
Di solito si riduce il Prologo ai primi 18 versetti del capitolo 1 del IV Vangelo, in realtà l’intero capitolo funge da prologo su due piani diversi:
– 1,1-18 costituisce un solenne prologo teologico in cui il Cristo è presentato nella sua natura divina e nell’evento dell’Incarnazione,
– il resto del capitolo è un prologo narrativo in cui Gesù viene presentato attraverso la testimonianza del Battista e nell’incontro con i suoi primi discepoli.
L’incontro con i discepoli
Rappresentando questa l’ouverture di tutto il Vangelo, è importante fare lettura di entrambi i brani. In particolare, mentre il Prologo teologico ci informa subito della natura divina del Logos e della sua incarnazione nella storia, il Prologo narrativo contestualizza questa storia dandone le coordinate
- cronologiche (siamo al tempo di Giovanni detto il Battista),
- geografiche (siamo nella sfera d’influenza dei farisei, sacerdoti e leviti di Gerusalemme)
- e culturali (siamo nel contesto delle attese messianiche del Cristo davidico e del Profeta, alle quali Giovanni risponde con un triplice IO NON SONO, da leggere in contrapposizione al triplice IO SONO di Gesù che entra nella sua passione).
Fondamentale, inoltre, nel prologo, è l’incontro. Gesù non viene incontro agli uomini mediante una illuminazione mentale: li incontra, ed essi si incontrano fra loro e si guidano l’un l’altro. Il primo a mostrarlo come via da seguire è Giovanni, il Battezzatore, testimone della sua qualità di Figlio di Dio.
Egli non tiene per sé la propria conoscenza, né tiene per sé i propri seguaci: li indirizza a colui che “era prima di lui” perché lo seguano. “Egli deve crescere, io invece diminuire” (3,30). Manda dietro di lui I propri discepoli, discepoli ancora confusi e inconsapevoli, nella cui mente non è presente ancora un “Chi” definite ma si agita solo un “Che cosa”, un bisogno incerto di giustizia, di pace, di felicità. Provano questa sete, ma non sanno ancora di che cosa. È sete di Dio. E se ci chiediamo “Ma che cosa dimostra la sete?” potremmo sentirci rispondere, da Franz Werfel: “La sete dimostra la sicura esistenza dell’acqua”.
La sete mette in cammino per trovare il suo appagamento. Per trovarlo bisogna fermarsi: questa sarà la contro richiesta dei discepoli a Gesù: “Dove rimani?”. Questo “rimanere” non va inteso in senso locale ma esistenziale: è il “rimanere” con Gesù che permette di iniziare a conoscere il mistero della sua persona, ma anche di iniziare a conoscere veramente se stessi; così Simone conoscerà il suo nuovo nome di Cefa, così Natanaele si sente scrutato nel profondo dal Signore. Ma tale conoscenza non permette di rimanere fine a se stessa, chiede di diffondersi agli altri, e chi si fa discepolo chiama gli altri a fare altrettanto: “Vieni e vedi”. Vedere equivale a fare esperienza e quindi a credere, entrando nel dinamismo dello Spirito.
Ecco l’Agnello di Dio
Chi ha “conosciuto”, come il Battista, deve far conoscere agli altri. E questo è l’annuncio principale di Giovanni detto il Battista ai suoi discepoli: “Ecco l’Agnello di Dio”. Altri titoli si susseguono nel resto del capitolo quasi come in una veloce rassegna:
- il Figlio di Dio,
- Rabbi,
- il Cristo / Messia,
- Colui del quale hanno scritto Mosè e i Profeti,
- il re di Israele,
- il Figlio dell’uomo:
tale è Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth. Gli appellativi riguardano soprattutto la qualità di Messia davidico, quello atteso nelle aspettative popolari con i titoli tradizionali di Cristo ovvero Messia, re di Israele, Figlio di Dio perché chiamato a compiere la volontà di Dio, colui di cui ha parlato la Scrittura; Rabbi è il titolo rivolto ai maestri, Figlio dell’uomo è un’espressione di carattere apocalittico. Uno di questi titoli è caratteristico di Giovanni: il Verbo eterno è l’Agnello di Dio. Un Agnello che viene immolato perché come il buon Pastore dà la vita per le sue pecore.