Ci sono persone che, conosciute con un determinato nome fino alla canonizzazione, tendono a mantenerlo anche quando davanti a tale nome si può premettere un “San”. È successo, credo, a don Bosco, a Madre Teresa di Calcutta… Ed ora succede anche a Edith Stein, benché adesso, da Santa, porti il nome religioso di Teresa Benedetta della Croce.
Edith Stein
Ebrea tedesca atea, discepola di Husserl dedicatasi alla filosofia, a trent’anni abbracciò il cristianesimo percorrendo le vie del misticismo. Entrata nel monastero carmelitano di Colonia, si prese la misura di trasferirla nei Paesi Bassi nell’intento di salvarla dalla persecuzione nazista. Questa però la raggiunse anche lì. Ciò avvenne quando i vescovi olandesi il 20 luglio 1942 fecero leggere in tutte le chiese del paese una lettera contro il razzismo nazista. In risposta, il 26 luglio Hitler ordinò l’arresto di tutti gli ebrei anche convertiti al cristianesimo. Ne fecero immediatamente le spese Edith e sua sorella Rosa, anche lei monaca carmelitana. Entrambe trovarono la morte nelle camere a gas del campo di concentramento di Auschwitz il 9 agosto 1942.
Santa e Patrona d’Europa
Giovanni Paolo II volle riconoscere in lei «una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea». Edith Stein fu canonizzata dallo stesso Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Lo stesso Papa il 1º ottobre 1999 la dichiarò “compatrona” d’Europa assieme alle sante Caterina da Siena e Brigida di Svezia:
«Teresa Benedetta della Croce … non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d’Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell’uomo nell’immane vergogna della “shoah”. Ella è divenuta così l’espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo».
Così l’Europa ha adesso per patroni tre uomini (S. Benedetto, erede della tradizione latina; i SS. Cirillo e Metodio, apostoli del mondo slavo) e tre donne (S. Caterina da Siena, italiana; S. Brigida, svedese; Edith Stein, espressione del pensiero filosofico occidentale e del mondo ebraico)…
Da «Scientia Crucis» di S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)
(Edith Stein Werke, I, Friburgi in Br. 1983, 15-16)
Cristo si era addossato lui stesso il giogo della legge, osservandola e adempiendola perfettamente, tanto da morire per la legge e vittima della legge. Nello stesso tempo, tuttavia, egli ha esonerato dalla legge tutti quelli che avrebbero accettato la vita da lui. I quali però avrebbero potuto riceverla solo disfacendosi della propria. Infatti «quanti sono stati battezzati in Cristo, sono stati battezzati nella sua morte» (Rm 6, 3). Essi si immergono nella sua vita per divenire membra del suo corpo, e sotto questa qualifica soffrire e morire con lui; ma anche per risuscitare con lui alla eterna vita divina.
Questa vita sorgerà per noi nella sua pienezza soltanto nel giorno della glorificazione. Tuttavia, sin da ora «nella carne» noi vi partecipiamo, in quanto crediamo: crediamo che Cristo è morto per noi, per dare la vita a noi. Ed è proprio questa fede che ci fa diventare un tutto unico con lui, membra collegate al capo, rendendoci permeabili alle effusioni della sua vita. Così la fede nel Crocifisso – la fede viva, accompagnata dalla dedizione amorosa – è per noi la porta di accesso alla vita e l’inizio della futura gloria. Per di più, la croce è il nostro unico vanto: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14).
Chi si è messo dalla parte del Cristo risulta morto per il mondo, come il mondo risulta morto per lui. Egli porta nel suo corpo le stimmate del Signore (cfr. Gal 6, 17); è debole e disprezzato nell’ambiente degli uomini, ma appunto per questo è forte in realtà, perché nelle debolezze risalta pienamente la forza di Dio (cfr. 2 Cor 12, 9). Profondamente convinto di questa verità, il discepolo di Gesù non solo abbraccia la croce che gli viene offerta, ma si crocifigge da sé: «Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 24). Essi hanno ingaggiato una lotta spietata contro la loro natura, per liquidare in se stessi la vita del peccato e far posto alla vita dello spirito. È quest’ultima sola quella che importa.
La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa da richiamo verso l’alto. Quindi non è soltanto un’insegna, è anche l’arma vincente di Cristo, la verga da pastore con cui il divino Davide esce incontro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina, sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso.