
Il Codice Deuteronomico, pur condividendo con la società antica gli istituti della poligamia e del ripudio, presenta un Diritto di famiglia attento alla tutela della comunità ma anche alla dignità della persona umana in tutte le sue condizioni.
Diritto di famiglia: cap. 21
Il Cap. 21 tratta, in realtà, di argomenti diversi:
- Dell’omicidio per mano di ignoti (1-9)
- Del diritto familiare (10-21)
- Della maledizione dell’appeso (22-23)
Omicidio per mano di ignoti
L’omicidio carica la comunità di un reato di sangue, minacciandone l’idoneità cultuale, secondo una mentalità arcaica in cui il sacro, l’impuro, la colpa hanno una loro consistenza obiettiva al di là della intenzionalità dell’uomo. Come liberare la comunità dal reato di sangue commesso da uno sconosciuto? Il rito prescritto in questo caso non è assimilabile ad un vero sacrificio espiatorio, ma piuttosto all’eliminazione della colpa attraverso il capro espiatorio (Lev. 16): anche qui non c’è spargimento di sangue, e l’animale viene portato in un luogo deserto: su di esso si lavano le mani gli anziani della città (i sacerdoti leviti, pur menzionati al v. 5, non sembrano avere parte attiva, e sono forse frutto di un’aggiunta tardiva, e così pure i giudici menzionati al v. 2).
Diritto di famiglia: la prigioniera di guerra
I vv. 10-14 tutelano la condizione, se pure umile, di una prigioniera di guerra: anch’ella ha diritto ad un rapporto legale, sia mediante il matrimonio sia in caso di ripudio. Sembra che questa norma risalga ad un periodo più antico in cui non si pensava che una donna proveniente da un contesto cultuale totalmente diverso potesse contaminare religiosamente la comunità familiare. È soprattutto nel post-esilio che il pericolo religioso di un matrimonio misto ha attirato l’attenzione (Esd 9 s.; Nee 10,31; 13,28).
Diritto alla primogenitura
I vv. 15-17 tutelano il diritto alla primogenitura (e quindi alla doppia parte di eredità) del figlio primo nato anche se da una moglie “odiata” (= non preferita), quindi la primogenitura in senso biologico.
Il figlio ribelle
I vv. 18-21 prevedono la condanna a morte del figlio ribelle, su iniziativa dei genitori che però devono rivolgersi agli anziani della città (fase più evoluta rispetto all’unico altro passo riguardante la condanna di un figlio, Gen 38,24 in cui spetta a Giuda la condanna a morte della nuora). Non si hanno nella Bibbia esempi di applicazione di questa legge.
Il corpo del giustiziato appeso
Vv. 22-23. La prescrizione riguardo al cadavere di un appeso si ispira ad una concezione molto antica secondo cui la presenza di un cadavere infligge contaminazione rituale, per cui la sua esposizione deve essere limitata nel tempo, per non procurare danni al paese ed ai suoi raccolti. Più che ad un’impiccagione, si allude al gesto di appendere un cadavere dopo l’esecuzione (Gios 8,29; 10,26 s.; 2 Sam 4,12; 21,8 s.). Paolo in Gal 3,13 trae da questo passo una importante riflessione cristologica: Cristo si è lasciato trascinare nella sfera di maledizione.
Cap. 22 – Norme umanitarie e di tutela delle donne
Il soccorso da portare al “fratello” negli incidenti della vita quotidiana (bestiame disperso o accasciato, oggetti smarriti) (vv. 1-3) è dal Codice dell’Alleanza prescritto, in particolare, nei confronti del “nemico” (Es. 23,4 s.): nel testo dell’Esodo si parlava di rivalità in un processo, nel testo deuteronomico la norma viene data nella sua genericità.
Il rispetto della madre che cova appare dettato da puro spirito umanitario e dalla necessità della preservazione della specie. Utilitaria è la precauzione di circondare le terrazze di parapetti. Le altre azioni proibite (uso di abiti propri dell’altro sesso, mescolanza di semi, animali e tessuti diversi), invece, appartengono alla sfera magica pagana (“travestiti” di Astarte, usanze di cui non si comprende più il significato originario, come del resto l’azione, prescritta, di porre quattro fiocchi al mantello).
L’accusa ingiusta verso la sposa viene punita con la fustigazione e con un risarcimento da pagare al padre per la lesione della fama della figlia e con l’impossibilità, conseguente, di ripudiarla; l’accusa comprovata, invece, comporta la lapidazione (vv. 13-21), come l’adulterio con una donna sposata o fidanzata (vv. 22-24). Se, però, la ragazza è stata sorpresa in campagna, si suppone la violenza nei suoi confronti, perciò morirà solo l’uomo (vv. 25-27). Se la ragazza non è fidanzata, deve essere sposata dall’uomo, che dovrà pagare un’ammenda al suocero e non la potrà mai ripudiare (vv. 28 s.).