La scienza sembra più che altro fare concorrenza e sostituirsi a Dio. Ma esiste anche, al di là dell’opera di C.S. Lewis, una fantascienza cristiana, o che comunque si ponga seriamente i temi religiosi?
Per quelle curiose coincidenze che talvolta ci sorprendono, nello stesso anno 1958 in cui Blish pubblicava Guerra al Grande Nulla, Dino Buzzati dava alle stampe nei suoi Sessanta Racconti, per i tipi di Mondadori, il breve racconto Il disco si posò il cui protagonista, il rude parroco di campagna don Pietro, si vede atterrare sul tetto della chiesa un disco volante e viene interpellato dai due occupanti, forse «marziani» (a quell’epoca gli extraterresti letterari venivano prevalentemente da Marte), sull’incomprensibile per loro significato della croce, immagine che essi vedono diffusa ovunque sulla Terra. Il fiero sacerdote è dunque indotto a raccontare la storia della Caduta e della Redenzione ad ascoltatori che avendo avuto anch’essi l’albero proibito non ne hanno mangiato, sono tutti puri e non hanno ucciso con i loro peccati il figlio di Dio, ma neppure pregano né sanno cosa sia la preghiera.
«Voi non avete il peccato originale con tutte le sue complicazioni. Galantuomini, sapienti, incensurati. Il demonio non lo avete mai incontrato. Quando però scende la sera, vorrei sapere come vi sentite! Maledettamente soli, presumo, morti di inutilità e di tedio […]. Dio preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi, dopo tutto, avidi, turpi, mentitori, piuttosto che quei primi della classe che mai gli rivolgon la parola. Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c’è il male, e il rimorso, e il pianto?».
Del resto, nel bellissimo «Requiem automatico» di Robert Sheckley (in Avventure sui pianeti, Urania, 1963), il compagno di una vita del cercatore di minerali preziosi Mark Rogers, autoisolatosi su di un asteroide in attesa di un colpo di fortuna che non verrà mai, non è altro che il vecchio robot Charles. Alla morte del suo vecchio amico umano si rompe anche il nastro contenente i dati necessari al funzionamento del robot; tuttavia… «le articolazioni arrugginite non gli permisero di inginocchiarsi, e lui rimase dritto immobile a guardare le stelle nude. Poi piegò la testa. – Il Signore è il mio pastore – disse Charles – e mi guida».
Fantascienza cristiana per curiosa coincidenza
Pur su un’altra lunghezza d’onda, due straordinari racconti sulla Chiesa di Roma hanno rivelato quasi tratti profetici, come spesso accade alle opere di fantascienza. Uno, molto serio, Il dilemma di Benedetto XVI scritto al tempo di Paolo VI (J.H. Brenner, 1978) è diventato introvabile nel 2005, quando un papa dall’inaspettato nome di Benedetto XVI è stato eletto davvero; ma la cosa più sbalorditiva è che il Benedetto XVI del racconto dubita del proprio stato di salute e convoca un eminente psichiatra per appurare se sia atto a prendere gravi decisioni (si pensi alle dimissioni del Benedetto XVI della realtà).
L’altro, scherzoso, Buone notizie dal Vaticano (1971, R. Silverberg), annuncia, per il futuro – gaudium magnum, habemus papam -, un papa-robot! Fantascienza pura, quest’ultima, è il caso di dire… o no? Già Charles Beaumont, nel 1958, in Ultimi riti, aveva immaginato un sacerdote, padre Courtney, al letto di «morte» di un suo amico, George Donovan, che si rivela invece essere un robot giunto alla fine e che gli chiede l’Olio Santo. Il sacerdote dapprima rifiuta, perché i robot non possono avere un’anima, poi glielo amministra per compassione.
Un Cantico per Leibowitz
Fantascienza religiosa scritta da un cattolico, che alcuni giudicano la migliore del suo tipo, è A Canticle for Leibowitz di W. Miller (1959). Si tratta di un romanzo di genere post apocalittico ambientato in un monastero cattolico dopo la devastazione causata da una guerra nucleare. Ancora una volta, come nel nostro Medioevo, è compito della Chiesa, e soprattutto dei suoi monaci, conservare e tramandare la sapienza del passato pur senza comprenderne più il significato, in attesa che gli uomini sappiano di nuovo interpretare la scienza che male usata portò al disastro.
L’autore, per il romanzo, è stato ispirato dalla sorte dell’abbazia di Montecassino, al cui bombardamento malauguratamente partecipò durante la seconda Guerra Mondiale, anche se l’epoca di partenza del racconto è datata a seicento anni dopo il ventesimo secolo in un periodo di nuova barbarie, poi si salta di altri seicento anni in un’epoca simile al nostro Rinascimento, e infine, con un nuovo salto di seicento anni, si giunge ad un livello tecnologico molto superiore al nostro, su una Terra che sta di nuovo entrando nella crisi di una guerra nucleare. Spetterà allora nuovamente ai monaci, insieme ad un gruppo di bambini, lasciare la Terra per ricominciare la vita su un nuovo pianeta, preservando insieme l’umanità e la Chiesa.