Dopo l’acquata le nuvole pronte…

Dopo l'acquata le nuvole pronte
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Dopo l’acquata le nuvole pronte… Nella mia memoria, indelebile, la voce di mia madre che mi recita le poesie dell’infanzia, ognuna nella stagione appropriata. In questo modo si imparava qualcosa di bello, si rafforzava la memoria e si apprendeva anche a collegare i contenuti della poesia con le circostanze da cui derivavano e che continuavano ad accompagnarli. Sarà semplicismo quello che sto dicendo, ma quelle erano le fondamenta per poter apprezzare in seguito, all’età giusta, i valori della produzione letteraria.

L’apprendimento a memoria proseguiva per molto tempo: molte poesiole si imparavano a mente alle elementari, altre, anche molto lunghe, alle medie. Così, ad esempio, avveniva alle elementari per San Martino di Carducci o I Pastori di D’Annunzio (Settembre, andiamo. È tempo di migrare…), alle medie per le lunghissime Davanti San Guido o Il Passero Solitario, mentre L’Infinito o A Zacinto del Foscolo erano una passeggiata… Alle scuole superiori, poi, ci aspettavano lunghi brani della Divina Commedia.

Il fatto che si imparasse a memoria non toglieva niente allo sviluppo delle capacità di comprensione, anzi sono convinta che le rafforzasse fornendo loro un sostegno importante. Ma il processo iniziava da piccolissimi, con le filastrocche e le cantilene (come Stella stellina o Piovi piovicello…), e inziava a casa, non a scuola. Con le filastrocche, e poi con le poesie più semplici e simpatiche. Come questa.

Piccola nuvola di primavera (Ugo Betti)

«Dopo l’acquata, le nuvole pronte,
pigliano il volo, scavalcano il monte.
Or con la gonna di velo sottile,
la più pigra s’impiglia al campanile.

“Lasciami, con codesta banderuola;
mi strappi tutta, son rimasta sola!”.
Ma il campanaro senza discrezione
le risponde col campanone!

Che sobbalzo, che sgomento!
Per fortuna c’ra il vento
che con tutta galanteria
la piglia e se la porta via.

La porta a spasso lieve lieve
sul torrente, sulla pieve:
tutto il mondo le fa vedere,
tetti rossi, maggesi nere…

E che brillio di vetri e foglie!
Quanti bambini lungo il rio!
Quante vecchie sulle soglie!
Che festa, che chiacchierio!

Bimbi e rondini a strillare,
e bucati a salutare,
e ragazze alla finestra
ed il poeta a stillarsi la testa!

O primavera, uccelletto fuggitivo,
tu canti, io scrivo».

Dopo l’acquata le nuvole pronte…

Mi era particolarmente simpatica questa poesiola che adesso posso giudicare puerile, ma che quando ero piccola si prestava a farmi immedesimare nella protagonista, una nuvola piccina, imbranata e rimasta sola, e pure vessata da un campanaro zoticone. Per fortuna c’era il vento… La giusta miscela di realismo e di fantasia donava al piccolo ascoltatore uno sguardo incantato sul mondo reale, insegnandogli anche una certa dose di ottimismo nell’affrontare i problemi della vita. Francamente, io mi fermavo alle maggesi, cercando di capire cosa fossero (per la cronaca: sono terreni tenuti a riposo e trattati per la futura semina), e il resto non l’ho mai memorizzato, tanto poco mi interessavano i tormenti interiori dei poeti. Ma quanto mi piaceva la prima parte della poesia!