
E tu Betlemme… Sembra facile capire il senso di questo oracolo. Il testo profetico di Michea 4,14-5, invece, è più complesso di quanto non sembri a prima vista.
La devastazione: 4,14
Il v. 14, intanto, si può tradurre (ed è stato tradotto) in modi diversi, a causa di un verbo (gadar) che può significare erigere un bastione ma anche farsi incisioni (in segno di lutto), e che letto con una D invece di una R, come avviene nella Bibbia dei LXX (in ebraico sono lettere assai simili tra loro), può tradursi assembrarsi (gadad), e il relativo sostantivo orda, masnada (ghedud).
Così, i LXX traducono: «Ora fortificati, o Fortezza».
Secondo invece il TM alcuni traducono: «fatti delle incisioni, figlia della incisione!», altri «fatti delle incisioni, figlia dell’orda!», altri ancora «raccogli le truppe, figlia dell’orda!» (preferibile per il contesto; cfr. la versione siro-aramaica); la Volgata: «nunc vastaberis filia latronis» (per la Volgata è il v. 5,1: «ora sarai devastata, figlia di predone»).
Lasciando perdere i problemi più tecnici, possiamo comunque cogliere il senso fondamentale della frase. Gerusalemme è divenuta figlia dell’orda, perché sommersa dalle truppe nemiche e perché preoccupata a sua volta solo di ammassare truppe per scampare all’assedio.
Il re di Gerusalemme viene percosso: la percossa inflitta al suo volto è forse da intendere nel senso metaforico di oltraggio. Il re viene chiamato shophet = giudice d’Israele, forse anche per assonanza con la parola shevet = verga; in ogni caso, la parola melek = re viene, in questo brano, sempre evitata. Solo Uno è il Re, ed è Dio.
5,1: E tu, Betlemme…
Il testo attuale suona così:
We attah Bêth-lechem ’Ephratah
E tu, Betlemme Efrata…
Molti critici pensano che in origine il testo portasse solo il nome Efrata (nome, non di città, inizialmente, ma di un piccolo clan, alleato di Caleb, da cui è poi passato alla località in cui esso venne a risiedere), e che il nome di Betlemme vi sia stato aggiunto come una glossa: rappresenta comunque le origini della casa di David (1 Sam 17,12).
Neppure questo futuro sovrano ideale viene chiamato re, ma Môshel cioè Dominatore: il titolo di re, dati i cattivi esempi storici, non era più credibile se applicato ad un uomo, mentre il vero Re di Israele è sempre stato JHWH.
E così, è da Betlemme Efrata, piccola, insignificante per essere fra le migliaia di Giuda, che per me, per il disegno divino, uscirà (yeze’, da yaza’, verbo usato per l’uscita del bambino dal seno materno o dai lombi dell’uomo, ma anche in Is 11,1 per indicare lo sbocciare del virgulto dalla radice di Iesse) uno, per essere il Dominatore di Israele. L’umile realtà del presente è germe della gloria futura.
Le sue origini: questa parola (Môza’oth) ha la stessa radice del verbo jaza’ = uscire.
Qedhem e ‛ôlam indicano una grande antichità e si riferiscono alle origini remote della casa di David. Questo oracolo è indubbiamente messianico. Era ritenuto tale nel giudaismo al tempo di Gesù (Gv 7,41 s.: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?») e Mt 2,6 lo riferisce alla nascita di Gesù stesso.
5,2: Colei che deve partorire
Dopo aver annunziato la venuta del re ideale, il profeta torna ad esprimere la dolorosa condizione presente, come di un abbandono alle doglie del parto di una partoriente (verbo jalad): lakhen = per questo mette in rapporto la promessa messianica del v. 1 con la fine dell’afflizione presente. La figura della partoriente in Is 7,14 è un segno per il futuro prossimo, immediato, mentre in Michea si riferisce ad un futuro indeterminato; entrambe le profezie sono introdotte dall’avverbio lakhen e dal verbo nathan = dare, consegnare, dare in balìa.
Torna l’idea del Resto: tutto il popolo di Israele si riunirà (i rimasti in Samaria, oppure i deportati).
5,3: Il pastore
Torna anche l’immagine del pastore, che esercita il suo ufficio attingendo dalla fiducia nella potenza del Signore e nella maestà del suo Nome; gli effetti di questo buon governo si vedranno essenzialmente nella pace (dimora sicura nel proprio paese, senza temere invasioni), perché il re sarà grande sino ai confini della terra: il dominio di Dio, universale, si riflette nel dominio del nuovo David.
5,4-5: La pace
Wehajah ze shalôm, E sarà questo pace. La frase può tradursi “e sarà egli pace”, meglio di “tale sarà la pace” perché più conforme al contesto. Il nemico storico del momento è l’Assiria, che non potrà prevalere contro la superiorità delle forze di Israele, guidato dal re ideale e protetto dal Signore: i sette pastori e gli otto capi esprimono, con numeri proverbiali, tale superiorità. L’Assiria, terra di Nimrod (cfr. Gn 10,11), diviene idealmente il simbolo di ogni nemico.
5,6-8: Il resto
Torna infine il tema del resto, già comparso in Mi 2,12; 4,7; 5,2. Solo Is 10,21 parla di resto di Giacobbe (She’ar Ja‛cob), mentre negli altri testi profetici, escluso Michea, si trova l’espressione resto di Israele o resto di Giuda. Michea invece designa l’insieme del popolo col nome di Giacobbe (1,5; 2,7.12; 3,1.8-9; 4,2 ecc.).
«Il resto di Giacobbe, in mezzo a numerose nazioni»: questa espressione, per designare il popolo fuori della Palestina, si trova in testi posteriori all’esilio (Is 24,13; 61,9; Ez 5,5 ecc.); potrebbe riferirsi però anche a un periodo precedente.
L’immagine della rugiada e della pioggia è spesso simbolo di benedizione celeste, in un paese arido come la Palestina; tuttavia, in questo contesto sembra prevalere il senso di fenomeni che non dipendono dall’uomo, ma solo da Dio: tale sarà il resto di Giacobbe, sapendo che ogni suo bene viene solamente dal cielo.
La seconda immagine, molto diversa, paragona il resto di Giacobbe al re degli animali, vittorioso su ogni altro: non sembra possa applicarsi alla situazione della diaspora, ma al rapporto di Israele con gli altri popoli.
5,9-14: L’era messianica
Quest’ultima pericope riguarda l’era messianica, ma con toni minacciosi: in forma solenne (Ne’um JHWH) Dio annuncia che in quel giorno purificherà il suo popolo da ogni infedeltà, distruggendo carri e cavalli, città fortificate e fortezze (la fiducia nella forza militare), sortilegi e indovini, stuatue, mazzeboth (massebe = stele, rappresentazioni delle divinità maschili) e ’ashêroth (pali sacri, rappresentazioni della divinità femminile Astarte, dea della vegetazione e simbolo della forza produttiva della terra) (la fiducia nella forza religiosa magica)
Questa minaccia è finalizzata alla purificazione della fede monoteista di Israele, mentre la seguente (v. 14) riguarda il giudizio sulle nazioni.