Viaggio nella Bibbia. La rassicurazione di Dio: «Io stesso scenderò con te»

Discesa in Egitto
Giacobbe scende in Egitto e viene accolto dal faraone. Bibbia di Maciejowski fol. 6v. Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=91896067

L’incoraggiamento di Dio di fronte alla paura di Giacobbe include un’altra rassicurazione, la promessa di accompagnarlo nella sua discesa in Egitto: «Io stesso scenderò con te in Egitto». Queste parole non solo rispondono ai timori di Giacobbe, ma danno anche una risposta al problema della portata della Provvidenza divina.

Più volte Giacobbe aveva avuto questa rassicurazione: quando fuggì ad Charan per sottrarsi alla vendetta del fratello Esaù («Certamente il Signore è presente in questo luogo, e io non lo sapevo»: Gen 28,16); quando ad Charan Dio gli si rivela e gli dice di tornare nella terra dei suoi padri (Gen 31,3); sulla via del ritorno… Tutta la storia della vita di Giacobbe dimostra che Dio è con lui. Tutte le promesse sono mantenute. E allora, perché avrebbe ancora bisogno di un’ennesima promessa?

Perché Giacobbe deve essere rassicurato sulla sua discesa in Egitto?

A quanto pare, non è Giacobbe che ha bisogno di un’altra rassicurazione, ma qualcun altro. La rassicurazione divina va a beneficio dei lettori del millennio successivo, che pur trovandosi in terra di esilio possono star sicuri della presenza e della Provvidenza divina. Dio è sempre con loro.

Una concezione arcaica, ma tenace, voleva che la Divinità fosse presente solo in una determinata terra, e che lasciare quella terra avrebbe significato abbandonare il proprio Dio e dover servire altri dei.

Ne troviamo un esempio proprio nelle parole di David a Saul che lo perseguita: «Perché mi hanno scacciato oggi, così che non ho più parte nel possesso del Signore, ma mi è stato detto: “Va’ e adora altri dèi”» (1 Samuele 26,19).

Naaman il siro, risanato per intercessione di Eliseo dopo essersi bagnato nel Giordano, chiede al profeta il permesso di prendere della terra dalla terra di Israele in modo da poter su di essa adorare il dio di Israele anche in Aram (2 Re 5,17).

Il Signore è Dio del mondo

Ma il libro della Genesi non contiene tali preoccupazioni, mostrando chiaramente che la presenza divina è ovunque. Tali espressioni si moltiplicheranno nei testi successivi, sino a far notare l’ingenuità di Giona che pensa di poter sfuggire a Dio prendendo il mare, mentre il grande pesce lo recapita proprio nella terra pagana dove il Signore voleva che annunciasse la conversione…

Il Dio di Giacobbe è universale, vigila e governa il mondo con tutto ciò che contiene. Ma questo messaggio diviene particolarmente significativo per un popolo che deve affrontare l’esilio. Entrare in un altro paese non significa entrare al servizio di un altro dio. Il Dio di Israele è ovunque e ovunque sarà con loro.

«Ti riporterò indietro»: a chi è rivolta questa promessa?

Dio non promette a Giacobbe soltanto di essere con lui in Egitto, ma anche di riportarlo indietro nella terra dei padri. Vi tornerà infatti, ma non da vivo. Chi vi tornerà da vivo, invece?

Non è una coincidenza che in soli sette versetti (Gen. 46,1-7), il nome Israele sia ripetuto ben tre volte, una volta addirittura nell’espressione «i figli d’Israele». È evidente che il destino di Giacobbe si identifica con quello del popolo d’Israele. È il suo popolo che ha bisogno delle rassicurazioni indirizzate a Giacobbe – Israele. Queste parole delineano il destino della nazione, invitando gli esuli a preservare la propria identità di servi del loro Signore anche in terra di esilio. Gli editori del libro della Genesi avevano vissuto l’esilio, e non potevano fare a meno di contestualizzare nel proprio vissuto le parole più antiche.

La discesa spirituale di Giuseppe in Egitto

Quella di Giuseppe, e poi di Giacobbe, è una discesa: una discesa dalla terra santa dei padri alla terra pagana in cui però bisogna pur vivere. Giuseppe si «egittizza» perfettamente, tranne che per la fedeltà al Dio che ha mirabilmente guidato la sua vita; Giacobbe manterrà forse più facilmente la propria consolidata identità, data l’età avanzata. Ma il seguito della storia rivelerà chiaramente che la discesa in Egitto ha rappresentato una sorta di discesa agli inferi: una discesa nella schiavitù, nell’oblio. Addirittura, alla nascita del primo figlio, «Giuseppe chiamò il primogenito Manasse, “perché Dio mi ha fatto dimenticare (nashani) tutta la mia afflizione e tutta la casa di mio padre”» (Gen 41,51). Questo nome rappresenta una vera alienazione rispetto alle proprie origini, e quella in Egitto è una discesa nei confronti della quale ci sarà bisogno di un riscatto.