
Infine, al convegno per il decimo anniversario della morte di don Enzo, quinto «tra cotanto senno» viene il mio intervento spicciolo, vertente sull’investimento che don Enzo ha costantemente fatto nella formazione teologica dei laici.
Io sono fra le conoscenze più recenti di don Enzo, perché provengo da altra zona, e sono entrata qui solo in età adulta. Rispetto ad altri che sono stati suoi compagni nello studio, o suoi concittadini, io, che vengo da altra realtà geografica, ecclesiale e sociale (Livorno), l’ho conosciuto relativamente tardi. Rappresento comunque, con il mio tipo di esperienza, un aspetto fondamentale della sua persona e del suo impegno pastorale.
Posso anche dire che, pur essendo più anziana di lui di qualche anno, ho anch’io vissuto nella mia giovinezza il rinnovamento pastorale conciliare – avendo, tra l’altro, il privilegio di essere cresciuta dentro il Concilio da universitaria della Fuci, con il vescovo di Livorno mons. Emilio Guano che, per chi non lo sapesse, ha curato quello che all’epoca si chiamava Schema XIII e che è divenuto la costituzione Gaudium et Spes. In un certo senso, perciò, la mia formazione ecclesiale è simile a quella di don Enzo: nati e cresciuti nella Chiesa di Pio XII e di papa Giovanni (io con un vantaggio di cinque anni su don Enzo), abbiamo avuto la giovinezza segnata dal Vaticano II, con tutte le conseguenze….
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Coordinatore dei gruppi giovanili

Sono giunta in questa diocesi quasi cinquanta anni fa, ma avendo scuola e figlie piccole ero già impegnata a tempo pieno. C’era una forte realtà giovanile a Piombino (in particolare il gruppo Esperienze e Incontri che apparteneva alla mia parrocchia dell’Immacolata) ma non mi toccava direttamente. Ho però un ricordo indiretto di un don Enzo molto giovane con un parka verde che teneva il coordinamento dei gruppi giovanili, a quei tempi molto attivi, con epicentro all’Immacolata, appunto. Parlo, naturalmente, dei tempi di mons. Vivaldo.
Insegnante

La mia conoscenza diretta di don Enzo è più tardiva. Mi sono trovata a contatto con lui negli anni Novanta, alla scuola di teologia di Grosseto che lui tra l’altro aveva contribuito a fondare con mons. Umberto Ottolini, un liturgista di tutto rispetto che aveva lavorato alla riforma liturgica post conciliare. Don Enzo, si può dire, ha passato tutta la sua vita adulta come docente: come insegnante di religione negli anni giovanili, al seminario di Siena non appena perfezionatosi nelle scienze umane, poi all’Istituto superiore di Scienze religiose…
All’Istituto superiore di scienze religiose di Grosseto aveva insegnato fin dal suo nascere, dunque. L’ambito di don Enzo era la catechetica e scienze connesse, che aveva studiato all’Ateneo Salesiano, ma aveva alle spalle una buona cultura umanistica, dovuta ad una formazione classica di base che continuava a consolidare e aggiornare, a differenza di molti che una volta arrivati al titolo lasciano cadere tutto. Don Enzo no: continuava ad estendere ed approfondire, a mo’ di «uomo leonardiano» dal sapere universale, con vastissime competenze. Ho sempre avuto l’impressione che se gli avessi chiesto di insegnare biologia si sarebbe aggiornato e l’avrebbe fatto…
Corso triennale per operatori pastorali
Poi era venuto il corso triennale per catechisti (ma non solo) organizzato da don Mario Marcolini. Voglio ricordare anche lui perché a maggio prossimo saranno 15 anni che ci ha lasciato ed anche lui è stato una persona che ha speso tutta la sua vita al servizio del Vangelo e al servizio dell’uomo. Un tipo molto diverso da don Enzo: quasi suo coetaneo ma con connotazioni differenti per provenienza geografica (don Mario era bergamasco) e culturale, si incontravano perfettamente sul terreno pastorale, particolarmente quello catechetico.
Insomma, don Mario stava organizzando un corso triennale, nel 1995, ed io ebbi modo di rapportarmi con don Enzo più direttamente. Potei constatare la vastità e la serietà delle sue competenze: non c’era un campo, in teologia, filosofia e scienze umane, dove non potesse esprimersi con profondità. A un certo punto cominciai a chiedermi se di notte dormiva o studiava…
L’Istituto superiore di Piombino

Intanto, a Grosseto, la scuola di teologia si stava assottigliando. Verso il 1998, gli iscritti al primo anno erano solo due, ed erano entrambi della nostra diocesi. Aveva senso che andassero a Grosseto? Iniziai a pensare che forse valeva la pena di impiantare una struttura di formazione a Piombino, tanto più che il corso triennale organizzato da don Mario Marcolini, che aveva raccolto un centinaio di frequentanti in continente e qualche decina all’isola, era ormai terminato.
Ne parlai con mons. Bassetti, che era già stato trasferito ad Arezzo ma continuava ad amministrare la diocesi di Massa Marittima – Piombino, e lui sposò subito questa proposta. La lasciò in eredità, come realizzazione, a mons. Santucci, nuovo vescovo diocesano; e facemmo con lui un incontro, insieme a don Enzo e don Mario. Mons. Santucci, con la sua abituale schiettezza, mi chiese a bruciapelo: «Quanto vuole per occuparsi della scuola?». «Mah, niente, risposi, «per me è una forma di volontariato». «Allora va bene!». E la scuola di teologia partì, e durò venti anni tondi.
Don Enzo e il laicato

Ho raccontato tutto questo solo per sottolineare un aspetto importante dell’approccio di don Enzo con il laicato. Eravamo in tre, della nostra diocesi, ad insegnare a Grosseto: don Enzo (catechetica), don Mario Marcolini (sociologia) ed io (varie materie bibliche). Due sacerdoti e un laico. Era naturale che mi trovassi io ad organizzare, coordinare e gestire l’insieme, abbastanza complesso, di una sede secondaria che affluiva allo Stenone di Pisa e come tale aveva riconoscimento giuridico e rilasciava titoli validi per lo stato italiano; questo perché essendo in pensione avevo il tempo necessario, ed anche per la mia esperienza di dirigente scolastica. Ma qui devo sottolineare un aspetto fondamentale dell’atteggiamento di don Enzo (e, se è per questo, anche di don Mario): la sua totale disponibilità, insieme alla sua altrettanto totale mancanza di competitività, se non di ostilità, nei miei confronti in quanto appartenente al laicato.
La sua accettazione del ruolo dei laici nella formazione religiosa e addirittura nella teologia non era affatto scontata: per riprendere l’intervento di don Luca Bonari, don Enzo aveva accolto, nello spirito di una Chiesa ministeriale, il ruolo del sacerdote a servizio del ministero battesimale, e non viceversa. Lo dico perché invece ebbi le rimostranze di un altro sacerdote, estraneo al gruppo dei docenti, che (lo seppi dopo) aveva preteso di essere lui a dirigere la scuola, benché non ne avesse nemmeno il tempo.
La scuola di teologia
In ogni caso, la scuola di teologia durò ben venti anni, dal 1999 al 2019, e fu una realtà importante per la diocesi, non solo per le opportunità di formazione di singoli (sono circa un centinaio coloro che presso di noi hanno conseguito il titolo, e molti quelli che l’hanno frequentata come uditori) ma anche perché costituì un luogo di incontro e di scambio da tutti gli angoli della diocesi, al cui completo servizio era messa. Parlo al passato remoto perché la scuola di teologia si è chiusa da quattro anni, e don Enzo appartiene a questa memoria. Vorrei dire: una memoria gravida di futuro; ma per ora non è così.
L’ultimo giorno di scuola

E veniamo all’ultimo giorno di lezione di don Enzo, venerdì 21 dicembre 2013. Don Enzo dopo aver terminato la sua lezione, che era l’ultima in orario, si dilunga, sembra che non se ne voglia andare. Racconta, racconta… racconta di quando era bambino, e il suo babbo gli aveva spiegato che c’erano preti che stavano dalla parte della gente, e il bambino Enzo aveva pensato: Io voglio essere uno di questi. Racconta del babbo, morto ormai da tempo, della parte che aveva avuto nella sua vocazione grazie alla sua autenticità umana, alla sua rettitudine, alle sue idee non certo clericalizzate ma sicuramente dalla parte dei poveri. Don Enzo racconta la sua vocazione, e dopo parecchio tempo se ne va nella notte ormai calata… era il solstizio invernale, il giorno più buio dell’anno, ma illuminato dal racconto che aveva fatto della sua vita.
Non lo vedemmo più: il 14 gennaio (le lezioni avrebbero dovuto riprendere di lì a poco) mi telefonò, la mattina, un ragazzo di Follonica. Pensavo che mi volesse parlare della sua tesi, e invece mi dette la notizia: don Enzo era morto all’improvviso. In quel momento, ed anche dopo, riflettei sulla lunga confidenza che don Enzo ci aveva fatto nel giorno più buio dell’anno. È come se ci avesse in qualche modo consegnato un suo testamento spirituale. Il testamento di un uomo che da bambino si è innamorato di Cristo, e del sacerdozio come servizio a Dio e all’uomo. E così è sempre stato.