Un’autobiografia: Elio Toaff

Un libro da leggere come un romanzo è l’autobiografia di Elio Toaff. Fu l’editore a dargli questo titolo ad effetto, «Perfidi giudei fratelli maggiori», e tale è rimasto anche quando una nuova edizione ha ridato al testo il sapore del dattiloscritto originale, sapore di lingua parlata e di toscanità. Perché il rabbino Toaff era livornese e la sua origine si sentiva nel parlare anche dopo decine di anni da quando aveva lasciato la città natale per Ancona prima e per Venezia e Roma poi, e per tutte le vicissitudini che la vita gli aveva riservato.

Pensare a lui infatti equivale a pensare ad un secolo tondo tondo di storia italiana, avendo egli vissuto 100 anni: è morto appunto nel 2015 dieci giorni prima del suo centesimo compleanno, mandando a monte i grandi festeggiamenti che la comunità – e non solo – gli stava preparando: una burla da livornese, commenta Sergio Della Pergola nella prefazione del libro; come le teste di Modigliani, si potrebbe aggiungere.

Le origini

Elio Toaff alla Marcia per la pace, Roma 1985. Di indeciso42 – archivio personale, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=96552619

Elio Toaff era nato a Livorno il 30 aprile 1915 e lì aveva compiuto gli studi rabbinici e liceali. Il padre, Alfredo Sabato Toaff, rabbino di Livorno fino al 1963, anno della propria morte, era stato allievo di Elia Benamozegh per gli studi biblici e talmudici, ma anche alunno di Giovanni Pascoli, che aveva insegnato greco e latino al liceo classico di Livorno dal 1887 al 1895 (vi insegnerà anche, fino al 1946, il futuro presidente Carlo Azeglio Ciampi, che però aveva fatto gli studi liceali presso i gesuiti di Livorno).

Alfredo Toaff univa, perfettamente, la conoscenza della scienza biblica a quella della cultura classica, tanto che si distinse come insigne grecista e fu docente di letteratura italiana e lettere classiche all’università di Firenze. Così pure il figlio Elio, che mentre compiva il corso degli studi rabbinici aveva conseguito la maturità classica al liceo di Livorno e poi la laurea in giurisprudenza all’università di Pisa, mancando per un soffio di incappare nelle leggi razziali.

Le leggi razziali

Incominciano nel 1938 le traversie e gli orrori cui stavano andando incontro gli ebrei italiani, vicende alle quali il giovane Elio prese parte compiutamente perché, pur avendo la possibilità di espatriare in Israele, scelse di rimanere sul campo seguendo il consiglio del padre:

«Alcuni rabbini se ne sono andati dall’Italia lasciando le loro comunità in momenti come questi. Io non li approvo. Il capitano lascia la nave per ultimo. Ricorda quanto è scritto nel Pirqè Avot: “Dove non c’è nessuno che si occupa della cosa pubblica, procura di essere tu ad assumerti la responsabilità”».

Arrivato rabbino ad Ancona, la prima sfida: un medico molto in vista sta per farsi battezzare con tutta la sua famiglia per sfuggire alle leggi razziali. Con la tipica tolleranza di Israele per la fede altrui, Toaff trova il coraggio di dirgli:

«È mio dovere domandarle se è spinto a questo atto dalla fede nella religione cristiana, e allora me ne vado subito, oppure da vigliaccheria e opportunismo, e allora dovremmo parlare un po’ insieme con calma».

Tanti, tanti anni dopo, ad un intervistatore che gli chiederà che cosa avrebbe detto ad un uomo che fosse andato da lui con la richiesta di abbracciare la religione ebraica, Toaff risponderà sorridendo:

«Io prima di tutto lo interrogherei sulla sua religione. Se non la sa, non è buono neppure per noi».

Anche nella tragicità della situazione di allora, Toaff non manca mai di sottolineare gli aspetti comici. Un ebreo di Senigallia, che effettuava la macellazione rituale, era stato arrestato: la censura aveva intercettato un telegramma in cui il mittente gli scriveva «Tutto pronto per ammazzare porti coltello». Il mittente era, naturalmente, un pollivendolo, ma la questura aveva sospettato un progetto criminale, come se fosse normale annunciarlo mediante un telegramma leggibile da tutti!

Il matrimonio

Il 29 ottobre 1941 Elio sposa la fidanzata Lia Luperini, di Capoliveri: rimarrà poi sempre legato all’isola d’Elba. Quando il viaggio di nozze si interrompe a Sanremo in un hotel pieno di soldati tedeschi, Elio commenta:

«Tanto mia moglie sosteneva che Sanremo non poteva reggere il confronto con l’isola d’Elba dove lei era nata e della quale aveva da sempre una struggente nostalgia. Quell’isola e Capoliveri, il paese natale dove aveva vissuto fino a nove anni, erano il suo paradiso perduto».

Un po’ di imbarazzo regnava tra i consuoceri, l’ex sindaco socialista Ezio Luperini e il rabbino Alfredo Toaff, ma le due famiglie erano maggiormente affratellate dalle emergenze che dovevano affrontare, e oltre tutto durante lo sfollamento Lia avrebbe ritrovato il fratello Luciano, che era stato testimone del sorgere del sentimento che la univa al marito e che durante il fidanzamento aveva fatto, come si usava, da chaperon, lasciandosi ogni tanto doverosamente corrompere dal gelato o dai cioccolatini in modo da lasciare soli, soltanto per un poco, i due innamorati.

Il periodo della guerra

L’Europa occupata dai tedeschi, 1942. By Morgan Hauser – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14619311

I tempi sono drammatici. Gli stenti del periodo della guerra fanno apprezzare maggiormente le cose buone che ogni tanto tornano: due o tre fette di pane bianco bene imburrate sono una delizia inimmaginabile, e si può brindare con un bicchiere d’acqua alla salute di chi le ha inviate, canticchiando, ricorda Toaff,

«quella vecchia canzone in cui un personaggio, mentre al suo paese nevica, fa brindisi in bicchieri colmi d’acqua [«Signorinella pallida», 1931]. Non avrei mai pensato che un giorno un brindisi con l’acqua si sarebbe fatto anche a casa mia!».

«Un monumento mi dovete fare!»

Talvolta, anzi spesso, le sue vicende hanno del miracoloso, come quando il gentile capostazione di Fossato di Vico si dimentica di svegliare nella sala d’attesa Toaff con moglie e figlio e fa loro perdere la littorina che stavano aspettando per mettersi in salvo a Orciano dove erano sfollati i genitori. Salvo poi venire a sapere che la littorina perduta era stata mitragliata nei pressi di Bologna e i passeggeri erano tutti morti: «Un monumento, un monumento mi dovete fare!» ripeteva incessantemente il capostazione.

«Chiamate il maresciallo e quattro carabinieri»

A volte sembra un caso, a volte è un gesto di umanità di cui persino le persone più dure appaiono capaci: come quando Elio, cacciato come ebreo dall’ospedale di Ancona dove era andato ad assistere un moribondo, e trovata la forza di andare a perorare la propria causa di ministro del culto presso un prefetto di trista memoria, viene da questi ricevuto. Una stretta d’angoscia quando il prefetto, dopo averlo osservato, ordina «Chiamate il maresciallo e quattro carabinieri», ma invece di farlo arrestare lo fa scortare all’ospedale e si assicura che vi possa prestare indisturbato la sua opera pietosa.

«Alle tre torno a prendervi»

Oppure come quando ad Orciano il maresciallo dei carabinieri che doveva arrestare tutta la famiglia Toaff li avverte «di prepararsi che lui sarebbe tornato alle tre del pomeriggio per prelevarli», dando loro modo di prendere la fuga con l’aiuto del consuocero.

Le storie di Elio Toaff mi ricordano tanto quelle della mia famiglia, non solo per l’ambiente della Livorno dei miei genitori, ma anche per il tempo di guerra: in particolare, quando i miei (io dovevo ancora nascere), sfollati in un paese della Lucchesia, andarono ad abitare in un palazzo in cui poi si insediò il comando delle SS. Il colonnello tedesco obbediva agli ordini e rastrellava gli uomini per mandarli con i camion a lavorare in Germania, ma durante il viaggio li lasciava scappare tutti e questi tornavano al paese, facendosi oltre tutto vedere in giro. Il colonnello cercava di avvertirli andando a servirsi dal barbiere che era il gazzettino del paese: «Troppo spassire», ripeteva, «troppo spassire», ovvero «Vanno troppo a spasso!».

Costretto a scavarsi la fossa

Il momento più drammatico viene per Elio presso Stazzema quando è costretto con altri uomini arrestati dai tedeschi a scavarsi la fossa, da cui inspiegabilmente viene tratto all’ultimo momento da un capitano con cui era riuscito a scambiare poche parole in francese. Unico superstite….

Il rapporto con la Chiesa

Sinagoga di Roma 13 aprile 1986. Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=87046

Ma questo è solo l’inizio. L’autobiografia prosegue con altri capitoli importanti, riguardanti il rapporto con il nascente stato di Israele e con la Chiesa cattolica.

Della Chiesa, Toaff ricorda con ammirazione ed affetto figure esemplari come il cardinal Bea, il cappuccino padre Mariano (la sua trasmissione «Chi è Gesù» illustrava per la prima volta mediaticamente l’ebraicità di Gesù), papa Giovanni, per culminare con la visita alla sinagoga di Roma di Giovanni Paolo II. Il testamento spirituale di papa Giovanni Paolo II, pubblicato nel 2005, ricorda con amicizia «il rabbino di Roma»: il quale rabbino Toaff, di cinque anni più vecchio di lui, gliene sopravvivrà altri dieci. «La sua memoria sia in benedizione», come si dice in ebraico.