
Il carmelitano Farè si ingegna a sorvolare sulla sostanza cercando invece, come si dice, il pelo nell’uovo, e si sofferma sugli errori di latino – Cionci docet – che segnalerebbero, nella Declaratio, la volontà di Benedetto XVI di non rinunciare a quello a cui dichiara di rinunciare, cioè il pontificato. Sentiamo quello che dice.
Quinta argomentazione. Gli errori di latino secondo Farè
«Desta infine attenzione che la Declaratio contenga errori di latino e quelle che sono state definite “particolarità”, evidenziati da diversi specialisti che già nei giorni successivi alla sua pronuncia si erano espressi in merito. Tutto questo è sorprendente se si pensa che Benedetto XV per sua stessa missione aveva preso la dichiarazione di pronunciare questo discorso con largo anticipo e aveva lavorato personalmente al testo per due settimane. Considerando la profonda conoscenza che papa Benedetto aveva del latino delle leggi e della storia della Chiesa è ragionevole pensare che egli abbia intenzionalmente scritto un testo che sulle prime potesse sembrare una valida rinuncia al papato senza esserlo veramente».
Errori di latino
Per quanto riguarda il testo latino originale, rimando a quanto ho già scritto QUI:
Ribadisco solo che la precedente competenza linguistica di Benedetto XVI, papa Ratzinger, non basta a dimostrare che tali errori fossero da lui volutamente inseriti nel testo latino. Non c’è dubbio che il papa tedesco conoscesse meglio il latino, da lui assiduamente studiato in seminario fin dalla fanciullezza, dell’italiano, lingua appresa solo successivamente e fortemente germanizzata. Ciò non impediva che alla sua età, e nell’emozione del momento storico che stava per mettere in atto, potesse cadere in qualche refuso.
Mi limito quindi a riportare ciò che papa Ratzinger disse nell’Angelus di domenica 24 febbraio: «Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze».
Le sue intenzioni erano chiarissime: servire Dio e gli uomini da Papa emerito con la preghiera. O vogliamo dire che non solo con la Declaratio, ma anche con tutte le sue successive dichiarazioni Benedetto XVI ha mentito?
La testimonianza di don Georg
Questa è la testimonianza del suo segretario don Georg relativamente al giorno in cui Benedetto XVI ha lasciato la sede di Roma:
Un Papa va e un Papa viene
«Al piano terra c’erano i due cardinali vicari per la diocesi di Roma e per la Città del Vaticano, Agostino Vallini, che si accorse del mio turbamento e cercò di confortarmi, e Angelo Comastri, che disse a Benedetto di aver pianto, ricevendo come risposta un tranquillizzante: “Un Papa va e un Papa viene, l’importante è che Cristo c’è”» (Nient’altro che la verità, p. 228)
Non sono più Sommo Pontefice
«Giunti nella residenza di Castel Gandolfo, poco dopo le 17.30, Benedetto si affacciò dal balcone esterno per salutare i fedeli e pronunciò le sue ultime parole da Papa regnante:
“Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo”.
Erano momenti di tensione estrema, che anche Benedetto XVI viveva con emozione. Parlando a braccio in italiano, fece perciò alcuni errori, poi corretti come d’abitudine nel bollettino ufficiale della Sala stampa. Ma su uno di questi – l’inversione tra “Sommo Pontefice” e “Pontefice Sommo” – sarebbe poi stata ricamata un’assurda elucubrazione, affermando che, come i già discussi errori in latino nella lettera di rinuncia, fosse in realtà un modo per inviare un messaggio subliminale relativo all’autenticità e alla validità della rinuncia al proprio ufficio petrino. In realtà, è sufficiente ascoltare integralmente quel discorso per rendersi conto che, subito prima, aveva invertito anche le parole “mio giorno” con “giorno mio”, mentre alla fine, impartendo la benedizione, era partito con il lapsus “Sia benedetto Dio onnipote…” al posto di “Ci benedica Dio onnipotente”» (Nient’altro che la verità, p. 229-230).
Più chiaro di così…
Chiaro? Un Papa va e un Papa viene… non sono più Sommo Pontefice… con annessi errori in italiano dovuti, senza dubbio, alla commozione. O vogliamo contestare anche questi?