Discernere i segni dei tempi. Propongo alla vostra riflessione, in materia di discernimento, una vicenda biblica che in sé ha poco di confortante, e che si trova nelle pieghe oscure della storia – anche della storia della salvezza: perché la Bibbia non è un romanzo edificante e non è neppure un libro di storie edificanti, ma condivide con l’uomo tutte le pesantezze e le brutture che la natura umana vulnerata dal peccato comporta. Vulnerata, ma redenta: quindi troviamo anche nelle pieghe della storia la guida e la forza dello Spirito di Dio. È la vicenda di Davide, considerata sullo sfondo del mondo in cui si muove e delle persone che gli fanno da contorno (Samuele, Saul, Gionata, Abigail, Natan) – e non solo: persone che, in parte, ne determinano l’avvenire.
Questo è il testo della relazione da me tenuta al ritiro del clero di Livorno il 15 febbraio 2024.
Il contesto storico
Il periodo di cui parliamo è un periodo di transizione, di cambiamenti, di idee confuse. Siamo nell’XI secolo a.C. in Palestina, terra dei filistei (pelishtim: פלשים), quella striscia di terra che si stende fra Gaza e Tel Aviv. La Palaestina riceverà questo nome ufficialmente nel 135 da Adriano per cancellare il nome di Iudaea, apportatore di ricordi sgradevoli di rivolte e guerre.
Agli inizi del XII secolo a.C. i filistei sono citati in Egitto come Peleset (al tempo di Ramses III); sono cretesi, indoeuropei. Adorano Dagon, col nome di Ba‘al-Zebûl o Signore della Soglia…
È un periodo di progresso tecnologico perché si ha il passaggio dall’età del bronzo all’età del ferro, periodo di mutamenti sociali e politici… ma anche di oscurità morale e religiosa. Infatti Dio non si manifesta più ai grandi, si rivelerà a un bambino.
La scelta di Dio cade sui piccoli (Samuele, David), ma anch’essi dovranno faticare per capire la strada da prendere. Ci sono infatti dei settori della Bibbia in cui è presente un Dio interventista che si fa comprendere facilmente (Genesi, Esodo) ed altri in cui c’è il Dio dietro le quinte (ad esempio, nella storia di Giuseppe figlio di Giacobbe): il Dio che non si fa vedere, ma c’è. Qui c’è l’uno e l’altro, una presenza scoperta attraverso i profeti ma anche un’azione segreta nelle righe della storia. Oggi la chiamiamo Provvidenza.
Samuele: un piccolo votato a Dio
La storia personale di Samuele si intreccia con la storia del suo popolo, ed il suo senso è tutto da scoprire di volta in volta.
Ha inizio con una grande sofferenza, la sterilità di Anna, mortificata dall’arroganza della rivale (1 Sam cap. 1). Anna trova l’unica via d’uscita, rivolgersi al Signore. Non chiede segni a Lui, si affida. Ma nemmeno il sacerdote Eli la capisce, scambia la sua amarezza per ubriachezza.
Dal punto di vista umano siamo al buio… anche se Anna, stando al Cantico a lei attribuito nel cap. 2, diverrà profetessa perché riesce a leggere le grandi opere di Dio nella sua piccola vita. Un inciso: secondo la tradizione rabbinica, nella storia di Israele vi sono 48 profeti maschi e 7 profetesse. Di queste, Myriam, Debora e Hulda sono chiamate profetesse dal testo biblico; Sara, Anna, Abigail, Ester sono considerate profetesse anche se non ne portano il nome. Lo sono, perché in qualche modo sanno leggere nella storia la direzionalità voluta da Dio. Ma la storia di Israele continua ad essere buia.
E al buio inizia la vicenda del piccolo Samuele, chiamato da Dio nell’oscurità del santuario, quando la tenebra nel cuore degli uomini è ancora maggiore (ne è un esempio la corruzione di Ofni e Finees figli di Eli) e Dio può rivelarsi solo a un fanciullo.
Secondo 1 Sam 2,18, Samuele serviva nel santuario alla presenza del Signore come un fanciullo (servitore), un servizio a misura sua, adatto alle sue possibilità. Un servizio da bambino. È così bambino, Samuele, che quando sente la voce del Signore non capisce che è lui che lo ha chiamato (ma anche gli adulti possono fare lo stesso errore) finché non è Eli, il suo tutore, che discerne per lui.
Eli dimostra di non saper leggere la propria storia ma quella altrui. È un esempio negativo per quanto lo concerne, ma di apertura al cuore dell’altro. È una figura tragica in questa sua incomprensione (morirà di dolore apprendendo che l’arca santa è stata rubata dai filistei: 1 Sam 4,18), fa luce agli altri ma non a sé. In questo senso appare come il Virgilio dantesco, così presentato in Purgatorio XXII,67-69: «Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte…». Una figura su cui riflettere, perché può accadere a chiunque di dare molto agli altri, chiudendosi al contempo alla cura di sé…
Discernere i segni dei tempi. Il popolo chiede un re
Ma i tempi sono bui per tutti, i filistei incombono dall’esterno, la corruzione incombe dall’interno. Israele agisce senza discernimento:
- Prima merita la sconfitta da parte dei filistei per i suoi peccati
- Poi ottiene solo una disfatta perché fa un uso magico dell’arca, quasi fosse un talismano che gli garantisce la sicurezza.
Paradossalmente e grottescamente sono i filistei coloro che a questo punto sanno leggere la storia, restituendo l’arca a Israele dopo che la statua di Dagon viene trovata rovesciata e mutiliata sulla soglia del tempio (lui, proprio il Signore della Soglia…) e dopo che una malattia li ha tormentati con ‘ophalim (techorim), tumori o… emorroidi.
È solo con la saggezza di Samuele profeta e giudice che Israele può iniziare a liberarsi dei filistei. Ma l’incertezza della situazione porta il popolo a chiedere di avere un regime monarchico come gli altri popoli; infatti anche i figli di Samuele (Gioele e Abdia) sono corrotti e provocano l’insofferenza di Israele. Gli israeliti ormai vogliono un re come tutti gli altri.
Questa è una situazione storica delicata, divisa fra opposte tendenze:
- Filo monarchica (vedere il ritornello che scandisce la narrazione delle atrocità commesse nell’appendice ai Giudici: Ognuno faceva quel che gli pareva, perché non c’era un re in Israele)
- Antimonarchica (vedere anche, nel libro dei Giudici, l’apologo di Iotam sugli alberi che vogliono farsi un re: cap. 9).
La Parola di Dio però non è opposta alla storia, ma declinata nella storia. Anche se la monarchia sarà oppressiva, «come avviene per tutti i popoli», Dio acconsentirà, contro il parere di Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro» (1Sam 8,22).
La monarchia è considerata un male dal profeta, ma almeno è possibile apporvi un correttivo: «Se temerete il Signore, se lo servirete e ascolterete la sua voce e non sarete ribelli alla parola del Signore, voi e il re che regna su di voi sarete con il Signore vostro Dio» (cap. 8).
E qui la riflessione si fa difficile: visti quelli che sembrano i segni dei tempi, è giusto accettare ciò che Dio non vuole? Certo la monarchia non è un male assoluto, è un male perché in quel momento denota sfiducia nei confronti dell’affidamento a Dio. San Paolo in 1 Tessalonicesi 5,21 dice: «Esaminate tutto, tenete ciò che è buono!». Mai la Scrittura dice invece di accettare ciò che è obiettivamente male, quindi c’è un confine abbastanza chiaro tra ciò che è accettabile come incarnazione del Vangelo nella storia e ciò che invece resta inaccettabile perché sbagliato nella sua essenza.
(Continua…)