E così siamo al due giugno 2022. Dopo due anni di pausa imposta dalle restrizioni anti covid, torna la parata militare, all’insegna della recente pandemia e della attuale invasione dell’Ucraina. Temi di guerra e di pace che si intrecciano.
Io però non sono mai stata molto patriottica, e se fossi vissuta nell’Ottocento probabilmente sarei stata federalista. Ma mi è tornata in mente una bella poesia del Giusti, un tempo molto studiata, oggi dimenticata nelle scuole: Sant’Ambrogio di Milano. Non parla direttamente di Italia, parla di occupazione straniera e di utilizzazione di strumenti inconsapevoli al servizio di una occhiuta rapina. Parla di soldati manipolati senza che sappiano come e perché, e parla di fratellanza. Lo fa in un modo molto ironico e grandemente accattivante, ma non superficiale. Qui il contesto è quello dell’occupazione austriaca del Lombardo – Veneto, e la narrazione è scherzosamente rivolta, nella finzione, ad un funzionario di polizia italiano al soldo dell’Impero austroungarico. È lunga, scusatemi, ma pensate che io a suo tempo l’ho imparata tutta a memoria e che ancora, a distanza di 65 anni, in buona parte me la ricordo. Non faccio commenti sulla poesia: gustatevela.
Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti
«Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que’ pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per antitedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me che, girellando una mattina,
càpito in Sant’Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano.
M’era compagno il figlio giovinetto
d’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promossi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto?
Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.
Soldati oppressori
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que’ soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
difatto se ne stavano impalati,
come sogliono in faccia a’ generali,
co’ baffi di capecchio e con que’ musi,
davanti a Dio, diritti come fusi.
Mi tenni indietro, ché piovuto in mezzo
di quella maramaglia, io non lo nego
d’aver provato un senso di ribrezzo,
che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un’afa, un alito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell’altar maggiore.
Una sorpresa
Ma in quella che s’appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda,
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
come di voce che si raccomanda,
d’una gente che gema in duri stenti
e de’ perduti beni si rammenti.
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
là de’ Lombardi miseri assetati;
quello: “0 Signore, dal tetto natio”,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Qui cominciai a non esser più io
e, come se que’ cosi doventati
fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.
Un altro tiro
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbie si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro, bel bello,
io ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
da quelle bocche che parean di ghiro
un cantico tedesco, lento lento
per l’aër sacro a Dio mosse le penne.
Era preghiera, e mi parea lamento,
d’un suono grave, flebile, solenne,
tal che sempre nell’anima lo sento:
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in que’ fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno.
Sentia nell’inno la dolcezza amara
de’ canti uditi da fanciullo; il core
che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete i giorni del dolore:
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e di amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.
Strumenti ciechi d’occhiuta rapina
E quando tacque, mi lasciò pensoso
di pensieri più forti e più soavi.
“Costor”, dicea tra me, “re pauroso
degi’italici moti e degli slavi,
strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quest’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’alemanno,
giova a chi regna dividendo e teme
popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! lontana da’ suoi,
in un paese, qui, che le vuol male,
chi sa che in fondo all’anima po’ poi,
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’hanno in tasca come noi”.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciolo,
duro e piantato lì come un piolo».
La parata del 2022
E così la parata si è aperta, come due anni fa, con la sfilata di 300 sindaci in rappresentanza degli oltre 8.000 sindaci italiani: passo sciolto, ben poco marziale, d’altra parte sono civili in mezzo alla gente o questo dovrebbero essere.
Invece la novità di quest’anno è stata, subito dopo, la sfilata di una rappresentanza di personale sanitario, resosi benemerito per i servizi resi durante l’emergenza pandemica. Poi vengono gli atleti paralimpici della Difesa, militari colpiti da patologie invalidanti nel loro servizio allo Stato, che hanno sfilato con fierezza in carrozzella spinta a mano da loro stessi oppure motorizzata, o marciato orgogliosamente quelli in grado di camminare…
Poi, fra le bande, quella della brigata Sassari al canto ritmato dell’inno sardo «Dimonios»; marciano le scuole militari, gli alpini col loro passo lento (33 passi al minuto, per salire in montagna), i granatieri, i lancieri, le varie bande militari tra cui quella dell’aeronautica fondata nel 1937 da Pietro Mascagni, le unità cinofile, i corpi non armati: i vigili del fuoco, i volontari della Croce rossa che dal 1864 si prodigano per la cura dei feriti, il servizio civile, la polizia municipale, la protezione civile.
Le divise variano da quelle dei granatieri con colbacco in pelo d’orso (oggi, credo, sintetico) alle mimetiche ultramoderne; le attrezzature, dal vecchio cannone trainato da cavalli alle più sofisticate dotazioni; perché oggi la guerra e la pace sono nelle mani della cibernetica. L’insistenza, ovviamente, è sulle forze di pace, per la tutela dei più fragili, per il mantenimento dell’ordine, per l’aiuto nelle emergenze. Buoni ultimi, di corsa, i bersaglieri, sempre acclamati da una folla galvanizzata.
Il brigadiere Briciola
Come sempre, conclude la sfilata la banda dei carabinieri a cavallo, 4° reggimento, con la simpatica mascotte Briciola, minuscola meticcia addobbata con la caratteristica gualdrappa rossa: la sua presenza tranquillizza i cavalli tanto più grandi di lei. Fu Briciola ad accogliere al Quirinale il presidente Mattarella nel suo primo insediamento, ed è stata nuovamente Briciola ad accoglierlo nel suo secondo mandato. È stata anche insignita del grado di brigadiere. Un video QUI.
Al Quirinale
Ieri sera il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, salutando il corpo diplomatico prima del concerto offerto in occasione della festa della Repubblica, ha dichiarato: «Oggi, l’amara lezione dei conflitti del XX secolo sembra dimenticata: l’aggressione all’Ucraina da parte della Federazione Russa, pone in discussione i fondamenti stessi della nostra società internazionale, a partire dalla coesistenza pacifica.
Trovarsi nuovamente immersi in una guerra di stampo ottocentesco, che sta generando morte e distruzioni, richiama immediatamente alla responsabilità; e l’Italia è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina».
Comunque, alla cerimonia di questa sera al Quirinale in occasione del 2 giugno non saranno presenti gli ambasciatori di Russia e Bielorussia accreditati in Italia. La scelta consegue a quanto deciso ai primi di maggio a Bruxelles di non coinvolgere in eventi come le feste nazionali i rappresentanti dei due Paesi.