
Ci sembrava impossibile che dopo due anni la chiesa riaprisse; eppure la gente riempie di nuovo le panche, e l’organo torna a suonare.

Due anni di chiusura per i necessari lavori di rifacimento del tetto, lavori importanti, che come spesa finale arriveranno a totalizzare 650mila euro (perché c’è anche il campanile!). Eppure, la lunga attesa è finita, e tornare all’Immacolata è stato come fare un viaggio nella memoria… soprattutto per chi ha visto la mostra fotografica (l’articolo precedente QUI).
Camminando insieme. Memorie fotografiche della chiesa dell’Immacolata

Il complesso di chiesa e convento dell’Immacolata è stato costruito sul colle Santa Maria, sbassato a mo’ di pianoro nel 1506 su progetto di Leonardo da Vinci per togliere ad eventuali nemici i punti di appoggio per l’assedio alla Cittadella di Piombino.
La chiesa fu consacrata e inaugurata il 24 giugno 1902, quindi ha compiuto 120 anni di vita.

Così appariva la chiesa nei primi anni Venti, quando ancora non esisteva la carrozzabile e la gente andava tanto a piedi e coi carri.
Padre Giustino Senni (1917 – 1929)

Così vestivano nel 1922, col vestito buono per la Prima Comunione. Al centro della foto padre Giustino Senni, grande apostolo e promotore sociale di una città operaria che stentava a mettere insieme pranzo e cena, ma che essendo frutto di una urbanizzazione accelerata stentava anche a trovare un’identità culturale, dei punti di riferimento sociali.

Così si presentavano, nel 1925, le autorità, dal re in testa, venuto per inaugurare il nuovo acquedotto cittadino (prima di allora le donne andavano a prendere l’acqua alle duecentesche Fonti di Marina), al vescovo mons. Giovanni Piccioni, all’esile fraticello padre Giustino che sembra a disagio in un abito non suo ma che invece cela un’energia e una volontà di ferro…

Uno dei laboratori aperti da padre Giustino per rendere possibile l’occupazione femminile. In una città interamente basata sull’industria pesante, le occasioni di lavoro per le donne erano assai scarse.

Padre Giustino ha fondato due asili d’infanzia, uno all’Immacolata…

… e uno al Cotone, che poi diventerà l’asilo San Francesco, per i figli degli operai.

27 giugno 1926. Una folla incredibile si accalca per l’inaugurazione della nuova Via San Francesco, che dal centro cittadino conduce alla chiesa.

Un’opera d’arte dimenticata: il San Francesco in bronzo di Corrado Vigni (Firenze 1888 – 1956), collocato all’inizio della via omonima nel 1926, ed ancora lì esistente. Un’opera niente affatto banale e molto moderna.
Padre Vincenzo Meghini (1929 – 1947)

Padre Meghini raccolse la difficile eredità di padre Giustino Senni e la seppe custodire e mantenere nei difficili tempi prebellici e durante la seconda guerra mondiale.

Ecco nel 1938 l’inizio della colona marina per i bambini della città, nella spiaggia sotto il convento, detta appunto “Sotto i frati”.

Viene la guerra col suo terribile carico di minacce e di sofferenze. Qui, i fanti del 334° Battaglione che si fermarono all’Immacolata per la Pasqua.
Padre Alessandro Mammoli (1947 – 1971)

Passa anche la guerra, e c’è tanto da costruire e ricostruire. Ecco nel 1954 l’inaugurazione della Casa del Fanciullo, presso cui intere generazioni sono cresciute. Padre Mammoli la volle intitolare Casa del Fanciullo, senza denominazioni confessionali, in modo che nessuno si sentisse allontanato o discriminato a causa di credenze diverse o di mancanza di fede. A padre Mammoli si deve la ricostruzione della chiesa del Cotone, la costruzione dell’asilo San Francesco, l’edificazione della chiesetta di Salivoli, e tanto altre opere necessarie del periodo post bellico.
Padre Fiorenzo Locatelli (1971 – 1985)

Viene nella Chiesa l’era del rinnovamento post-conciliare: è il tempo di padre Fiorenzo parroco.
Come si può definire la parrocchia di padre Fiorenzo Locatelli e di padre Sergio Persici? Tanto, tanto lavoro (in ambito culturale, sociale, educativo, caritativo, oltre che strettamente religioso), e partite di calcio a sazietà…


E adesso…
Poi, tanti altri parroci si sono succeduti, e siamo arrivati ai nostri giorni. I bambini sono cresciuti, molti giovani se ne sono andati a lavorare altrove, tanta vitalità si è persa, come avviene facilmente quando gli anni passano, gli entusiasmi si smorzano, le persone cambiano. Ma adesso la comunità, tornata nella sua chiesa come nuova, è pronta a iniziare da capo. E la chiesa?
La chiesa dell’Immacolata ha vissuto, direi, due volte una ripresa del suo modo di essere da quando il vescovo mons. Giovanni Borachia la consacrò nel 1902.

La prima volta nel periodo post bellico, quando ci fu da riparare, restaurare i muri dai danni della guerra. Le vetrate (che erano semplici, a fondo di bicchiere) erano andate in frantumi; padre Mammoli le rifece istoriate, con figure di santi ai lati, il rosone centrale dedicato alla Madonna di Cittadella e la bifora absidale dedicata all’Immacolata Concezione, a S. Francesco e alle opere di padre Giustino Senni per l’infanzia, l’orfanotrofio e l’asilo.
La seconda volta quando padre Fiorenzo provvide all’adeguamento liturgico della chiesa, sistemandone l’interno a norma delle nuove disposizioni. Fu un lavoro in cui fu coinvolta in modo consapevole tutta la comunità, e cui molti parteciparono di persona.

E adesso siamo alla terza “edizione” con la riapertura dopo il disastro di due anni fa. No, non ci sembra vero di poter riavere la chiesa dopo tutto questo tempo di itineranza e di precarietà. Quando sabato pomeriggio, nella Messa di apertura, siamo arrivati al Gloria in excelsis e all’Alleluja, la chiesa sembrava esplodere di esultanza. Ed anche la domenica mattina, quando la chiesa si è di nuovo riempita per la Messa presieduta dal ministro provinciale padre Livio Crisci, la festa non è stata minore.

Padre Livio, alla comunità riunita numerosa in quest’occasione di grande festa, ha ricordato i due anni di precarietà vissuti nei disagi, durante i quali però si è potuto apprezzare ancor più come la chiesa, edificio materiale, sia segno visibile di ben altro, di un “sentirsi a casa” che è fatto di relazioni – con Dio e con gli altri.
La stessa lettura odierna del vangelo secondo Luca, la parabola del povero Lazzaro e del ricco “epulone”, ci dice come in questa vita si realizzino le relazioni che poi si tradurranno nel nostro aldilà. Il povero Lazzaro ha un nome, che rimarrà nella memoria degli uomini; il ricco distratto non lascia neppure un nome con cui essere ricordato. Fare comunità è formare relazioni, essere in grado di chiamarci per nome. E queste relazioni il parroco padre Federico e gli altri frati hanno saputo costruirle, al di là della mancanza di una “casa” materiale in cui viverle.
Al termine della celebrazione, padre Livio ha ringraziato Federico per quanto ha fatto in questo difficile periodo: infatti, appena lui e il guardiano si sono insediati, due anni fa, è crollato il tetto! O, per riferire le sue parole quasi testuali, l’incarico datogli dal Provinciale gli è letteralmente piombato sulla testa! Perciò, è stato molto appropriato il canto finale:
Francesco va’,
ripara la mia casa,
Francesco va’,
non vedi che è in rovina,
e non temere,
io sarò con te
dovunque andrai!
Francesco va’…

E volete sapere una cosa? Mi sembrava che la statua dell’Immacolata sorridesse un po’ più del solito…
