
L’escatologia è il discorso sulle ultime cose: in parole povere, su quella che noi chiamiamo la fine del mondo. Il cap. 13 del Vangelo secondo Marco è dedicato allo sviluppo di un discorso escatologico, cioè a dare uno sguardo sulle cose future, partendo dalla fine della principale istituzione dell’ebraismo di quel tempo, il tempio di Gerusalemme.
Il discorso escatologico: il tempio
13 1Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».
3Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».
Il discorso escatologico: precarietà del tempio materiale
Il tempio di Gerusalemme è molto bello, soprattutto dopo gli ampliamenti ordinati da Erode il grande, i cui lavori sopravvissero allo stesso re continuando ancora per anni, fino al 63 d.C., cioè fino a poco prima che il tempio stesso fosse definitivamente distrutto. Non è questa, dunque, la vera bellezza che dura in eterno, perché non può coesistere con il peccato.
Il secondo tempio
Il primo tempio, di Salomone, distrutto nel 586 a.C., fu ricostruito dagli esuli tornati in patria e consacrato nel 515. Settanta anni durò la sua desolazione, e risorse più bello di prima. Ma di questo secondo tempio non resta pietra su pietra, sulla sua spianata si ergono due moschee, e non conoscendo il luogo esatto su cui si trovava il Santo dei Santi e su cui nessuno, tranne il sommo sacerdote nel giorno del Kippur, poteva e può mettere piede, non può essere ricostruito da mano umana.
A maggior ragione è quindi commovente la vista del tempio dalla visuale offerta dal monte degli Ulivi, luogo familiare per Gesù e i suoi discepoli. Intervengono qui, a sollecitare questo ultimo discorso di Gesù, le due coppie di fratelli, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, che Gesù aveva chiamato all’inizio del suo ministero.