La Domenica delle Palme

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Domenica delle Palme. Dall’episodio dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme si giunge, nelle letture di questa domenica, al racconto della Passione del Signore, tutto secondo il vangelo di Luca. Per il racconto dell’ingresso glorioso di Gesù nella città santa possiamo meditare sul bel discorso di S. Andrea di Creta.
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme)
Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.
Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. È disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.
Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé.
Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.
Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele».
La liturgia della Parola culminerà con la lettura della Passione secondo Luca; il Venerdì Santo sarà poi letta, come ogni anno, la Passione secondo Giovanni.
La Passione secondo Luca

Del racconto della Passione secondo Luca non c’è, forse, immagine più caratteristica di quella del Buon Ladrone. Il vangelo di Luca presenta infatti, pur nell’alveo della tradizione di Marco, delle particolarità.
Del racconto della Passione del Signore secondo Luca si può fare, come per Marco e Matteo, un percorso in quattro quadri, come in un dramma: dal Cenacolo al monte degli Ulivi (e al sinedrio), al Pretorio fino al Calvario. È uno schema di movimento, perché chi legge il racconto della Passione è invitato a porsi alla Sua sequela, per consumare la Pasqua con Lui.
È l’ora della potenza delle tenebre, il καιρός, il momento favorevole che il Divisore aspettava (come Luca aveva annunziato nel racconto delle Tentazioni) e che trova la propria opportunità nell’azione di Giuda, un’azione umana, visibile, storica, e insieme azione sovrannaturale – invisibile – spirituale. Ma c’è un’azione ancora più grande, un Amore che anima il mondo da prima dell’inizio dei tempi…
Lo schema
È nel racconto della Passione che culmina la vita / missione di Gesù. Luca ha uno schema che corrisponde a quello degli altri due sinottici:
- Complotto
- Cena
- Preghiera e arresto
- Processo del sinedrio
- Processo di Pilato
- Crocifissione
- Sepoltura
Il racconto della passione lucano presenta però episodi e accentuazioni caratteristici:
È affine alla tradizione giovannea (per influsso orale o da fonte comune) per il ruolo che vi ha Satana (in esso si profila chiaramente lo scontro decisivo tra Gesù e Satana) e per l’insistente proclamazione dell’innocenza di Gesù da parte di Pilato.
Ha un’accentuazione parenetica, esortativa, molto forte: Gesù è il Modello – Prototipo del Giusto-Martire (cfr. negli Atti, altra opera lucana, il martirio di Stefano).
Gesù non è chiuso nel suo dolore come in Marco, ma misericordiosamente proteso verso gli altri.
I toni sono attenutati. I particolari del supplizio sono il meno cruenti possibile. La folla non è ostile ma passiva; si batte il petto; i discepoli sembrano essere presenti alla crocifissione.
La cattura e il processo giudaico (22,47-71)

La preghiera e la confidenza filiale di Gesù non attenuano la durezza estrema della situazione: la fede non è un anestetico. Gesù accoglie il fallimento umano con piena sensibilità e sofferenza. È l’ora delle tenebre.
La preghiera (22,39-46) e la cattura (22,47-65)
L’episodio della preghiera di Gesù nel Getsemani è, in Luca, breve, ma ricco di particolari sconosciuti agli altri evangelisti. Non vengono menzionati discepoli particolari, né il ripetuto rivolgersi di Gesù ad essi. Luca ne rileva il sonno, dovuto, però – così cerca di giustificarli – alla tristezza. Insiste invece sull’invito alla preghiera: Pregate per non entrare in tentazione. Esclusiva di Luca è la menzione del sudore di sangue e la presenza dell’angelo a confortare Gesù. La ematoidrosi è una rarissima sindrome che provoca la sudorazione di sangue in una particolare situazione di stress, essendo cagionata dalla rottura di capillari associati alle ghiandole sudoripare. Confortare, enischúo, non significa tanto consolare, alleggerire emotivamente, quanto rendere forte: non viene alleggerita la condizione emotiva, ma la persona viene resa capace di affrontarla… C.S. Lewis ha un bellissimo commento nelle sue Lettere a Malcom:
«Alla fine, lo so, ci è stato detto che comparve un angelo a “confortarlo”. Ma né comforting dell’inglese del XVI secolo né ἐνισχύων in greco significano “consolare”. Il termine più appropriato è “fortificare”, e dovette consistere nella conferma – un ben gelido conforto – che occorreva farsi forza per sopportare la prova».
E desidero riportare, dallo stesso libro, anche questa annotazione sulla «notte oscura» che le anime sperimentano:
«Sono i santi, non la gente comune, a sperimentare “la notte oscura”. Sono gli uomini e gli angeli, non le bestie, a ribellarsi. Le creature inanimate dormono nel grembo del Padre. La “natura ascosa”di Dio opprime forse in un modo più doloroso proprio quelli che in qalche modo sono più vicini a Lui, e quindi Dio stesso, fattosi uomo, dev’essere il più abbandonato da Dio di tutti gli uomini?».
Per approfondire la spiritualità di C.S. Lewis, che può essere di grande aiuto nella nostra vita, consiglio il mio SAGGIO.
Altre particolarità lucane si riscontrano nei racconti dell’arresto e del processo.
22,47-48 In Luca, Giuda si avvicina a Gesù ma non lo bacia;
49-51 inoltre, sempre in Luca e solo in lui, sensibile allo stato fisico dei personaggi, Gesù guarisce il servo colpito da Pietro (cfr. Gv 18,10).
52-53 È giunta l’ora: «l’ora vostra e il potere delle tenebre». Ma Luca non menziona neppure la fuga dei discepoli, cerca sempre di attenuare i toni.
54-62 Anche il rinnegamento di Pietro è narrato in modo attenuato. Manca il crescendo di imprecazioni e spergiuri nei confronti di Gesù. Luca non parla di un processo notturno, poco plausibile: forse durante la notte Gesù fu interrogato privatamente da Anna (come afferma Gv 18,12-24), poi al mattino dal sinedrio.
63-65 Sono menzionati alcuni maltrattamenti: percosse, ma non sputi e schiaffi. Sono le guardie del tempio a dileggiare Gesù, non – poi – i romani.
Processo davanti al sinedrio
66-71 Per quanto riguarda il processo davanti al Sinedrio: manca l’accusa dei falsi testimoni di distruzione del tempio, poco comprensibile dai pagani nel suo valore teologico. Manca, per lo stesso motivo, l’immagine delle nubi connessa al Figlio dell’uomo. Luca ha sempre cura di adattare il linguaggio ai suoi destinatari poco familiarizzati con la lettura delle antiche Scritture.
Il processo romano (23,1-25)

Questo passo è molto vicino a Giovanni per la triplice dichiarazione di innocenza da parte di Pilato e la proposta di castigo in alternativa alla crocifissione. Luca si preoccupa di scagionare l’autorità romana. Le finalità del racconto in Luca sono eminentemente parenetiche: Gesù è il modello da seguire, e infatti la morte di Stefano, protomartire, seguirà lo stesso schema.
23,1-5 Pilato riceve l’accusa contro Gesù di impedire i tributi e di farsi re (come un pericoloso sobillatore, uno zelota). Pilato dichiara l’innocenza di Gesù, pertanto si ripete l’accusa di sobillazione. Siamo in pieno paradosso: un pagano difende il Messia e i capi del suo popolo lo vogliono morto.
6-12 L’intervento di Erode è un episodio esclusivo di Luca. Erode mostra una gioia perversa per l’attesa di prodigi, una curiosità morbosa che portano, disilluse, a disprezzo e scherno, e ad una misera rivincita mediante la messa in ridicolo del Messia da parte delle sue guardie del corpo (manto sfarzoso).
Manca in Luca, per rispetto verso Gesù e per la preoccupazione di evitare le scene di violenza, il racconto dello scherno dei soldati (coorte) nel pretorio: i particolari della porpora, della corona di spine, del saluto di scherno, della canna, degli sputi, della prostrazione parodistica (cfr. Mc 15,16-20 // Mt 27,27-31).
13-16 Pilato, ricevuto indietro Gesù, ne dichiara l’innocenza di Gesù e
17-25 lo vuol rilasciare con un semplice castigo ma alla fine anche lui deve consegnarlo (notare anche qui la pregnanza teologica del verbo).
La Via Crucis (23,26-56)

A questo punto, facciamo la nostra Via Crucis personale e decidiamo chi essere:
Coloro che hanno consegnato Gesù per ragioni di comodo?
Pilato che non ha il coraggio delle sue convinzioni?
Erode, attratto solo dallo spettacolare e dal facile?
I vili che scherniscono quando sono al sicuro?
23,26 il Cireneo che per requisizione o angheria porta il patibulum di Gesù, e diviene poi il tipo del discepolo (“gli imposero la croce, perché la portasse dietro Gesù”, narra Luca: è l’atteggiamento della sequela)?
27-31 le donne di Gerusalemme che fanno il compianto su di lui? (Cfr. Zc 12.10-14). La compassione delle donne è data come esempio da imitare, anche se in Luca neppure il popolo è ostile. La maternità diviene una maledizione nel tempo del castigo, tanto da far dire paradossalmente: “beate le sterili…”. Il detto proverbiale del legno verde /secco esprime la contrapposizione tra la sorte del Giusto e il castigo degli uccisori. Anche nella sofferenza Gesù ha compassione degli altri, ammonendoli del castigo che li sovrasta.
* 32-38 Nella scena della Crocifissione: scegliamo di essere…
– i crocifissori che non sanno quello che fanno (= il nemico che ha bisogno di perdono, v. analogia con la morte di Stefano)?
-il popolo che osserva (in Luca non bestemmia sfidando Gesù, però tace) e si pente battendosi il petto senza però far niente per cambiare?
– i capi e i soldati che lo scherniscono (gli portano aceto, si spartiscono le vesti)?
* 39-43 – il kakoùrgos / malfattore (non “brigante” come in Marco / Matteo) che lo bestemmia?
– Il malfattore che lo difende, confessa e implora perché crede in un Regno messianico, e ottiene invece la comunione con Lui, nell’oggi della salvezza, scoprendo che questa salvezza è una Persona? Non è mai troppo tardi: sempre è oggi per la misericordia di Dio.
– il centurione, che ribadisce l’innocenza di Gesù con il titolo (“era giusto”) di At 3,14; 7,52; 22,14 cfr. Is. 53,11;
– i conoscenti e le donne che assistono?
– Giuseppe di Arimatea, che viene per seppellire un morto 50-56 ?
* 44-48 Morte del Signore:
– si fa buio fra la sesta e la nona (sull’Egitto, le tenebre calarono per 3 giorni); la natura partecipa commossa alla morte del Signore;
– avviene lo squarcio del velo del tempio; cade l’ultima barriera fra Dio e l’uomo;
– Gesù emette un grido di fiducia (Sal 31,6: “nelle tue mani affido il mio spirito” preceduto dalla parola Abbà), anziché il grido di derelizione che, pur essendo l’inizio del salmo 22, era difficile da capire da parte dei cristiani di origine pagana.
Era la Parasceve, sottolinea Luca, e il sabato iniziava ad accendere le sue luci (astri o lampade della sera). Sarà Cristo la stella del mattino, la luce che non vedrà tramonto. Ma occorreranno ancora ore di tenebra, per giungere alla notte benedetta della Pasqua.
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. Guelf. 3)
La passione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo è pegno sicuro di gloria e insieme ammaestramento di pazienza.
Che cosa mai non devono aspettarsi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti al Figlio unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrando troppo poco nascere uomo dagli uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano di quegli uomini che aveva creato lui stesso.
Gran cosa è ciò che ci viene promesso dal Signore per il futuro, ma è molto più grande quello che celebriamo ricordando quanto è già stato compiuto per noi. Dove erano e che cosa erano gli uomini, quando Cristo morì per i peccatori? Come si può dubitare che egli darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi, egli non ha esitato a dare anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini?
Chi è infatti Cristo? È colui del quale si dice: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»? (Gv 1, 1). Ebbene questo Verbo di Dio «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli non aveva nulla in se stesso per cui potesse morire per noi, se non avesse preso da noi una carne mortale. In tal modo egli immortale poté morire, volendo dare la vita per i mortali. Rese partecipi della sua vita quelli di cui aveva condiviso la morte. Noi infatti non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui nulla aveva da cui ricevere la morte. Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. Dunque non vergogna, ma fiducia sconfinata e vanto immenso nella morte del Cristo.
Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire. Ciò che noi peccatori avevamo meritato per il peccato, lo scontò colui che era senza peccato. E allora non ci darà ora quanto meritiamo per giustizia, lui che è l’artefice della giustificazione? Come non darà il premio dei santi, lui fedeltà personificata, che senza colpa sopportò la pena dei cattivi?
Confessiamo perciò, o fratelli, senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia, non con rossore, ma con fierezza.
L’apostolo Paolo lo comprese bene e lo fece valere come titolo di gloria. Poteva celebrare le più grandi e affascinanti imprese del Cristo. Poteva gloriarsi richiamando le eccelse prerogative del Cristo, presentandolo quale creatore del mondo in quanto Dio con il Padre, e quale padrone del mondo in quanto uomo simile a noi. Tuttavia non disse altro che questo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6, 14).
Dall’«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
(Capp. 65-67)
Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1, 5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone… colui che percosse l’iniquità e l’ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l’Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
… Colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell’agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. È l’agnello che non apre bocca, egli è l’agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnello senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all’uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l’umanità dal profondo del sepolcro.
Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 45, 23-24)
Superiamo il primo velo del tempio, accostiamoci al secondo e penetriamo nel «Santo dei santi». E più ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo. Con il nostro sangue onoriamo il sangue di Cristo. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri. Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo.
Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Egli fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato, e tu diventa giusto per lui. Adora colui che è stato crocifisso per te. Se vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato. Compra con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso e così capirai di quali beni ti eri privato. Contempla quelle bellezze e lascia che il mormoratore, del tutto ignaro del piano divino, muoia fuori con la sua bestemmia.
Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo.
Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito, cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione.
E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo.