Il discorso escatologico (Marco 13)

Discorso escatologico
Foto di Jaroslav Šmahel da PixabayIl Muro Occidentale, popolarmente detto Muro del Pianto, unica parte rimasta del Secondo Tempio, era solo il muro di cinta occidentale del cortile esterno

L’escatologia è il discorso sulle ultime cose: in parole povere, su quella che noi chiamiamo la fine del mondo. Il cap. 13 del Vangelo secondo Marco è dedicato allo sviluppo di un discorso escatologico, cioè a dare uno sguardo sulle cose future, partendo dalla fine della principale istituzione dell’ebraismo di quel tempo, il tempio di Gerusalemme.

Il discorso escatologico: il tempio

Il tempio di Gerusalemme è molto bello, soprattutto dopo gli ampliamenti ordinati da Erode il grande, i cui lavori sopravvissero allo stesso re continuando ancora per anni, fino al 63 d.C., cioè fino a poco prima che il tempio stesso fosse definitivamente distrutto. Non è questa, dunque, la vera bellezza che dura in eterno, perché non può coesistere con il peccato.

Il secondo tempio

Il primo tempio, di Salomone, distrutto nel 586 a.C., fu ricostruito dagli esuli tornati in patria e consacrato nel 515. Settanta anni durò la sua desolazione, e risorse più bello di prima. Ma di questo secondo tempio non resta pietra su pietra, sulla sua spianata si ergono due moschee, e non conoscendo il luogo esatto su cui si trovava il Santo dei Santi e su cui nessuno, tranne il sommo sacerdote nel giorno del Kippur, poteva e può mettere piede, non può essere ricostruito da mano umana.

A maggior ragione è quindi commovente la vista del tempio dalla visuale offerta dal monte degli Ulivi, luogo familiare per Gesù e i suoi discepoli. Intervengono qui, a sollecitare questo ultimo discorso di Gesù, le due coppie di fratelli, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, che Gesù aveva chiamato all’inizio del suo ministero.

La persecuzione

La persecuzione. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20585514

Il discorso escatologico tratta di due eventi futuri, che avverranno in tempi diversi, ma che rimandano l’uno all’altro. Il primo è la fine di Gerusalemme, il secondo è la fine del mondo. Accaduto il primo nel 70 d.C., i discepoli si aspettavano ansiosamente l’accadimento del secondo.

I discepoli, sul monte degli Ulivi, in vista della Città Santa, avevano chiesto a Gesù: quando avverrà questo e quale sarà il segno che tutte questa cose stanno per accadere? L’espressione “queste cose” designa una prima volta la distruzione del tempio, di cui Gesù dice che non sarebbe rimasto pietra sopra pietra. La seconda volta però presenta un significato più ampio, riferibile alla catastrofe universale detta fine del mondo. Gesù risponde ad entrambi gli aspetti della domanda, iniziando col mettere in guardia i discepoli contro i falsi messia.

Falsi messia e falsi profeti

La storia biblica pullula anche di impostori che particolarmente nei momenti di crisi facevano leva sull’impressionabilità popolare. così come accade anche adesso. Soprattutto nel tempo che precedette la caduta di Gerusalemme vi fu una particolare sovrabbondanza di sedicenti profeti e capi-popolo che trascinavano la folla, promettendo segni dell’intervento divino. Avessero anche prodotto dei “segni”, il prodigio di per sé non può essere considerato una garanzia di veridicità: lo diviene solo quando si unisce ad una prassi genuina di fede e carità. Sette e fanatismo, al contrario, continuano ancora oggi a rappresentare un pericolo per l’autenticità della fede. Non basta dire “Sono io il Cristo” ad esserlo realmente!

Rumori di guerre

Le guerre sono sempre esistite nella storia dell’uomo. Si tratta dell’esperienza di tutti i tempi: la logica della violenza e della sopraffazione tra le potenze che si contendono il dominio, e che si risolve in autodistruzione. Ma questi fenomeni di violenza organizzata non sono segno della fine. La storia è ancora lunga…

La persecuzione

La prima parte del discorso escatologico trova il suo fulcro in una esortazione: Badate a voi stessi! La comunità dei credenti dovrà sperimentare nei suoi membri la violenza che opera nella storia. Anche i discepoli di Gesù, come il loro Maestro, saranno consegnati al potere. Tuttavia, questo rappresenta per loro l’occasione per rendere testimonianza al Vangelo…, e non è ancora la fine.

Infatti, secondo le promesse dei profeti, prima della manifestazione definitiva, escatologica, di Dio dovrà venire la chiamata di tutti i popoli alla salvezza e la loro incorporazione nel popolo di Dio. E i credenti non devono temere, perché lo Spirito Santo parlerà per loro. Persino i legami familiari saranno infranti da tradimenti e denunce, “ma chi avrà perseverato sino alla fine sarò salvo” nel futuro di Dio.

La tribolazione

Discorso escatologico. La tribolazione
Distruzione del tempio di Gerusalemme. Di Tommaso Minardi (1787 – 1871) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42878373

Il contesto fondamentale del discorso di Gesù nel capitolo 13 di Marco è quello della persecuzione, che la chiesa di Marco aveva già sperimentato, non solo all’interno del mondo giudaico, ma, ormai, nel mondo romano (persecuzione di Nerone dal 64 d.C.).

I discepoli non devono lasciarsi fuorviare da falsi messia, né lasciarsi turbare da rumori di guerre, terremoti e carestie: questo è solo l’inizio, e ogni tempo, da allora, ne porta il marchio. Sinedri e sinagoghe nel mondo ebraico, governatori e re nel mondo pagano scateneranno persecuzioni, persino da parte dei più stretti parenti, ma questo non potrà fermare l’avanzata del Vangelo che sarà proclamato a tutto il mondo. La persecuzione non potrà mettere a tacere i discepoli, che avranno lo Spirito in sé a parlare per loro. Ma intanto che cosa accadrà a Gerusalemme?

A Gerusalemme

Il segnale della fuga, per gli abitanti di Gerusalemme – perché di questo Gesù sta parlando – sarà l’introduzione nel tempio del Dio vero dell’abominazione della desolazione, ovvero di un idolo pagano che lo profanerà. La fuga dovrà essere pronta (e guai se per problemi fisici o per l’inclemenza del clima ciò non sarà possibile); è solo in grazia della presenza dei fedeli che questi giorni di calamità saranno abbreviati.

L’idea che il tempo della tribolazione sarà accorciato per la salvezza degli eletti, cioè del resto fedele, è un tratto caratteristico della letteratura apocalittica. In tutti i testi apocalittici, la trama della storia salvifica segue un cliché fisso: il tempo nuovo futuro, l’irrompere della salvezza, è preceduto dalla tribolazione.

Attenzione: il messaggio evangelico non si identifica con una visione catastrofica della storia e del mondo. Questo tipo di visione catastrofica fa solo parte dello schema culturale assunto per suggerire ai credenti l’atteggiamento di vigile attesa e di totale fiducia nel Signore della storia.

Discorso escatologico: «In quei giorni…»

«In quei giorni…»
Il Giudizio Universale. Di Beato Angelico – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13334067

Se si analizza con attenzione, il discorso escatologico risulta chiaro quanto è possibile per tale argomento. La prima cosa da comprendere è che nel cap. 13 si uniscono temi diversi: la fine di Gerusalemme per la generazione presente, e la fine del mondo «in quei giorni…».

La prima sezione del discorso escatologico tratta dei segni della “gran tribolazione”, cioè degli avvenimenti che precedettero ed accompagnarono la distruzione di Gerusalemme. La seconda sezione tratta invece dei segni della “parusia” e della fine del mondo. Nella terza parte del discorso, di conseguenza, predomina l’esortazione all’attesa e alla vigilanza. Due brevi parabole richiamano alla vigilanza: la parabola del fico e quella dell’uomo partito per un viaggio.

Dopo le trattazioni dei segni vengono le fissazioni dei rispettivi tempi: la “gran tribolazione” riguarda la generazione contemporanea, mentre per la parusia è riservato un totale silenzio.

«In quei giorni…»

Fin qui Gesù aveva risposto soltanto al primo punto della domanda rivoltagli dai discepoli, descrivendo i segni precedenti alla distruzione del tempio. La nuova sezione, da Mc 13,24, comincia con le parole Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole s’oscurerà… e tratta di quella che noi chiamiamo la fine del mondo.

L’espressione «in quei giorni» è la formula consueta, impiegata frequentissimamente nell’Antico e nel Nuovo Testamento, per introdurre un nuovo argomento ma senza un preciso valore temporale, significando tutt’al più «in un certo tempo…, a suo tempo…, in una data epoca».

In quest’epoca imprecisata, che verrà dopo la gran tribolazione, accadranno insieme la fine del mondo e la “parusia” o ritorno glorioso di Cristo, descritte con termini presi in gran parte dall’Antico Testamento e comuni alla letteratura apocalittica: il sole e la luna si oscureranno, le stelle cadranno, le potenze dei cieli saranno scosse, e allora comparirà sulle nubi il Figlio dell’uomo che verrà con potenza e gloria e invierà i suoi angeli ai quattro venti a radunare gli eletti. Con ciò, il “secolo” presente è chiuso e il “secolo” futuro è inaugurato.

Questa descrizione dei segni della parusia, in Marco, è più breve della descrizione dei segni della «grande tribolazione». Tutto quello che riguarda la fine di Gerusalemme (13,5-23) può essere letto come una prefigurazione della fine dei tempi (13,24-27) espressa con l’oscuramento degli astri, lo sconvolgimento del cielo e la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, nelle nubi (segno di divinità), con gli angeli (corteggio divino) che raduneranno gli eletti dai quattro angoli del mondo.

Secondo il racconto rabbinico, per plasmare l’adam originario il Signore Dio prese la polvere del suolo dai quattro angoli della terra, perché ogni uomo, dovunque sia nato e abiti, porta in sé la sua immagine. Finalmente, questa umanità, fatta della terra di ogni luogo, torna a Dio nell’unità originaria.

La parabola del fico e il tempo

La parabola del fico è d’immediata efficacia: durante l’inverno il fico perde tutte le foglie, mentre i nuovi germogli, a differenza di quelli precoci del mandorlo che annunciano la primavera, segnano l’arrivo dell’estate. Marco applica la parabola al tempo nel quale vive la comunità nell’attesa della parusia: Così anche voi quando vedrete accadere queste cose sappiate che egli è vicino, alle porte (Mc 13,29).

Quanto poi all’indicazione del tempo in cui avverrà la parusia, la troviamo subito dopo l’indicazione del tempo assegnato alla gran tribolazione. Ma, mentre per quest’ultima l’indicazione è stata precisa e netta – ossia riguarda la presente generazione – per l’altra è totalmente negativa: Circa poi a quel giorno o all’ora nessuno lo sa né gli angeli in cielo né il Figlio, se non il Padre (Mc 13,32). Strano, no, che il Figlio non ne sia informato? Come si deve interpretare?

Discorso escatologico. Quel giorno nessuno lo sa…

Discorso escatologico
Giotto, Giudizio Universale (particolare). https://www.wikiwand.com/it/Giudizio_universale_(Giotto)#Media/File:LastJudgmentGiotto.jpg

Ma quando avverrà tutto questo? Quel giorno nessuno lo sa…

La fine di Gerusalemme è facilmente prevedibile, come dai germogli di fico si comprende che l’estate è alle porte (13,28-31). Dell’ora della fine dei tempi, invece, non è dato sapere. E Gesù, anzi, fa un’affermazione sorprendente per i cristiani: non lo sa neppure lui…

Vigilate!

Con la parabola dell’uomo che parte per un viaggio, il discorso escatologico si avvia alla conclusione, accentuando l’esortazione alla vigilanza. Tre volte in questi pochi versetti (13,33-37), all’inizio, al centro e alla fine, si ripete l’invito: Vigilate.

L’insistenza sulla vigilanza, a causa dell’incertezza circa la venuta del Signore, dà una prospettiva pratica a tutto il discorso escatologico. Le parole di Gesù non intendono fornire informazioni circa la fine e i segni della fine, ma infondere nei credenti un atteggiamento di vigile responsabilità.

Infatti, la vigile responsabilità esclude sia il fanatismo apocalittico, che progetta il futuro almanaccando su un fantastico calendario del mondo, sia la narcosi o alienazione mondana, che perde di vista il compito e la meta di un progetto storico confortevole. In altri termini la tensione escatologica della comunità cristiana, che attende il Signore, è una forza critica sia nei confronti della fuga nell’utopia sia nei confronti di un congelamento della situazione presente.

Quel giorno nessuno lo sa… neppure il Figlio

Paradossalmente, neppure il Figlio ne è a conoscenza. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre…

Qui ci scontriamo con una vera difficoltà teologica. Il Figlio non sa quello che sa il Padre? Eppure il vangelo di Giovanni proclama che il Figlio è il Logos di Dio, non solo la sua Parola ma anche il suo Pensiero, la sua Sapienza.

Il Nuovo Testamento professa chiaramente, pur senza usare questo termine, la consustanzialità del Figlio con il Padre; in Gesù di Nazareth natura umana e natura divina si uniscono. Allora perché Marco sembra voler dire il contrario?

Quello che il Figlio ignora

Il versetto è sicuramente piaciuto ad Ario che negava la divinità di Cristo, come pure alle moderne sette che fanno altrettanto. Perciò è fondamentale cercare di capirlo.

Già lo spiegarono i Padri della Chiesa. Secondo S. Gerolamo, il Figlio, del quale Gv 1,3 dice che «ogni cosa fu fatta per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto», non ignora alcunché, neppure i tempi del giudizio finale, ma non ritiene che tale conoscenza sia utile agli apostoli – ed a noi con loro -, che devono vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo.

S. Agostino conferma: «Ciò che dunque dice: non sa, va inteso nel senso che non lo fa sapere; cioè che non lo sapeva così da indicarlo in quel momento ai discepoli». E S. Giovanni Crisostomo completa: «Affinché poi tu apprenda che se tace sul giorno e sull’ora del giudizio non è per sua ignoranza, adduce un altro segno, quando aggiunge: Come poi avvenne nei giorni di Noè…, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo; ora, dice ciò mostrando che verrà repentinamente e inopinatamente».

Ritorniamo, a questo punto, al nostro contesto. Gesù non sta facendo un pronostico della fine del mondo, stuzzicando la curiosità dei discepoli, i quali sono già troppo interessati per conto loro ai dettagli («Dicci, quando accadrà questo?»). Gesù anzi li disillude («Nessuno v’inganni… non allarmatevi… state attenti…»).

IL RITORNO DEL SIGNORE NELLA SUA CASA

Il suo intento è darci questo avvertimento:

«State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!» (Mc 13,33-37).

Di fronte alla necessità della vigilanza, l’umiltà del Figlio si schermisce col professare una ignoranza dell’ora che non appartiene alla natura divina del Verbo ma che appartiene alla missione umana del Cristo Gesù: egli non è stato mandato a soddisfare la curiosità degli uomini, ma a salvarli, quindi il pronostico sulla fine del mondo non fa parte della conoscenza che il Padre affida alla sua missione di Salvatore.

Non aggiungiamo rivelazione a Rivelazione!

Èdunque vano, anzi presuntuoso e pericoloso, cercare di predire il momento della fine, che tanto solletica non solo la curiosità, ma anche le paure e i bisogni di sicurezza umana di molti. Non ci si può preparare umanamente alla venuta gloriosa del Cristo, ci si può preparare solo con la santità quotidiana che ci è richiesta ad occhi chiusi, con fiducia e speranza. Diffidiamo delle persone che aggiungono rivelazione a Rivelazione, fornendo particolari non necessari per la nostra salvezza.

LA TESTIMONIANZA DI S. GIOVANNI DELLA CROCE

Come scrisse un grande mistico e depositario di rivelazioni intime, San Giovanni della Croce, «donandoci il Figlio suo, ch’è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più nulla da rivelare… Dio è diventato in un certo senso muto, non avendo più nulla da dire, perché quello che un giorno diceva parzialmente per mezzo dei profeti, l’ha detto ora pienamente dandoci tutto nel Figlio suo. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità» (Salita al Monte Carmelo, 2,22).

SAPERE UNA “DATA” NON FA PARTE DELLA RIVELAZIONE

Dunque il Figlio dell’uomo non sa quando verrà la fine dei tempi, nel senso che saperlo non fa parte della rivelazione all’umanità che il Padre gli ha affidato. In quanto Dio il Figlio conosce tutto quello che conosce il Padre, in quanto uomo sa quello che il Padre gli affida affinché lo riveli; ed agli uomini non è dato conoscere il momento in cui il Signore verrà per loro.

Il Padre (v. 32), il Figlio (v. 32) e lo Spirito Santo (v. 11) sono l’anima di questo scenario, che rivela il Volto trinitario di Dio: il Padre, principio e fine di ogni cosa, il Figlio salvatore degli eletti, lo Spirito consolatore dei credenti.