Viaggio nella Bibbia. La figlia di Jefte eroina senza nome

Eroina senza nome
La figlia di Jefte. Rudolf von Ems: Weltchronik. Hochschul- und Landesbibliothek Fulda, Aa 88. Miniatur 109 187v, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23799348

Dopo l’epopea di Deborah e Gedeone viene un altro episodio esteso, quello di Iefte. Il giudice Iefte è menzionato per la vittoria sugli ammoniti ma anche per lo sconsiderato voto di sacrificare al Signore chi per primo avesse incontrato tornando a casa vittorioso. Questa persona sarà l’unica sua figlia, che egli immolerà dopo che le compagne ne avranno pianto per due mesi, insieme a lei, la verginità, cioè una fine immatura, senza discendenza. Lo scrittore cita al riguardo una festa annuale in cui per quattro giorni le fanciulle di Israele piangono la figlia di Iefte, eroina senza nome.

Storia di Iefte e di una figlia senza nome

Iefte, giudice di Galaad. Figlio illegittimo, nato da una prostituta, è scacciato dai fratellastri, che non lo volevano a parte dell’eredità paterna. Le sue origini dunque sono oscure, e Iefte trasferendosi nella regione di Galaad raccoglie attorno a sé una banda di avventurieri.

Ancora una volta nella storia si ripete lo schema tipico di questa fase tribale. Da oltre 18 anni gli ammoniti opprimono con le loro razzie gli abitanti della regione. Gli Israeliti chiedono a Dio di essere liberati; gli anziani contattano Iefte perché prenda il comando.

Non è dunque il Signore che sceglie Iefte, ma gli anziani del popolo, promettendo inoltre di mantenergli l’incarico anche in seguito. Nel momento in cui Iefte si accinge ad affrontare gli ammoniti, però, lo Spirito del Signore è su di lui per guidarlo. Pare che ciò non basti a Iefte, perché questi fa un voto supplementare – non solo non necessario, ma anche atroce. È il voto di sacrificare a Dio, se vincitore della guerra contro gli ammoniti, chi per primo gli uscirà incontro dalla porta di casa. La battaglia contro gli Ammoniti si risolve con una loro schiacciante sconfitta; per cui Iefte, tornando a casa, sa di dover mantenere la promessa votiva fatta a Dio.

Una volta pronunziato, il voto deve essere mantenuto e Iefte pensa di non potervisi sottrarre in alcun modo. Il narratore non si pronunzia sulla moralità di questo voto, si limita a raccontare l’atroce vicenda. 

Il voto pronunziato a queste condizioni sa di atto magico, quasi un ricatto nei confronti della divinità; un tentativo di manipolazione di Dio, sebbene Dio a Iefte avesse già assicurato la vittoria. E così Iefte, invece di accogliere un dono, ne fa oggetto di trattative, di estorsione.