«Ecco il vostro Re». Il libro finalmente è uscito, e ne sono ben contenta. Piero Brogioni a suo tempo ha fatto un lavoro colossale (e di prima mano) per la tesi magistrale che ha discusso nel 2018 presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Siena. Meritava perciò di veder pubblicata questa sua opera, anche se in forma semplificata. È un libro di nicchia, perché ha per oggetto un argomento molto particolare, il processo romano a Gesù visto attraverso cento anni di cinematografia, dai primi film muti di inizi Novecento alla Passione di Mel Gibson – e con questa siamo nel 2004. I film presi in esame sono sette, tre muti e quattro sonori; l’unica scena evangelica presa in considerazione è il processo di Gesù davanti a Pilato; né sarebbe stato possibile vagliarne altre, data la mole di lavoro occorrente per smontare ed analizzare le pellicole fotogramma per fotogramma confrontando ogni dettaglio.
La vie et la Passione de Jésus Christ (1903) QUI.
Questo è il film Christus del 1916: QUI.
Il problema, affrontato da Piero Brogioni, delle diverse scelte registiche nel mettere in scena un medesimo episodio, nasce dal fatto che abbiamo ben quattro narrazioni diverse della Passione di Gesù, una per ogni evangelista, ognuna con proprie caratteristiche. Questo non solo per il racconto della Passione, ma per l’intera narrazione evangelica.
Perché quattro vangeli?
Il fatto è unico, l’evento di Gesù di Nazareth, il Cristo (= Messia). Di questo evento unico abbiamo quattro voci narranti, le voci dei quattro vangeli canonici, secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni. Perché quattro? Secondo i Padri, i vangeli sono quattro perché rispecchiano l’universalità della salvezza – così come il mondo si regge su quattro colonne e quattro sono i venti principali; quattro, infatti, è numero cosmico. Ognuno ha una propria ricchezza da offrirci, ed insieme formano non una sola voce cantante ma una meravigliosa sinfonia.
Via gli apocrifi
Sbarazziamoci subito dell’idea che i quattro vangeli canonici, per affermarsi, abbiano dovuto vincere la concorrenza degli apocrifi. Gli apocrifi sono tardivi. Successivi di almeno un secolo o due rispetto ai fatti, vengono dopo i vangeli canonici; infatti si propongono di “colmare” quelle che sembrano essere lacune narrative con una sorta di “gossip” del II-III secolo; oppure prospettano un’immagine deformata del Cristo, quale Divinità che indossa l’umanità di Gesù come una maschera, come un fantoccio, ma non ne sposa realmente la natura umana, la debolezza, la passione, la morte e dunque neppure la resurrezione.
Concordantia discors
Di questo “unicum” della storia, l’evento di Cristo, abbiamo pertanto quattro testimonianze diverse. Esse concordano profondamente sui dati essenziali; ma possono anche divergere su dettagli narrativi, con quella che i Padri chiamavano “concordantia discors” o “discordantia concors” (concordanza discorde o discordanza concorde che dir si voglia). È umano, infatti (poiché Dio “parla il linguaggio degli uomini”), che nel racconto ogni testimonianza, ogni tradizione colga ciò che più le sta a cuore e trascuri ciò che meno le preme; così abbiamo Matteo, che scrive per i cristiani di origine ebraica, diverso da Luca, che scrive per i fedeli di estrazione pagana; abbiamo Marco che è diretto ad un contesto romano; abbiamo Giovanni che viene qualche decennio dopo, e sottolinea aspetti teologici rimasti più in ombra.
Faccio qualche esempio
Della comparizione di Gesù davanti ad Erode Antipa in quanto galileo parla solo Luca. Dell’intervento della moglie di Ponzio Pilato a favore di Gesù parla solo Matteo, come pure del celebre «lavarsene le mani». Il rifiuto dei capi giudei di entrare nel pretorio è presente solo in Giovanni, come pure l’intenso dialogo con Pilato; nei sinottici, Gesù tace, se non per quel lapidario «Tu lo dici». La flagellazione, tanto cara a Mel Gibson, non compare in Luca; Giovanni la anticipa come possibile pena alternativa alla crocifissione, mentre Marco e Matteo la collocano dopo la condanna, come preludio all’esecuzione.
Storia teologica
Si aggiunga che quella degli scrittori sacri è “storia”, ma storia fatta alla maniera degli antichi, dove il concetto contava più delle parole con cui veniva espresso; e storia teologica, dove tutto un mondo di immagini e persino la cronologia degli eventi vengono utilizzati per veicolare un messaggio di salvezza.
Perciò il racconto evangelico è sempre mirato a trasmettere una parola di speranza più che ad erudire il lettore sulla cronaca spicciola.
Il IV Vangelo presenta l’evento pasquale della morte di Gesù Agnello di Dio facendolo coincidere con l’ora della vigilia di Pasqua in cui gli agnelli venivano immolati al tempio. Invece i tre Sinottici lo presentano attraverso la Cena pasquale quando Gesù si sostituisce alla vittima animale dandosi ai suoi nella forma del pane spezzato e del vino versato.
Vi sono stati anche tentativi di far concordare le due cronologie, forse anche tentativi che hanno avuto successo, ma la cosa non è importante; spesso siamo di fronte ad un tipo di linguaggio simbolico che non annulla la storia, ma la utilizza per far comprendere un messaggio teologico.
Quel che importa
È, invece, importante cercare di cogliere ogni vangelo nella sua particolare ricchezza, senza cercare di far concordare per forza divergenze che dipendono non da inesattezze storiche ma da prospettive teologiche differenti. Si comprende quindi l’imbarazzo della scelta dei registi che si son trovati ad affrontare una singola scena evangelica presentata con dettagli diversi dai quattro evangelisti. Questo imbarazzo non vale per Pasolini che scelse la narrazione del vangelo secondo Matteo con grande fedeltà all’unico testo. In tutti gli altri casi è interessante vedere come il regista abbia cercato di rispondere al problema di armonizzare testi fra loro paralleli ma diversi.
Dalla Prefazione di Fabio Canessa
Mi affido, per un giudizio sul libro di Piero Brogioni, edito da Youcanprint, alla presentazione che il prof. Fabio Canessa, critico cinematografico, ha accettato di premettere al testo, riportandone alcuni stralci.
«Nel confronto serrato tra le pagine evangeliche e la loro trasposizione cinematografica, Brogioni dimostra come quel celebre dialogo tra Gesù e Pilato comporti in ogni film alcune variazioni rispetto alla tradizione giovannea, con adattamenti e modifiche nelle sceneggiature, ma serbi intatto il nocciolo della questione: l’opposizione fra il potere terreno e quello divino, fra la regalità di questo mondo e quella dell’altro, fra la verità degli uomini e la Verità di Dio.
Spiegando brevemente la procedura giuridica romana, Brogioni analizza con cura attentissima come tutti gli aspetti teologici siano rispecchiati dalle varie forme tecniche dell’arte dell’immagine: dalla fotografia alla recitazione, dai costumi alle scenografie. Con fine capacità di osservazione, nota il gioco di luci e di ombre utilizzato da Zeffirelli per evidenziare il contrasto tra Gesù e Pilato (la scena QUI, QUI e QUI), conta il diverso numero di accusatori del Cristo nei vari film (a seconda di chi privilegia la verosimiglianza storica o il simbolismo), la presenza di Satana nel film di Mel Gibson, la personalità di Erode interpretata in modi assai differenti dalle varie opere.
L’impostazione
Distingue le fonti: i registi che operano una armonizzazione dei Vangeli canonici, quelli che attingono agli apocrifi e quelli che aggiungono la fantasia creativa degli sceneggiatori.
Attraversando cento anni di cinematografia, parte dal 1902 con “La vita e la passione di Gesù Cristo” di Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet fino ad arrivare ai nostri giorni. Calcola che la sequenza del processo dura mediamente in un film intorno ai 17 minuti, valuta come il più lontano dalle scritture “Il re dei re” di Nicholas Raydel 1961 e il più fedele “La passione di Cristo” che Mel Gibson girò nel 2004.
Descrive le varie modalità con le quali è rappresentata la flagellazione, deduce dal grado di luminosità delle scene quanto ogni regista abbia rispettato l’ora indicata dall’evangelista Giovanni per la crocifissione.
E poi mette a fuoco la figura di Barabba, la rappresentazione dei Giudei, l’importanza dei personaggi femminili, l’ambientazione del Pretorio assai contrastante da un film all’altro, per finire con la personalità del Cristo: chi ne privilegia la natura umana, come Ray, e chi, come Zeffirelli, ne esalta l’aspetto divino, tanto da farlo risultare luminoso anche quando la macchina da presa lo inquadra controluce, trasgredendo i principi della fotografia. Chi seguirà il rigoroso percorso di Brogioni imparerà a vedere questi film con uno sguardo molto attento e molto critico per non correre il rischio di scambiare quelle immagini per il Vangelo, come suona un modo di dire che stavolta va preso alla lettera. Perché in principio era il Verbo, il Verbo si è fatto carne e il cinema è arrivato per ultimo».
L’autore
Piero Brogioni è nato a Piombino (Livorno) nel 1961. Dopo il diploma di maturità commerciale, ha interrotto gli studi formali proseguendo per proprio conto come autodidatta. Nel 2006 inizia “per caso” la lettura del Nuovo Testamento che lo porta nel 2010 ad iscriversi all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Santa Caterina da Siena”. Qui consegue la laurea magistrale nel 2018 con il massimo dei voti.