Domenica 21 gennaio 2024, III domenica del Tempo ordinario, ricorre la Domenica della Parola di Dio indetta da papa Francesco con la Lettera Apostolica Aperuit illis. La scelta del giorno non è casuale, perché si colloca in un periodo in cui la Chiesa celebra la Settimana di unità dei Cristiani e la Giornata di dialogo tra Ebrei e Cattolici, per cui essa viene a presentare un grande valore ecumenico e di comunione con le altre confessioni religiose. Inoltre, i Vangeli di questa domenica, in tutti e tre gli anni liturgici, riportano l’inizio del ministero e della predicazione di Gesù, Parola di Dio fatta carne. Con questa iniziativa profondamente pastorale papa Francesco ha voluto far comprendere quanto sia importante nella vita quotidiana personale e comunitaria il rapporto con la Parola di Dio, viva e concreta.
Questo è stato l’argomento di una trasmissione televisiva andata in onda in diretta su Telegranducato. Questo è il video, mentre subito dopo riporterò gli aspetti più importanti del mio intervento, non tutti presenti, per ragioni di tempo, nell’intervista.
La Domenica della Parola: cosa si intende per “Parola di Dio”?
Il termine Parola evoca subito l’idea di una comunicazione: l’espressione fonica o scritta di un concetto. Parola parlata, parola scritta, è sempre un mezzo, non una realtà in sé. Ma biblicamente c’è qualcosa di più.
Comunicazione di Sé
«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare Se Stesso (Seipsum revelare)… con questa rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con Sé» (DV 2). Questo afferma la Costituzione conciliare del Vaticano II Dei Verbum, e in seguito, al n. 6, ribadisce: «Divina revelatione Deus Seipsum manifestare ac communicare voluit» (Con la divina rivelazione Dio ha voluto manifestare e comunicare Se Stesso). La Parola con cui Dio comunica con gli uomini contiene Se Stesso, quindi non è l’espressione di un concetto ma di una Persona. Un Dio personale che si dona, nella Parola, ad amici: questo termine è sconvolgente, in quanto descrive niente meno che un rapporto paritario con Dio! Infatti, una forte minoranza di Padri conciliari avrebbe voluto sostituirlo con “figli”, vocabolo esprimete affetto ma anche asimmetria, dislivello…
Parola efficace
È Parola «corposa»: l’ebraico Davar significa parola ma anche fatto, cosa (verbum / res). Esiste una fattualità, una efficacia della Parola di Dio che la parola dell’uomo non conosce. Mi rifaccio ad una passo di Isaia 55, espresso anche in un canto piuttosto diffuso:
«Infatti, come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano più, senza aver irrigato la terra, fecondata e fatta germogliare, in modo da fornire il seme al seminatore e il pane a chi mangia, così sarà la parola che esce dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver attuato quanto volevo e compiuto ciò per cui l’ho inviata».
Mentre per noi, nelle nostre parole, c’è dualismo, spaccatura fra simbolo e realtà, nella Parola di Dio c’è fattualità, la Parola è la realtà che esprime. Anche se a noi arriva mediata dalla parola dell’uomo.
Parola Incarnata
È Parola incarnata nel linguaggio prima ancora che nella persona fisica di Gesù di Nazareth. È Parola di Dio nella parola degli uomini. In quanto Parola incarnata, poiché l’incarnazione è assunzione di un limite, questa Parola assume i limiti del linguaggio umano, con la povertà lessicale, la sintassi elementare, la scarsità di sfumature tipiche di un determinato linguaggio: Dio parla la lingua degli uomini.
È Parola che ha chiesto l’Ascolto, prima della lettura: Parola a viva voce, attraverso la voce dei patriarchi, dei condottieri, dei profeti, dei sapienti. Parola contestualizzata in un determinato ambiente che dobbiamo conoscere. La prima Parola è quella parlata, solo molto tempo dopo viene lo scritto, che conserva e trasmette l’esperienza di ascolto. La conserva e la trasmette per noi che siamo lontani nel tempo e nello spazio da quella antica esperienza.
È Dio alla ricerca dell’uomo
Ha passato i secoli e le migliaia di miglia, ma non per questo la Parola di Dio ci è lontana. Abbiamo la fortuna di avere un Dio alla ricerca dell’uomo (Abramo Heschel), che ci segue e ci insegue se cerchiamo di sfuggire: ma non ci costringe, non vuole forzarci ma solo corteggiarci (C.S. Lewis). E ci si fa vicina, molto vicina. Come dice Dt 30,
11Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. 12Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. 13Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. 14Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica.
È molto bella la simbologia dei Tefillin, gli astucci contenenti lo Shema‘ Israel ed altri versetti che gli ebrei si pongono sulla fronte e sul braccio ad osservare quanto prescritto da Dt 6,8 riguardo ai precetti del Signore: Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi… Ovvero, la Parola di Dio deve stare fra l’uomo e il mondo (gli occhi sono il mezzo di rapporto con la realtà esterna, infatti), fra l’uomo e il suo agire (la mano dalla parte del cuore, perché biblicamente è nel cuore che si comprende quanto ci circonda e si prendono decisioni).
La Parola di Dio si fa mensa per noi, come la Mensa del Pane. Il Vaticano II ha restituito pastoralmente al popolo di Dio la Parola, come una Mensa al pari dell’Eucaristia. E questa mensa ci aspetta.
Cosa vuol dire “rimanere nella Parola”?
L’espressione biblica con la quale quest’anno si intende celebrare la Domenica della Parola di Dio è tratta dal vìVangelo secondo Giovanni: «Rimanete nella mia parola» (Gv 8,31). Ma che cosa significa rimanere nella Parola?
Qui la risposta è più breve ma sostanziale. Nel linguaggio giovanneo, il verbo rimanere, molto frequente, vuol dire dimorare, abitare, restare in intimità con… L’invito è quindi di abitare la Parola, non lasciarla sola, astratta, ma trattenersi in intimità con Lei. Sentirla familiare, frequentarla assiduamente, diventare tutt’uno.
Il prologo narrativo del IV Vangelo si apre con il resoconto dell’esperienza dei primi discepoli che hanno dimorato con Gesù: «E videro dove dimorava e quel giorno dimorarono presso di lui. Era circa l’ora decima» (Gv 1,39). Il tema è stato approfondito da Giovanni soprattutto nel capitolo XV con la metafora della vite e dei tralci: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla… Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (15,4-10).
Come si può avere questa assiduità con la Parola?
Il rapporto con la Parola si Dio si può avere in tanti modi diversi.
- In modo minimale, con le letture liturgiche.
- Con le catechesi, spesso a mo’ di flash.
- Con gruppi di lettura: la loro validità dipende da come sono impostati.
- Con lo studio del testo: studio individuale o mediante corsi. L’esperienza di Lettura continua della Bibbia, fra le altre esperienze, unisce lo studio sistematico alla riflessione personale e comunitaria.
Perché è importante uno studio sistematico? Perché è l’unico che ci permette di cogliere i nessi fra le parti e di avere una visione integrale.
In tal senso, paragono la Bibbia alla Divina Commedia. Un vizio dei lettori è quello di cercare e apprezzare i singoli contenuti, i vari brani e personaggi, solitamente i più famosi, ma la stessa architettura del Poema dantesco è un gioiello gotico che dà rilievo a luci – colori – suoni – sculture – pitture. La stessa struttura della Bibbia è un gioiello letterario, che dà valore e significato a tutti gli elementi in continuità, dalle pagine più arcaiche alle più mature, e ne spiega lo sviluppo organico.