Celebre è l’episodio di Gesù che fa venire a sé liberamente i bambini, mentre i discepoli cercano di allontanarli. È il secondo episodio, dopo la questione sul ripudio che serve di spunto a Gesù per tracciare una strada generale per tutti i discepoli e una via particolare per alcuni. Tutti sono chiamati ad essere come i bambini, ma per alcuni si apre qui, secondo l’interpretazione vissuta dalla Chiesa, una chiamata speciale.
I bambini nell’ebraismo: la minorità
I bambini veramente erano molto amati e rispettati in Israele. Tuttavia, non essendo ancora soggetti alla Legge e obbligati allo studio della Torah, un rabbi non doveva perdere tempo con loro, tempo prezioso che doveva invece dedicare agli adulti per aiutarli ad assolvere gli obblighi della Legge. Stessa cosa valeva, per tutta la vita, per le donne.
Gesù invece non si accontenta di perdere tempo con i bambini, di imporre loro le mani e di benedirli. Di più: li propone come modelli di discepolato, perché il Regno dei cieli è di chi è simile ad uno di loro (cfr. Mt 18,2-5).
La virtù del bambino
Ma quale è la virtù che fa del bambino un modello da seguire? Non certo la purezza (sono maliziosi), e neppure l’obbedienza (sono capricciosi), ma la mancanza totale di autosufficienza. I bambini devono dipendere dagli adulti e lo sanno, si fidano e si affidano. Così il discepolo deve rinunciare alle sue pretese di autosufficienza e affidarsi nelle mani del Signore come un bambino, un “minore”. Quella che nell’ebraismo era una sorta di difetto, la minorità, in Cristo diviene una virtù. San Francesco lo comprese benissimo. Nella vita consacrata, la dote della minorità si è tradotta nel voto di obbedienza: ovvero, accettare di essere dipendenti da altri.