Duecento anni di dinosauri! Ma in che senso? Per la durata di vita di un singolo dinosauro sarebbero veramente troppi. Per l’esistenza su questa terra della loro classe (più o meno 200 milioni di anni) sarebbero veramente pochi… No, duecento anni si contano da quando per la prima volta, nel 1824, fu studiato scientificamente il fossile di un dinosauro, il megalosauro.
Naturalmente i fossili di dinosauro erano stati trovati e osservati anche nei secoli precedenti, ma si riteneva che fossero resti dei mitologici draghi, oppure dei giganti menzionati anche nella Bibbia. Fu invece proprio nel 1824, il 20 febbraio, che il reverendo William Buckland, professore di archeologia all’università di Oxford, per la prima volta, in relazione al megalosauro, descrisse un dinosauro in una rivista scientifica. Il megalosauro era stato scoperto nell’Oxfordshire, nei pressi di Stonesfield. Quasi in contemporanea, il geologo inglese Gideon Mantell studiò l’iguanodonte scoperto nel 1822 dalla moglie Mary Ann Mantell, e pubblicò le sue scoperte nel 1825.
Duecento anni di dinosauri, dunque, anche se il termine fu coniato solo nel 1842 dal biologo Richard Owen. Il nome di Dinosauria designava quelle che furono chiamate, appunto, Lucertole terribili, attribuendo loro le caratteristiche di rettili giganteschi, spaventosi, ma tardi nei movimenti e nel comprendonio. Oggi questa concezione è stata rivista e si tende a considerare i dinosauri creature attive, a sangue caldo, come gli uccelli che ne sarebbero i più diretti discendenti.
Dinosauri che passione!
Io sono sempre stata appassionata di dinosauri, fin da quando, bambina, facevo la raccolta di figurine di animali: ebbene, nell’album – datato 1950 – c’era una pagina dedicata agli animali preistorici, e li conoscevo tutti! (L’album del 1950 QUI).
Sono molto affezionata a quell’album (perduto, l’ho voluto ricomprare), che ha gettato le basi della mia formazione scientifica – anche se poi ho intrapreso un percorso di altro genere.
Si faceva presto, negli anni Cinquanta, a ricordare i nomi dei dinosauri: non erano ancora molto conosciuti, almeno non a livello divulgativo. Il Tyrannosuurus Rex, naturalmente, il brontosauro, il plesiosauro, lo pterodattilo, il triceratopo, lo stegosauro… qualcun altro… i fondamentali. Sì, si faceva presto a ricordarli.
Un romanzo di Urania mi affascinò, fra gli altri, e lo possiedo ancora, L’era del dinosauro (1954): precedeva di quarant’anni Jurassic Park, era basato sull’idea di un viaggio indietro nel tempo, ed era scritto sotto pseudonimo, come scoprii molto dopo, da un grande della letteratura americana, Richard Marsten, alias Evan Hunter, che i lettori di gialli conoscono col nome di Ed McBain, e il cui vero nome è Salvatore Lombino. Il mio salto letterario nel mondo dei dinosauri anticipò così di molto il romanzo (e film) di Crichton, che non suscitò certo il mio stupore quando lo lessi: era storia vecchia, per me (su Jurassic Park, QUI).
Duecento anni di dinosauri. Un interesse crescente… e un’assurdità nomenclatoria
L’interesse per i dinosauri non si fermò mai, anzi crebbe, in quantità e qualità, raffinando sempre più gli studi. Da quelle prime poche specie studiate a metà Ottocento, si è arrivati a rintracciarne e classificarne circa 1.500. Naturalmente, ogni scoperta di una nuova specie impone che venga coniato un nuovo nome identificativo. Questo vale sia per i fossili recentemente trovati sia per le specie viventi da poco scoperte.
Normalmente, il nome scientifico viene attribuito in base alla caratteristiche fisiche della specie, al luogo del ritrovamento o agli studiosi che l’hanno identificata. Così, ad esempio, abbiamo il Carnotaurus (toro carnivoro), l’Herrerasaurus (lucertola di Herrera), lo Spinosaurus aegyptiacus (lucertola spinosa dell’Egitto), ecc. Esistono delle linee guida per la denominazione delle specie, attività supervisionata dalla ICZN (International Commission on Zoological Nomenclature): stabiliscono, semplicemente, che il nome sia univoco, che sia ufficializzato in una pubblicazione e che, nel caso dei dinosauri, sia legato a un unico esemplare. Nient’altro, a quanto pare.
Dinosauri politicamente scorretti
Ma oggi, a grande richiesta, si sente il bisogno di dare ai dinosauri «nomi più inclusivi e rappresentativi». L’università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga ha analizzato i nomi di tutti i fossili conosciuti di dinosauri dell’era mesozoica (da 251,9 milioni a 66 milioni di anni fa), circa 1.500, con l’obiettivo di individuare i «nomi problematici», ossia legati a razzismo e sessismo, a contesti coloniali o in onore di figure controverse. Ci credereste? Gli esperti hanno individuato 89 nomi potenzialmente offensivi. Si tratta di meno del 3 per cento degli esemplari esaminati, e tuttavia, ci viene detto, «Il problema in termini di numeri è davvero insignificante. Ma è significativo in termini di importanza». Parole di Evangelos Vlachos, del Museo di Paleontologia di Trelew, Argentina, che ha partecipato allo studio.
Ad esempio, per quanto riguarda la Cancel culture nei confronti del colonialismo, secondo questi critici per le scoperte nelle ex colonie si sono utilizzati troppo i nomi europei dei luoghi o dei ricercatori mentre si sono ignorati i nomi dei luoghi nella lingua indigena o dei membri locali della spedizione scientifica. Viene fatto l’esempio dei dinosauri scoperti tra il 1908 e il 1920 a Tendaguru in Tanzania da esploratori tedeschi che ne monopolizzarono i nomi. Ma non basta. C’è anche l’accusa di sessismo.
Quote rosa per i dinosauri
Eh no! Bisogna che i nomi dei dinosauri siano più inclusivi. Pensate che negli ultimi venti anni, quando si tratta di denominare le nuove specie di dinosauri, si fa sempre più ricorso agli eponimi, cioè all’uso dei nomi degli scopritori: orrore! Nella stragrande maggioranza dei casi – l’87% – questi nomi sono al maschile. Ma non sarà perché i paleontologi, almeno finora, sono prevalentemente maschi?
Secondo i ricercatori del Politicamente corretto, per evitare di «perpetuare gli stereotipi», i nomi potrebbero essere dedicati alle caratteristiche fisiche dei dinosauri, evitando gli eponimi, cioè i nomi degli scopritori. L’ICZN però è fermamente contraria a rinominare le specie (si creerebbe una grande confusione se le specie assumessero nomi diversi da quelli usati nel passato) ed a vietare gli eponimi. È importante che la stabilità dei nomi sia preservata, spiegano.
Fonte: https://www.nature.com/articles/d41586-024-00388-y
Qualcuno ironicamente si è chiesto: Li chiameremo dinosaur*? Qualcun altro, meno ironico, si è domandato se, con tutti i problemi dei mutamenti climatici, dei diritti umani o dei crimini di guerra che affliggono l’umanità, sia proprio il caso di attirare l’attenzione generale su tematiche del genere.
Certo, a questo punto Jurassic Park risulta all’avanguardia, perché tutti i dinosauri dell’isola sono rigorosamente progettati per essere femmine, sono dunque dinosaure, anche se la natura prenderà il sopravvento e farà nascere, contro tutte le previsioni, anche i maschietti. Femmine sono comunque le protagoniste, la T-Rex (che quindi non è un Tyrannosaurus Rex, ma una Tyrannosaura Regina), l’imponente Rexy che la troupe chiamava Roberta, e l’evoluta velociraptor Blue (qualche scena QUI), una velociraptrix dunque… per carità, non sbagliamo nome! Cosa aspettiamo a correggerlo? Possibile che nessuno del Politicamente corretto si sia accorto, compiacendosene, che Blue e le sue consorelle sono velociraptrices, dinosaure al femminile?