ad ammettere che il resto è mortalmente noioso» (J. Sadoul, Storia della fantascienza, 131). «Noia cosmica», così viene definito il terzo romanzo su alcuni siti. E il Dizionario Gremese dei personaggi fantastici: «Entrambi i seguiti sono nettamente inferiori al primo, sia per il ritmo lento e la mancanza di azione che per l’eccessiva preponderanza dell’aspetto descrittivo e moraleggiante» (Dizionario Gremese dei Personaggi Fantastici, 231).
Non condivido tutto questo. È innegabile tuttavia che Questa Orribile Forza non sia di una facile lettura; la sua prima traduttrice italiana, Franca Degli Espinosa, ritenne doveroso premettervi in nota un’avvertenza: «Dei difficili riferimenti letterari e storici che contiene il romanzo, molti sono riuscita a chiarirli soltanto con l’assistenza del prof. Mario Praz e dello stesso Autore. Colgo l’occasione per ringraziarli entrambi» (Questa Orribile Forza, 7 n. 1).
Sconfinamenti tra fantascienza e fantasy
Darko Survin, che divide nettamente fantascienza e fantasy in quanto afferente la prima alla sfera cognitiva (benché non naturalistica) e il secondo invece, come il mito e la fiaba, alla sfera non cognitiva della letteratura, disapprova lo sconfinamento del genere metafisico nella fantascienza, demolendo così il valore artistico della Trilogia di Lewis:
«Ogni tentativo di trasferire l’orientamento metafisico della mitologia e della religione alla fantascienza, in modo grossolanamente scoperto come in C.S. Lewis, Van Vogt o Zelaznj, o in modo più nascosto in molti altri, darà come risultato solo pseudomiti personali, fantasy frammentari o frammentari racconti di fiabe» (Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, 44).
Di questo tenore sarà anche la critica di Tolkien nei riguardi delle Cronache di Narnia. Non condivido neppure questo, anche se devo riconoscere che quando lessi per la prima volta Questa Orribile Forza non mi raccapezzai nel trasferimento dell’azione dallo spazio interplanetario ad un comune villaggio inglese, ed a maggior ragione dell’incursione del fiabesco (il mago Merlino!) in una trilogia di fantascienza. A quell’epoca non conoscevo il genre fantasy, come, penso, la totalità degli italiani di quel periodo.
Fantateologia: critici del presunto determinismo
Altro rilievo sostanzialmente negativo è quello di F. Ferrini che colloca la Trilogia di Lewis fra le opere in cui la storia del genere umano si manifesta come un’architettura non decisa dagli uomini ma, a loro insaputa, da altri, Dio e il diavolo, in una concezione complessiva di spossessamento della storia (Franco Ferrini, Che cosa è la fantascienza, Astrolabio – Ubaldini, Roma 1970, 52 s.).
In questo caso la concezione di Lewis è addirittura mal compresa, in quanto non si tratta assolutamente di un determinismo rispetto al quale gli uomini sarebbero pedine nelle mani di forze a loro superiori, ma di una profonda convinzione della realtà di una libera scelta, nonostante pressioni e tentazioni che si possano scatenare contro di essa.
In conclusione: generalmente, in campo fantascientifico, si ritiene che Blish e Miller, meno militanti di Lewis, abbiano raggiunto risultati migliori di lui.
«Nonostante ciò, Lewis ha impresso il suo marchio al genere fantascientifico attraverso l’influenza esercitata sui suoi seguaci, appartenenti e non alla sua chiesa, e attraverso la sfida lanciata alla scienza e alla fantascienza a formulare un’etica che potesse competere su un piede di parità con la sua fede cristiana» (R. Scholes – E.S. Rabkin, Fantascienza, 76).