Le caratteristiche principali della liturgia della Domenica delle Palme (anno A) sono due. La prima è la memoria dell’ingresso regale di Gesù in Gerusalemme con la benedizione dell’olivo. La seconda è la lettura dell’intero Passio, ovvero il racconto della Passione del Signore, quest’anno secondo Matteo. La Passione secondo Giovanni sarà letta, come ogni anno, il Venerdì Santo.
La Passione secondo Matteo
Matteo segue molto da vicino il racconto di Marco, ma, al solito, con caratteristiche proprie:
- La passione di Gesù compie tutte le Scritture, compreso quanto è relativo al tradimento e suicidio di Giuda
- Gesù non è solo il protagonista ma anche colui che domina la scena: il suo nome vi ricorre più di 20 volte; conosce tutto in anticipo, è re, Cristo e Figlio di Dio
- La passione e resurrezione di Gesù sono eventi escatologici che anticipano gli ultimi tempi.
Coglieremo qui alcuni elementi del racconto di Matteo, riservandoci un commento più dettagliato nei giorni di Giovedì e Venerdì Santo.
Il ruolo di Giuda
Giuda è in Matteo colui che pattuisce la consegna di Gesù ai sommi sacerdoti per 30 sicli d’argento. In Zc 11,12 questa è la paga del profeta, il prezzo di uno schiavo, con cui Dio stesso si identifica. L’apostolo poi si dispererà del sangue innocente che ha venduto. Il rimorso è reale, ma Giuda viene lasciato solo dai sacerdoti che, dopo averlo usato, ipocritamente rifiutano di riprendere indietro il prezzo della consegna a morte di un innocente. Rimasto solo, non ha il cuore di rivolgersi a colui che ha venduto, e pone fine alla sua vita. Non possiamo giudicare il suo cuore. Rimane, anche per lui, la possibilità del pentimento nell’ultimo istante…
Il ruolo di Pilato
Pilato non è convinto di dover comminare a Gesù la pena a cui lo spingono i membri del sinedrio, ma deve mantenere equilibri politici e alleanze. Utilizza perciò la prassi di liberare per Pasqua un prigioniero, attestata dagli scritti rabbinici (Pesachim VIII,8), non sappiamo se riferibile anche ai romani.
La folla, persuasa dai sobillatori del sinedrio, sceglie il prigioniero sbagliato. Non è Pilato che emette la condanna, in Matteo, è la folla: “Sia crocifisso!” (27,22-23). A Pilato non resta altro che consegnare Gesù, inconsapevole esecutore di un disegno cruento che si muta in un disegno salvifico, e questa è la consegna definitiva.
L’intervento della moglie di Pilato, esclusivo di Matteo, e il gesto di lavarsi le mani, esso pure solo matteano, servono a rimarcare come i pagani, testimoni insospettabili, abbiano riconosciuto l’innocenza di Gesù.
Naturalmente non tutti gli ebrei sono responsabili di questa morte, ma solo coloro che l’hanno chiesta; tuttavia, il sangue innocente attira altro sangue innocente. È significativo che il Vangelo di Matteo, iniziato con un racconto dell’infanzia in cui Erode fa strage di bambini, si concluda con l’annuncio di altro sangue innocente versato, quello dei figli di Gerusalemme quando la città sarà distrutta. Non siamo, certamente, di fronte ad una maledizione che gravi sulla successiva storia di Israele, come si voleva ritenere un tempo.
Elementi apocalittici
Matteo accentua gli elementi apocalittici già presenti in Marco. Matteo sottolinea infatti l’evento della morte del Cristo con sette sconvolgimenti escatologici. Oltre all’oscuramento del cielo (la natura partecipa al lutto del suo Creatore) e allo squarciamento della cortina del tempio (l’ultima barriera tra Dio e l’uomo), menziona il terremoto, le rocce spaccate, i sepolcri aperti, la resurrezione dei santi e la loro apparizione agli abitanti di Gerusalemme. Tutti segni che hanno la funzione di sottolineare il trapasso fra il vecchio mondo e quello nuovo che sta sorgendo.
Il racconto di Matteo presuppone già la dottrina della discesa agli inferi di Cristo per liberare gli antichi padri, e infatti l’evangelista anticipa il racconto della loro resurrezione, ma tiene a precisare che sono usciti dal sepolcro solo dopo la resurrezione del Signore, loro con lui.
La guardia al sepolcro
Poiché il giorno successivo alla crocifissione è sabato, sommi sacerdoti e farisei si procurano un drappello di soldati romani per fare la guardia al sepolcro, attività non consentita agli ebrei, neppure alle guardie del tempio, durante il riposo festivo.
In questo episodio che gli è esclusivo, Matteo esplicita una attesa della resurrezione che nella realtà era solo, al più, una pia illusione: un Messia morto non era il Messia. I discpoli avrebbero comunque potuto tentare di far credere che Gesù fosse ancora vivo.
L’ironia sta nel fatto che il compito dei soldati è quello di vigilare affinché nessuno entri nel sepolcro per rubare il corpo, non certo di vigilare perché nessuno ne esca! Secondo Matteo sommi sacerdoti e anziani hanno proprio il vizio di comprare i favori a peso d’argento; il tragico epilogo di Giuda non era bastato a scoraggiarli… D’altra parte, la tradizione di Matteo è sempre molto attenta alle grandi somme di denaro – una sorta di deformazione professionale.
Meditiamo con i Padri
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme)
Diciamo anche noi a Cristo e ripetiamolo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Mt 21, 9), «Il re di Israele» (Mt 27, 42). Eleviamo verso di lui, come rami di palme, le ultime parole risuonate dalla croce. Seguiamolo festosamente, non agitando ramoscelli di ulivo, ma onorandolo con la nostra carità fraterna. Stendiamo i nostri desideri quasi come mantelli per il suo passaggio, perché, attraverso le nostre aspirazioni, entri nel nostro cuore, si stabilisca completamente dentro di noi, trasformi noi totalmente in lui ed esprima se stesso interamente in noi. Ripetiamo a Sion quel messaggio profetico: Abbi fiducia, figlia di Sion, non temere: Ecco, a te viene il tuo re umile, cavalca un asino (cfr. Zc 9, 9).
Viene colui che è presente in ogni luogo e riempie ogni cosa… Viene colui il quale non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenza (cfr. Mt 9, 13) per richiamarli dalle vie del peccato. Non temere dunque. Vi è un Dio in mezzo a te; non sarai scossa (cfr. Dt 7, 21). Accoglilo con le braccia aperte. Accogli colui che nelle sue palme ha segnato la linea delle tue mura e ha gettato le tue fondamenta con le sue stesse mani.
Accogli colui che in se stesso accolse tutto ciò che è proprio della natura umana, eccetto il peccato. Rallègrati, o città madre Sion, non temere, «celebra le tue feste» (Na 2, 1). Glorifica colui che per la sua grande misericordia viene a noi per tuo mezzo. Ma gioisci anche di cuore, figlia di Gerusalemme, sciogli il tuo canto, muovi il passo alla danza. «Rivestiti di luce, rivestiti di luce», gridiamo così con Isaia, «perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60, 1).
Ma quale luce? Quella che illumina ogni uomo che viene nel mondo (cfr. Gv 1, 9). Dico la luce eterna, la luce senza tempo che è apparsa nel tempo. La luce che si è manifestata nella carne… La luce che era nel mondo fin dal principio, e per mezzo della quale è stato fatto il mondo… che venne fra la sua gente e che i suoi non hanno accolto.
«La gloria del Signore», quale gloria? Senza dubbio la croce, sulla quale Cristo è stato glorificato: lui, lo splendore della gloria del Padre, come egli stesso ebbe a dire nella imminenza della sua passione: Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui e ben presto lo glorificherà (cfr. Gv 13, 31-32). Chiama gloria la sua esaltazione sulla croce. La croce di Cristo infatti è gloria ed è la sua esaltazione. Ecco perché dice: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32).
Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 45, 23-24)
Saremo partecipi della Pasqua, presentemente ancora in figura (certo già più chiara di quella dell’antica legge, immagine più oscura della realtà figurata), ma fra non molto ne godremo di una più trasparente e più vera, quando il Verbo festeggerà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre. Allora ci manifesterà e insegnerà quelle realtà che non ci mostra ora se non di riflesso.
Infatti quali siano la bevanda e il cibo del nuovo banchetto pasquale, il nostro compito è solo di apprenderlo. Spetta al Verbo di insegnarcelo e comunicarcene il significato. L’insegnamento effettivamente è come un cibo, il cui possessore è colui che lo distribuisce. Entriamo, dunque, nella sfera della legge, delle istituzioni e della Pasqua antica in modo nuovo per poter arrivare alle realtà nuove simboleggiate dalle figure antiche.
Diveniamo partecipi della legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli…
Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Egli fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato, e tu diventa giusto per lui. Adora colui che è stato crocifisso per te. Se vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato. Compra con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso e così capirai di quali beni ti eri privato. Contempla quelle bellezze e lascia che il mormoratore, del tutto ignaro del piano divino, muoia fuori con la sua bestemmia.
Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo.
Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito, cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione.
E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo.