Il percorso biblico che stiamo compiendo sulle tracce del tema della personificazione della Sapienza di Dio culmina con il libro della Sapienza che è l’ultimissimo scritto dell’Antico Testamento, composto direttamente in greco verso il 50-30 avanti Cristo da un ebreo alessandrino che, fedelissimo alla tradizione dei padri, pensava però ormai in greco come tutta la sua generazione.
Quindi rispecchia molto bene quella che è la trasposizione in greco, cioè in un pensiero di tipo occidentale e in un linguaggio occidentale, della Bibbia ebraica.
Il libro della Sapienza
Questo libro si autoattribuisce a Salomone con un chiaro procedimento di pseudoepigrafia; anche il Qoheleth fa riferimento a Salomone, benché sia stato composto molti secoli dopo. Nell’antichità l’attribuzione fittizia di uno scritto recente ad un autore precedente, allo scopo di dargli diffusione, era molto frequente; oggi sarebbe un reato.
Appartenendo alla tradizione greca, alessandrina, il libro della Sapienza non fu incluso nel canone dai rabbini palestinesi, ma giunse alla Chiesa primitiva attraverso la Bibbia dei Settanta. È evidente come il primo capitolo della lettera ai Romani porti l’inequivocabile impronta di Sap 13,1-9, e ancora più esplicitamente Eb 1,3 si richiama all’inno di Sap 7,25 s. I racconti della Passione (soprattutto Matteo) riflettono scopertamente il linguaggio e le immagini di Sap 2 sulla figura del Giusto che si dichiara Figlio di Dio.
L’elogio della Sapienza (Sap 6-9)
Il cuore del libro è rappresentato da un elogio della Sapienza (Sap 6-9), cantata in 7,22b-8,1 con una litania di ben 21 attributi (numero non casuale: 21 = 7 x 3) e così definita in 7,25-26:
25 È un’emanazione della potenza di Dio,
un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente,
per questo nulla di contaminato in essa s’infiltra.
26 È un riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell’attività di Dio
e un’immagine della sua bontà.
La Sapienza di Dio qui non è più identificata con la Torah, come per Baruc 4 e Siracide 24, né con una funzione cosmologica di Dio come in Giobbe 28 e Proverbi 8, ma si precisa come riflesso che promana dalla luce di Dio.
Esalazione, effluvio, irradiazione
La Sapienza è una emanazione immateriale di Dio. È
- Esalazione della Potenza di Dio, come la nube viene dal mare per evaporazione: quindi è consustanziale, come il vapore viene dall’acqua, il fumo dal fuoco, il profumo dall’incenso.
- Effluvio della sua Gloria. Nella filosofia greca, effluvio è ciò che non è distinto qualitativamente da ciò da cui proviene (così, per Filone, l’acqua dalla sorgente), ma indica una realtà distaccata dalla sostanza che la emette, che poi conduce una esistenza distinta esercitando una propria attività.
- Irradiazione della Luce di Dio
- Specchio della sua Attività.
- Immagine della sua Bontà.
Esalazione, effluvio e irradiazione hanno in comune l’idea della consustanzialità. Con queste sfumature:
- L’esalazione è il segno visibile della Potenza creatrice
- L’effluvio esprime l’identificazione con Dio (immaterialità)
- L’irradiazione è il riflesso perenne, consustanziale a Dio come il raggio alla luce
- Specchio è la Sapienza in quanto rende visibile la Bontà di Dio
- Immagine di Dio è la Sapienza in quanto distinta da Lui continua la sua opera.
L’elogio della Sapienza di Dio: la consustanzialità
Guardate come con questo libro la rivelazione è andata avanti, guardate il rapporto che stabilisce fra Dio e la sua Sapienza… Il libro della Sapienza afferma nel capitolo 7 al versetto 25 e seguenti che la Sapienza stessa
- se Dio è Potenza è la sua emanazione,
- se Dio è Gloria ne è un effluvio.
- e se Dio è Luce ne è il riflesso;
- se Dio agisce, la Sapienza ne è il lucido specchio…
A che punto siamo arrivati dunque nell’ambito dell’Antico Testamento? Che differenza di natura c’è fra la luce e il raggio? È la stessa cosa. Se Dio è Sorgente, la Sapienza è il flutto che ne promana. Che differenza di natura c’è fra la sorgente e il flutto delle sue acque? Il flutto ha la sua propria azione, la sua vita e la sua individualità, però ha la stessa natura della sorgente.
La realtà di Dio si riflette perfettamente in uno specchio senza macchia come l’immagine perfetta di Dio: perché si precisa specchio senza macchia? Perché nell’antichità gli specchi c’erano ma erano come quelli dei baracconi, erano di metallo o anche se di vetro davano delle immagini distorte; per questo anche San Paolo dice “Ora vediamo come in uno specchio”, perché l’immagine ci torna deformata. Ecco perché il libro della Sapienza deve specificare che sta parlando di uno specchio lucido, senza macchia alcuna, un’immagine perfetta.
Qui abbiamo già una l’espressione di una Realtà personale che si differenzia in quanto Persona da quella che è la Realtà originaria: così abbiamo la Sorgente originaria, la Realtà originata e il Dono originante.
Nella Lettera agli Ebrei
Questo stesso passo viene ripreso, in modo ancora più evoluto, dalla Lettera agli Ebrei (1,3), nella parte in cui vuole dimostrare la divinità di Cristo:
Vediamo nel dettaglio:
Libro della Sapienza | Lettera agli Ebrei |
7 25 È… un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente… 26 È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà. | 1 3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza |