«Esci dall’arca», Noè: è un ritorno alla realtà quotidiana. Noè ha bisogno addirittura di un ordine divino per uscire da quell’arca in cui si era sistemato ormai da lungo tempo? Un confortante rifugio, veramente.
Certo, a livello narrativo lo potremmo considerare un bailamme, con tutte quelle bestie; ed una sfacchinata, anche, dato che bisognava nutrirle e accudirle tutte, ognuna secondo le sue necessità. C’era da perdere la testa, ma Noè non la perde, adempie anzi egregiamente al suo compito di «secondo Adamo» tutore degli animali, compito cui si avvezza. Possiamo persino immaginarlo adagiato in questo suo ruolo in un ambiente protetto, senza rischi esterni… Qualche rischio interno esiste, secondo il Midrash, dato che tardando a nutrire il leone Noè lo innervosisce e questo gli sferra una zampata che lo lascia zoppo: i rischi del mestiere, si sa. Ma l’arca garantisce una protezione totale dal mondo esterno, dove ha infuriato il caos e dove non si sa che cosa si incontrerà.
«Esci dall’arca», dunque, lo pungola Dio, e con te la tua famiglia e tutti gli animali: c’è da fare nel mondo esterno, bisogna uscire dal rifugio, immergersi nel mondo della realtà. C’è da rifare il mondo!
Potremmo trovare un parallelo evangelico nello «scendere a valle» dei discepoli dal monte Tabor, nei racconti di Marco, Matteo e Luca. «È bello per noi stare qui», aveva detto Pietro in un pietoso tentativo di prolungare l’estasi, «facciamo tre tende»?… Ma la realtà trascina giù, verso il basso, nei compiti quotidiani. Gesù, che si identifica col povero, col malato, con lo straniero, col carcerato, si trova in fondo alla valle, nel povero mondo degli uomini.
Quindi, esci dall’arca, Noè, con tutta la tua famiglia e con tutti gli animali: c’è da rifare il mondo! E questa parola è detta anche per noi.
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