Un ricordo: don Gnocchi e i suoi “mutilatini”

Don Gnocchi con i suoi “mutilatini”. Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2481689

Il 28 febbraio di 68 anni fa moriva don Carlo Gnocchi, prete milanese che sarà beatificato nel 2009. Cappellano militare degli alpini durante la Seconda guerra mondiale, a seguito della tragica esperienza della guerra si impegnò ad alleviare le piaghe da essa lasciate, dedicando le sue cure agli orfani degli alpini, ai bambini colpiti dalla poliomielite e soprattutto ai bambini rimasti vittime dello scoppio di ordigni inesplosi trovati per caso mentre giocavano per terra.

I “mutilatini”

Chi, come me, frequentava le elementari nel nostro dopo guerra (ancora nella metà anni Cinquanta), ben ricorderà, appesi alle pareti delle aule scolastiche, i cartelloni con la severa intimazione ai bambini di non toccare oggetti trovati per terra. Le immagini mostravano bambini che avevano perso un arto, o la vista, perché avevano giocato con una mina o una bomba inesplosa. Erano terrificanti.

Era famosa, in quegli anni, la figura di don Gnocchi, che si era dedicato a questi «mutilatini», i piccoli invalidi che erano rimasti mutilati a causa delle mine lasciate dalla guerra. Ad essi votò la sua breve vita: morì a nemmeno 54 anni di età. Ma fece anche scalpore, nella sua prematura scomparsa, la donazione delle cornee perché due piccoli potessero tornare a vedere. Fu il primo donatore di organi in Italia.

Una figura profetica: donatore di organi

Nei mesi precedenti, don Carlo Gnocchi aveva avviato le pratiche per trasferire e fare operare in Svizzera un ragazzo cieco, visto che in Italia i trapianti di cornea non erano ancora legali. Tre o quattro giorni prima di morire, don Carlo chiese all’amico don Giovanni Barbareschi: «Sei pronto a rischiare la prigione per me? Io voglio donare le cornee. Se ti senti, vai a cercare un oculista che si tenga a disposizione. Se ti va male sappi che andrai in galera per me».

Sfidando la legge, appunto, il doppio intervento di trapianto con le cornee di don Carlo Gnocchi fu eseguito dal  professor Cesare Galeazzi, direttore del Pio Ospedale Oftalmico di Milano  (oggi Fatebenefratelli), che ricorda nel suo diario:

«Improvvisamente, domenica 26 febbraio alle 2 del pomeriggio suona il telefono. Era una suora della clinica  Columbus che mi diceva di andare subito perché don Carlo aveva chiesto di me. Quando lo vidi giaceva nel letto, sotto la tenda a ossigeno, il viso esangue, le belle mani stanche e bianche.

Mi disse: “Cesare, ti chiedo un grande favore, non negarmelo. Fra poche ore io non ci sarò più, prendi i miei occhi e ridona la vista a uno dei miei ragazzi, ne sarei tanto felice. Parti subito per Roma, là nella mia casa c’è da pochi giorni un bel ragazzo biondo e poi forse anche un altro, mi hanno detto che un trapianto di cornee potrebbe farli rivedere, avrei già dovuto parlartene, parti subito, promettimelo, io ti ringrazio. Addio….”. Non dimenticherò mai quegli attimi di stravolgente commozione; non ricordo nemmeno che cosa dissi, so che piangevo e so che promisi. Ricordo che lo baciai in fronte. Uscii frastornato, pieno di paura per l’incombente gravoso impegno così solennemente assunto».

La volontà di don Gnocchi fu eseguita e due bambini tornarono a vedere grazie al suo atto estremo di donazione.

L’opera di don Gnocchi pone l’attenzione anche sull’angoscioso tema del dolore innocente. Una sua piccola pubblicazione sull’argomento: QUI.