Il convegno con cui l’associazione a lui intitolata ha voluto ricordare a Follonica don Enzo Greco nel decimo anniversario della sua morte ha visto l’intervento di due particolari relatori, protagonisti ognuno a proprio modo della vita cittadina: l’ex sindaco professor Claudio Saragosa e la dr.sa Miria Magnolfi, storica direttrice della Biblioteca della Ghisa. Due settori della vita pubblica, la vita politica e la vita culturale, che sono stati molto importanti per l’azione pastorale di don Enzo: un prete e una città.
L’intervento del prof. Saragosa
Claudio Saragosa, classe 1962, è professore presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Insegna Storia dell’Urbanistica e Pianificazione territoriale e lavora soprattutto ad un approccio innovativo per la ricostruzione di relazioni fra insediamento umano ed ambiente in un’ottica di sostenibilità (cfr. i suoi testi: C. Saragosa, L’insediamento umano. Ecologia e sostenibilità, Donzelli, Roma, 2005; La città tra passato e futuro. Un percorso critico sulla via di Biopoli, Donzelli, Roma, 2011; Il sentiero di Biopoli. L’empatia nella generazione della città, Donzelli, Roma, 2016).
È stato assessore all’urbanistica del comune di Suvereto (1995 – 1999) e poi di Follonica (1999 – 2004), poi sindaco di Follonica dal 2004 al 2009 (attualmente è assessore all’urbanistica al comune di Gavorrano). È in questa veste pubblica che ha avuto modo di incontrare e di confrontarsi con don Enzo per la costruzione comune di una città a dimensione umana.
Di don Enzo, ha affermato il prof. Claudio Saragosa, «conservo da sindaco ricordi del passato sul rapporto molto importante avuto con lui da parte della città», un bel periodo. Una città che si deve considerare come contenitore di umanità, che deve riconoscersi in un’identità coesa. Per questo don Enzo si è impegnato a fondo.
La fondazione di Follonica e la chiesa di San Leopoldo
La città di Follonica è stata fondata sul nulla, nonostante il retroterra etrusco di cui possono affiorare poche tracce. Evidentemente nella zona c’erano sempre stati insediamenti umani, ma il vero e proprio atto di fondazione di Follonica si è avuto con la chiesa di San Leopoldo (1838). Si stava costruendo il nuovo in una terra difficile, e la costruzione della chiesa non rappresentava solo un’esigenza di culto, ma anche una sperimentazione architettonica di un materiale particolare – la ghisa, altrimenti detta ferraccio.
Questa scelta è importante perché tiene conto del fatto che nel territorio si lavorerà il ferro. Un territorio, oltre tutto, afflitto dalla malaria: non ci sono dati per Follonica ancora in costruzione ma in quel periodo nella vicina Scarlino l’età media degli abitanti è di soli 29 anni! Quello che si stava facendo del territorio di Follonica era la trasformazione in insediamento non solo urbano (industriale, per la lavorazione del ferro), ma anche rurale, bonificando la campagna. Nasce così la chiesa di San Leopoldo che nel 1910, come si vede dalle foto d’epoca, sta ancora nel vuoto: non vi sono abitazioni intorno. Solo negli anni Venti – Trenta del Novecento inizieranno a nascervi intorno dei villini. Eppure, la chiesa era stata progettata e realizzata con ogni cura, dotata di rosone in ghisa, di bassorilievi… anche di dettagli del campanile che da terra non erano neppure visibili.
Per una identità coesa
Al tempo di don Enzo, Follonica era cresciuta molto velocemente, fino ai 22.000 abitanti, però con una spaccatura profonda sul piano dell’identità lavorativa. Le fonderie erano nate del 1834 ed erano state chiuse nel 1960, ma ancora 1000 operai follonichesi lavoravano nelle Acciaierie di Piombino. Eppure, contemporaneamente Follonica stava sviluppando la vocazione antitetica a quella industriale, la vocazione turistica, e necessitava di un’identità comune più profonda.
Don Enzo sapeva che Follonica aveva bisogno di diventare una comunità coesa, e riconosceva il ruolo della Chiesa in tutto questo. Il prof. Saragosa ricorda a questo proposito il tentativo, da lui condiviso con don Enzo, di far nominare la chiesa di San Leopoldo «duomo», «cioè casa della città». Un lavoro nascosto, profondamente indicativo del rapporto di don Enzo con la città.
La testimonianza della dr.sa Magnolfi
Quello della dottoressa Miria Magnolfi è un nutrito curriculum che parte da una laurea in lettere moderne per svilupparsi con una laurea in scienze politiche, passando e proseguendo per un quarantennale servizio presso l’amministrazione comunale di Follonica, soprattutto come direttore della Biblioteca comunale e tante altre attività. Da segnalare il prestito a domicilio per persone con difficoltà, la direzione di corsi di aggiornamento, gli interventi a convegni e seminari, la riorganizzazione di servizi presso altre biblioteche, e soprattutto la promozione della lettura.
Con tutto questo impegno nel servizio alla città, non c’è da meravigliarsi se la dr.sa Magnolfi sia stata coinvolta nel convegno sui rapporti di don Enzo Greco con il mondo culturale. Rapporti che, come vedremo, hanno assunto anche un risvolto personale.
«Pensavo di aver poco da dire…»
All’inizio del suo intervento, la dr.sa Magnolfi ha menzionato il suo atteggiamento iniziale: «Pensavo di aver poco da dire, ma in qualche modo rappresentavo la vita cittadina». Dopo questa titubanza di partenza, infatti, i ricordi si sono snodati naturalmente, a partire dalla sua profonda appartenenza alla città di Follonica, quindi dal suo essere persona che ha vissuto tutto il cambiamento cittadino precedentemente toccato dal prof. Saragosa, e una storia di cui fa parte don Enzo.
L’incontro con don Enzo
Miria Magnolfi ha ricordato di non essere una grande frequentatrice della chiesa, di essere piuttosto una persona in cammino, ma di aver sempre sentito una grande profondità nelle omelie di don Enzo che le capitava di ascoltare. Poi venne l’occasione dell’incontro: don Enzo si presentò a lei per proporle di organizzare con la biblioteca della Ghisa un ciclo di conversazioni, come dialoghi fra credenti e non credenti sui grandi temi della vita. Un’iniziativa, questa, di grande importanza per l’apertura alla città, con la possibilità di incontrare persone che non sarebbero venute in chiesa, ma che erano disposte ad incontri in un territorio «terzo». Questi cicli di conversazioni furono organizzati a partire dal 2006 e durarono molti anni; moltissime persone vi parteciparono. Il 16 gennaio 2013 avrebbe dovuto iniziare un nuovo ciclo, ma non fu possibile, perché don Enzo non c’era più, era mancato appena due giorni prima.
Si trattò, per la dr.sa Magnolfi, di un percorso comune e in crescita con don Enzo, occorrendo ogni volta precisare le tematiche e le modalità di sviluppo, ad esempio sul rapporto fede – letteratura. Il rapporto più profondo con don Enzo sarebbe venuto nel tempo, un rapporto di tipo individuale e familiare in cui Miria, persona in cammino, esprimeva il dubbio della fede, e il sacerdote le si metteva al fianco comprendendo il suo desiderio ma anche la sua incapacità di trovare, per così dire, l’interruttore della stanza buia.
Il ricordo di don Enzo ha assunto, alla fine, toni del tutto personali. Da notare che dei quattro relatori (cinque, con il sindaco) intervenuti a parlare al convegno nessuno aveva davanti un testo da leggere: a tal punto la memoria che essi ripercorrevano non era rievocazione, ma, come ben aveva evidenziato don Bonari, profezia.