
La seguente sezione narrativa si incentra su chi sia Gesù. Lo fa attraverso la risposta che Gesù dà al dubbio del Battista, attraverso gli esisti della diversa accoglienza che il messaggio di Gesù può ricevere, attraverso il suo rapporto con il Sabato. Ci presenta il dubbio, e l’accoglienza della fede.
Anche questa sezione narrativa si può suddividere in 5 unità:
- Il Battista e il dubbio della fede (11,1-19)
- Chi rifiuta e chi accoglie (11,20-30)
- Gesù e il Sabato (12,1-21)
- Gesù e Belzebù (12,22-37.43-45)
- Il segno di Giona (12,38-50)
Il Battista e il dubbio della fede (11,1-19)

Giovanni era stato imprigionato da Erode Antipa, secondo Giuseppe Flavio nella fortezza di Macheronte ad est del Mar Morto. Dal carcere sente parlare di Gesù, ma non è più così sicuro che si tratti veramente dell’erchomeos, «colui che viene» (Mt 3,11).
Forse il dubbio che esprime e la risposta che riceve sono a beneficio dei discepoli che Giovanni dal carcere invia ad interrogare Gesù, ed anche a beneficio nostro: come sappiamo che Gesù è veramente il Messia? Rispondendo alla domanda del Battista, infatti, Gesù esce maggiormente allo scoperto, proclamando che è in lui che si compiono le Scritture, gli infermi guariscono, i lebbrosi sono purificati e i morti sono risuscitati…
Nella risposta di Gesù i fatti parlano da soli. C’è una sola frase non desunta dalla Scrittura, una beatitudine: «beato chi non si scandalizza di me», ovvero chi non trova inciampo (skandalos è la pietra che fa inciampare). I fatti parlano da soli, ma la fede non nasce dall’evidenza logica delle prove. Contro la potenza taumaturgica di Gesù sta la realtà manifesta di un Messia povero e inerme. Non era quello che ci si aspettava.
Il Battista
Il Battista sta tra i profeti e il Vangelo. Appartiene alla generazione dei profeti antichi ma conosce Gesù; è l’unico profeta ad averlo potuto vedere di persona, eppure stenta ad entrare in questa realtà. È un asceta ma non è un pazzo né un vagabondo (una canna al vento). È un profeta, anzi il più grande dei profeti perché è il precursore immediato del Messia. Umanamente è il più grande dei nati di donna della antica economia, eppure chi accoglie il Regno dei cieli anche se piccolo è più grande della sua grandezza umana. Il Regno dei cieli patisce violenza, può sembrare sopraffatto, ma saranno i deboli ad accoglierlo, i pubblicani e le peccatrici.
La generazione contemporanea a Giovanni ed a Gesù ha rifiutato l’uno e l’altro, come bambini capricciosi che non vogliono giocare né alla festa né al lutto. Giovanni, asceta, è trattato da ossesso; Gesù, che siede a mensa, è criticato come un ghiottone amico di gentaglia. Ma saranno le opere che parleranno per lui, Sapienza di Dio.
Chi rifiuta e chi accoglie (11,20-30)

Così, esiste la tremenda possibilità che la Parola del Vangelo venga respinta. Matteo dà per scontato che le città di Chorazin, Betsaida e Cafarnao abbiano rifiutato il Vangelo non ostante i molti miracoli compiuti in esse, non racconta come. Persino le pagane Tiro e Sidone e l’empia Sodoma avrebbero accolto più favorevolmente i segni dati dal Signore. L’orgoglio intellettuale, la superbia, l’arroganza dei grandi di questo mondo, dei vincenti, non permettono che la Rivelazione li tocchi.
La tremenda possibilità del rifiuto eterno ci viene messa davanti con durezza, contro la tendenza odierna a scegliere dalla Bibbia come da un menu, prendendo solo le parti che ci piacciono e scartando quelle che, come una spada tagliente a doppia lama, ci richiamano ad accogliere la Parola tutta intera, a scrutare senza schermi le profondità della nostra anima.
Sono comunque i piccoli di questa terra ad avere il cuore aperto alla misericordia di Dio: siano rese grazie a lui.
Hymnum iubilationis

Questa preghiera di Gesù (11,25-26) viene chiamata hymnum iubilationis, inno di giubilo. Scaturisce dal suo animo perché immensa è la gioia del Figlio, e la sua riconoscenza al Padre: le opere del Cristo sono state rivelate e accolte dai népioi, gli infanti, i bambini che non sanno parlare. Non che sia il Padre a nascondere la verità ai superbi, ma sono essi a rendersi inaccessibili vanificando la volontà di salvezza di Dio.
Questa volontà di salvezza, questa verità di misericordia è tutta contenuta nel Figlio, Parola perfetta di perfetta conoscenza del Padre. Non si tratta però di una Sapienza egoistica che Padre e Figlio vogliano trattenere per sé, ma di una Sapienza salvifica che solo attraverso il Figlio esonda generosamente e gratuitamente in tutto il creato.
il Padre si riveli agli umili (vv. 25-26) attraverso il Figlio (v. 27) che è mite e umile di cuore (vv. 28-30). Il Figlio, l’unico che conosce perfettamente la misericordia del Padre, è l’unico capace di comunicarla.
C’è un giogo che deve accettare colui che vuole accedere alla conoscenza del Figlio. Ricordiamo che biblicamente jada’, conoscere, non è acquisire dati con la mente, ma è fare esperienza personale della realtà conosciuta, ed equivale ad esperire ed anche ad amare. Anche i discepoli dei rabbini, anche gli osservanti della legge assumevano su di sé un giogo, ‘ol malkhut shamajim, “il giogo del regno dei cieli”, che consisteva nell’obbedienza severa della Legge.
Gesù sposta l’accento anche se l’espressione è la stessa: non la Legge, ma una Persona, la sua; non un carico gravoso e schiacciante, ma un peso dolce e un carico leggero, tanto che ristora gli affaticati e consola gli oppressi. Non è un giogo, è libertà. Non c’è altro versetto nei vangeli che ci sveli maggiormente il cuore di Cristo. È questo il culmine matteano della presentazione del Cristo (il passo gli è esclusivo) in questa prima parte del suo libro.