Il rapporto Uomo – Terra: Ricerca di equilibrio con la natura

Equilibrio con la natura
Alessandro Cocchi sul campo in Honduras

Relazione prof. Alessandro Cocchi. Parte sesta: la ricerca di equilibrio con la natura

Quando si comincia a parlare di sostenibilità? Si comincia a parlare di sostenibilità in maniera ufficiale già nel 1987 quando le Nazioni Unite pubblicano una ricerca, uno studio che si chiama Our Common Future, Il nostro futuro comune, in cui finalmente si definisce che cosa si intende per sostenibilità. Si ha sostenibilità dove si stabilisce un rapporto di solidarietà intergenerazionale: non posso consumare oggi ciò che non posso mettere più a disposizione ai miei figli. Devo potermi garantire un tenore di vita ma lo stesso tenore di vita lo devo garantire ai miei figli e alle generazioni future.

Questo è un patto intergenerazionale ma non è ancora un patto con la natura, non si incrinano quei tre assiomi che vi ho detto dianzi e che stanno alla base, che sono in qualche modo costitutivi di quel filtro che ci fa osservare oggi la natura come pozzo d’attingimento e basta.

Ma siamo sicuri che il rapporto con la natura sia fondato sul diritto naturale alla proprietà? Se è proprio naturale vuol dire che dire che tutti i popoli della terra sentono il medesimo diritto, che hanno lo stesso rapporto con la natura. Allora qui finalmente si attinge un po’ alla mia esperienza personale.

Vi faccio alcuni esempi.

Equilibrio con la natura: I Lacandónes

Al confine tra Messico e Guatemala, quindi tra la regione del Chiapas e quella del Petén in Guatemala, vive un popolo della Selva che si chiama Lacandón. Il popolo Lacandón è un popolo di origine Maya;  gli uomini vanno vestiti con lunghe tuniche bianche e portano i capelli lunghi e le barbe lunghe. Vivono nel bosco, in comunità ripartite per gruppi tribali ma sostanzialmente unite anche perché sono rimasti pochissimi. Sono poche migliaia ed hanno con la natura un rapporto sacrale.

Credono nella sacralità della terra, credono nella sacralità del bosco. Quando devono abbattere un albero per costruire una canoa chiedono permesso alla natura, chiedono permesso al bosco, assicurano al bosco che preleveranno soltanto quell’albero: “Perché mi serve per fare una canoa e la canoa mi serve per sfamare la famiglia e io utilizzerò la canoa finché proprio non è distrutta, solo allora preleverò un altro albero”. Vivono in simbiosi con gli animali: l’animale è un compagno di vita. In tutta la tradizione Maya, quando un bambino nasce, nasce accoppiato a un animale ideale, il nahual, che vivrà insieme a lui per tutta la vita, condividendone la sorte. Non c’è divisione tra mondo degli umani e mondo degli animali. Anzi c’è una un’interazione costante.

Gli elementi della natura sono densi di significato e l’armonia con la natura è condizione fondamentale perché niente succeda di male.

In Amazzonia

Equilibrio con la natura

Popolazione dell’Amazzonia. Una volta ero a Bogotà in Colombia, facoltà di Antropologia, tra l’altro una delle migliori del mondo di Antropologia insieme a quella di Città del Messico, e parlai con un professore che aveva speso la vita in mezzo alle popolazioni native dell’Amazzonia il quale mi raccontava un episodio.

“Vedi”, mi disse, “se un uomo della comunità dell’Amazzonia che vive in uno stato praticamente di natura viene morso da un serpente, viene chiamato subito lo sciamano che non è un mero guaritore, è un intermediario tra il mondo degli umani e il Sacro. La prima preoccupazione dello sciamano, sì, è guarire la ferita, ma è anche quella di chiedersi che cosa è andato storto nel rapporto tra noi e la natura, perché se fossimo in equilibrio il serpente non ci doveva mordere; e quindi si preoccupa di individuare quali sono i segni di squilibrio, di disarmonia per magari attraverso rituali, attraverso riunioni comunitarie, cercando di ristabilire l’ordine naturale delle cose che è armonia”.

L’ordine naturale delle cose non è sfruttamento: l’ordine naturale delle cose per loro, quindi il primo diritto naturale, è quello all’armonia, non allo sfruttamento.

Equilibrio con la natura: gli elefanti della Tanzania

Pochissimo tempo fa parlavo con un amico che vive in Tanzania da molti anni e che lavora nell’ambito dei parchi naturali, i grandi Parchi della Tanzania. Mi raccontava un episodio che mi ha colpito: molto spesso gli elefanti, che non conoscono i confini del Parco – nessuno glieli ha insegnati -, se vedono un orto corrono, saltano qualunque ostacolo o lo buttano giù – perché gli elefanti non è facile fermarli – e vanno a mangiare l’orto rovinando magari anche il raccolto del povero contadino che vive ai margini del Parco. Un agricoltore parlando con lui disse: D’altra parte gli elefanti c’erano prima di noi, dobbiamo trovare un accordo. Ecco, questo atteggiamento di condivisione con l’elefante, questo atteggiamento di rispetto nei confronti dei bisogni altrui, nei confronti in questo caso dell’elefante, nasce da uno sguardo alla natura completamente diverso.

Lo stesso raccontava: “Chi è venuto prima di noi, i vecchi guardiacaccia che ci hanno aiutato a scacciare gli elefanti, ci avevano dato i petardi in modo da scacciare gli elefanti facendo loro paura. Però gli elefanti se lo ricordano – è vero che hanno una memoria buona – e si vendicano”. Quindi il petardo è un uno strumento di offesa più che di difesa, è uno strumento di ostilità nei confronti di un pezzo della natura grosso come l’elefante, che tende a creare disarmonia e non armonia.

L’agricoltore invece che vive in condizioni di sussistenza, il piccolo agricoltore nativo del luogo, aveva un retaggio culturale radicato nella ricerca dell’armonia con la natura.

Guatemala

Vedete come si può avere uno sguardo diverso nei confronti della natura. E lo stesso vale per la popolazione del Guatemala presso le popolazioni che ancora vivono in una condizione di equilibrio con la natura. Vivono generalmente in una condizione di mera sussistenza. Non conoscono la trasformazione dei prodotti per venderli sul mercato mondiale; per vivere prelevano dalla natura quanto basta per sopravvivere. Vivono in una condizione di equilibrio a cui corrisponde uno sguardo sulla natura che ricerca l’equilibrio, che ricerca l’armonia.

La pesca in Somalia

Equilibrio con la natura

Vi faccio un altro esempio sempre estratto dall’esperienza. Mi ricordo, tanti anni fa, ero in Somalia e visitai un progetto gestito dalla Cooperazione svedese… pensate quanto è diverso uno svedese da un somalo! Questo progetto voleva stimolare la produzione di pesce. Era sulla costa, non lontano dal confine col Kenya, un popolo di pescatori che però vivevano in condizioni di sopravvivenza cioè prelevavano quello che serviva loro per mangiare: non avevano un mercato del pesce, vivevano di pesca.

Il responsabile del progetto aveva le mani nei capelli, era disperato perché aveva fornito al villaggio e ai pescatori barche migliorate, reti migliorate; aveva dato assistenza tecnica, aveva dato tutti gli elementi che servivano per pescare di più, pescare meglio e così via… e il risultato qual era? Che pescavano meno tempo e pescavano la stessa quantità di pesce! Cosa fece il direttore del progetto? Il furbacchione mise su un negozio pieno di radioline pieno di oggetti desiderabili perché loro potessero capire quante cose gli mancavano, e neanche lo sapevano che gli mancavano tutte quelle cose, in modo che questo potesse stimolare un’economia di mercato monetaria che consentisse loro di acquisire denaro, andare al negozio, comprare radioline eccetera eccetera.

Non funzionò; cioè, non funzionò secondo il pregiudizio di allora (parlo degli anni Ottanta). La risposta anche emotiva oltre che culturale fu di disprezzo nei confronti di questa gente: “Ma lo vedi che non capiscono nulla, cioè non hanno voglia di lavorare?”. No: avevano ciò di cui avevano bisogno. Noi con i nostri  pregiudizi avevamo uno sguardo alterato dal nostro modello di interpretazione della realtà del rapporto con la natura e soprattutto del rapporto economico con le risorse: pesce = reddito da spendere poi in consumo. No: pesce = mangiare e basta.